La prima volta che ho ascoltato Cloudland, il primo album di Whitetree, ho pensato ad un mio amico in viaggio , seduto di fronte ad una cascata ai piedi dell’Himalaya, in contemplazione con l’altezza e la profondità dell’universo. Credo che il brano fosse Mercury sand. Whitetree nasce dalla collaborazione del pianista e compositore italiano Ludovico Einaudi ed i fratelli Robert Lippok (elaborazioni elettroniche) e Ronald Lippok (batteria), già parte del trio tedesco post-rock, To Rococo Rot, insieme a Stefan Schneider, al basso. (1)

Cloudland, come le Faithful Hands del racconto dello scrittore africano Amos Tutuola, The Palm-Wine Drinkard (Il bevitore di vino di palma) – a cui fra l’altro si ispira il nome del progetto – mi ha preso e trasportato, senza che me ne accorgessi, in un posto recondito dove ero mai stata, ma di cui avevo un’immagine molto vivida nella mente. Durante ogni viaggio musicale, la mente possiede infatti questa abilità meravigliosa di visitare luoghi nascosti, all’interno di una dimensione spazio-temporale che, non necessariamente, segue le convenzioni a cui siamo abituati. Cloudland asseconda questo processo, conversa direttamente con l’immaginazione dell’ascoltatore.

Il suono che Ludovico Einaudi crea al pianoforte è incredibilmente evocativo, è capace di produrre un’energia molto speciale; unito poi, all’uso sapiente dell’esattezza ritmica dei suoni di Robert ed il tocco distinto della batteria di Ronald, le melodie crescono in un diramarsi di accordi magici. L’equilibrio fra le parti dà vita a dei brani in cui le note si uniscono, in una perfetta composizione di significati.

La collaborazione fra questi musicisti sembra fluire in maniera del tutto spontanea e naturale, non si avverte nessun momento di forzatura. In effetti, credo che per un musicista e compositore faccia parte di un processo naturale, quello di seguire la necessità di forzare le barriere dettate dalla separazione di generi e sperimentare così, nuove possibilità. Questo desiderio accomuna artisti che vengono da percorsi molto diversi, accademici o meno. Per esempio, il musicista e DJ Jeff Mills, che ha collaborato con la Montpellier Philharmonic Orchestra, definisce il rapporto fra classica ed elettronica come la possibilità di ‘condividere emozioni comuni ed elementi espressivi’. Queste emozioni comuni risuonano in maniera ancora più potente nel momento dell’esibizione dal vivo.

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I Whitetree hanno presentato il loro progetto, lo scorso 9 agosto, all’interno del festival inglese Big Chill, nella splendida vallata del parco delle renne, vicino Eastnor Castle nel West Midlands(a circa tre ore di treno da Londra). In questo scenario estremamente suggestivo, già al diffondersi delle prime note del brano di apertura, Slow Ocean, il pubblico si è sistemato numeroso di fronte all’Open Air Stage. Sono molte le persone che, passando davanti al palco, sono rimaste affascinate dalla musica e si sono fermate ad ascoltare il live set. Alcuni hanno chiesto o controllato il programma per verificare e memorizzare il nome del gruppo. Tutti si sono lasciati trasportare dalle note dei Whitetree, sotto al sole delle 2 del pomeriggio, che ha reso inevitabilmente il pubblico sorridente e felice, dopo giornate di cieli grigi e pioggia.

Il live set di Whitetree è stato accompagnato dai visuals di D-fuse, noto collettivo londinese di artisti e designers, fondato da Mike Faulkner, che lavora da anni nella produzione e istallazioni video e A/V live performances. Le immagini, proiettate su un unico schermo, sono state estrapolate dalle numerose riprese di un viaggio in oriente di qualche anno fa. Un progetto chiamato Latitude, realizzato durante 3 mesi di ricerca in China, sponsorizzato dal British Council e dall’Arts Council of England.

Le immagini iniziali sono quasi astratte, in movimento. Sono riprese da un treno, con un paesaggio che scorre velocemente davanti agli occhi dello spettatore. Poi edifici, numerosi, enormi, un landscape urbano iperreale. Le scene si ripetono in un loop ritmico. Mi chiedo se è così che suona una città. Un brusio di architetture, luci, percorsi di vita quotidiana, in un diramarsi di strade e storie. Le immagini che hanno chiuso il set sono invece immagini familiari, con delle riprese a livello strada: scene di una ragazzina quasi addormentata abbracciata alla mamma che guida un motorino nell’intricato percorso urbano, si alternano ad altre di famiglie in viaggio per la città anch’esse su un motociclo.

L’energia della musica, il viaggio personale di ognuno di noi, le immagini di architetture e spazi emotivi offerte da D-fuse, rendono questa esperienza davvero speciale. Cloudland ci consegna le chiavi di un sogno, invita lo spettatore a perdersi in una dimensione altra, per poi ritrovarsi, alla fine del viaggio. E’ stato quindi inevitabile chiedere proprio a Robert Lippok di raccontarci un po’ meglio di questo nuovo progetto.

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Alessandra Migani: Come è iniziata la collaborazione con Einaudi? Puoi dirci come vi siete incontrati e come avete deciso di iniziare questo progetto insieme?

Robert Lippok: Ludovico ha visto uno show di To Rococo Rot a Milano. Alla fine del concerto, ci ha raggiunto nel backstage e ci ha detto che era interessato a collaborare con noi. Nel 2006 ha invitato me e mio fratello Ronald a Milano, per lavorare su del nuovo materiale. Abbiamo passato quattro giorni nella sala prove ed improvvisato molto. Siamo arrivati ad un risultato molto velocemente. La cosa divertente è che Ludovico ha organizzato un intero tour, subito dopo le prove. Infatti abbiamo iniziato il giorno dopo, esibendoci al Teatro Politeama di Palermo. Ludovico era sicuro che avremmo creato qualcosa di buono. Subito dopo il tour abbiamo avuto la sensazione che avremmo dovuto continuare e registrare i pezzi in uno studio. Così all’inizio del 2007 siamo andati a registrare al Planet Roc Studios di Berlino, all’interno dell’edificio dove operava la stazione radio GDR. Le registrazioni sono avvenute durante la tempesta più grande avvenuta in Europa negli ultimi venti anni, Kyrill (2).

Alessandra Migani: Come ha funzionato il processo creativo fra voi tre?

Robert Lippok: Lavorare con Ludovico e Ronald è puro divertimento. Accade in maniera veloce. L’intero album è stato praticamente concepito durate i giorni in sala prove a Milano. In certi momenti ho tirato fuori un tema o solamente una struttura ritmica. Mercury sands è costruita su un pezzo del mio album Robot del 2006. Ho suonato il pezzo e Ludovico ha aggiunto questa fantastica melodia leggera, mentre Ronald le percussioni. Altri pezzi sono stati iniziati da Ludovico. Lui è una sorgente di bellissime melodie. È veramente incredibile. Non appena tocca il suo strumento, inizia a diffondere musica nell’aria. Inoltre Ronald e Ludovico hanno una connessione molto speciale in termini di ritmo. È quasi come un voodoo, difficile da capire, anche per me.

Alessandra Migani: Il nome Whitetree è ispirato ad una novella dello scrittore africano, Amos Tutuola, intitolata The Palm-Wine Drinkard (Il bevitore di vino di palma). Come mai avete parlato di questa novella e perché la scelta di questo nome in particolare?

Robert Lippok: Nell’estate del 2007 abbiamo lavorato con Ludovico ad una rappresentazione teatrale diretta da Luca Ronconi. La rappresentazione era tratta dal libro di Tutuola, Il bevitore di vino di palma. Il libro è stato suggerito da un’ispirazione del drammaturgo Cesare Mazzonis, che ha scritto la sceneggiatura per lo spettacolo teatrale. Eravamo molto contenti di questa scelta perché non sapevamo molto del lavoro di Tutuola, ma eravamo molto curiosi di approfondire la nostra conoscenza. L’albero bianco è un posto molto ambivalente. Un po’ paradiso, un po’ jazz club e bisca. Uno spazio folle che racchiude bellezza ed oscurità. Molto magnetico.

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Alessandra Migani: Ho letto il racconto e l’albero bianco è un posto incredibile, governato dalla Madre-Fedele, che si prende cura di persone in difficoltà e sottoposte a punizioni, offrendo un posto dove stare, cibo e vino a volontà e dove le persone ballano ogni sera. È descritto come un posto dove le persone possono dimenticare dei tormenti del passato, ma per entrare nell’albero devono vendere la propria morte e affittare la propria paura. Che cosa rappresenta l’albero bianco per te?

Robert Lippok: Per me rappresenta il percorso irregolare della vita e la consolazione che arriva a volte in maniera del tutto inaspettata. Il libro ha un po’ cambiato la mia buona vecchia visione cattolica del bene e del male. Nella cultura africana le cose non sembrano così semplici e chiare. L’albero bianco rappresenta il riposo, la guarigione, ma anche la violenza ed il caos.

Alessandra Migani: I suoni di Cloudland sono molto evocativi. Avevi delle immagini in mente mentre creavi la musica?

Robert Lippok: Ovviamente posso parlare solo per me stesso. Direi più che immagini avevo in mente delle sfumature e/o qualità di luce differenti. Alcuni pezzi sono così densi, come materia oscura, altri sono luminosi come una lucertola gialla seduta sopra un pezzo di criptonite che riflette il sole.

Alessandra Migani: Pensando a delle immagini per la vostra musica, credo che i visuals di D-Fuse durante il vostro concerto al Big Chill, hanno funzionato molto bene. Pensate di avere altre collaborazioni di questo genere?

Robert Lippok: Non abbiamo potuto vedere cosa D-Fuse ha fatto per noi. Abbiamo avuto solamente una conversazione veloce prima dello show e ci siamo affidati totalmente al senso per le immagini di Mike (3). Hai detto che ha funzionato bene, ne sono felice. Certe volte vorresti allontanarti dal tuo stesso concerto per guardarlo dal di fronte, ma non si può avere tutto. Durante il nostro primo tour nel 2006, abbiamo lavorato con il collettivo video di Berlino, Visomat. Ma penso che la nostra musica funziona bene anche senza visuals. Mi piace quando ogni persona nel pubblico ha il suo piccolo proiettore interno e riesce a proiettare ogni possibile immagine nello spazio interno del cranio. Certe volte, dopo uno show, alcune persone sono venute da noi a dirci cosa hanno visto.

Img: Latitude screenshot, courtesy by D-Fuse

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Alessandra Migani: Puoi dirmi della tua esperienza in tour con Whitetree ed in particolare al Big Chill?

Robert Lippok: Non siamo una band rock’n’roll, per noi un tour non significa stare tre mesi in giro. Non abbiamo suonato molti concerti quest’anno. Mi piace molto suonare dal vivo e soprattutto suonare su palchi molto grandi. Mi dà la possibilità di ascoltare la nostra musica ad un volume e potenza differenti. Il contesto dal vivo aggiunge davvero molto alla musica. Ed in un certo modo, il pubblico comprende la musica ad un livello diverso quando vede i musicisti esibirsi dal vivo. Il Big Chill è stato fantastico. Realizzato con molto amore ed una certa follia. Con tante belle idea a lato del programma musicale. Mi sono piaciuti in particolare lo zombie gigante ed i vestiti bianchi appesi ad un albero, illuminati dal movimento delle biciclette (4). Penso che sia stato il festival migliore dove sono mai stato.

Note

1 – To Rococo Rot si sono esibiti al Big Chill Festival l’8 Agosto scorso, presentando inoltre dei brani inediti tratti da un album che verrà pubblicato agli inizi del prossimo anno.

2 – Kyril è il titolo del secondo brano contenuto in Cloudland.

3 – Mike Faulkner è il fondatore del collettivo inglese D-Fuse.

4 – Robert si riferisce a Visions of Angels, ispirato a William Blake e realizzato da Electric Pedals, come parte di The Art Trail al Big Chill. Si tratta di un’istallazione che prevede l’intervento degli spettatori (invitati a pedalare su delle biciclette fisse), che riporta in vita le visioni angeliche di Blake in forma di abiti bianchi, in mezzo ai rami di una vecchia quercia.


http://www.myspace.com/whitetreespace

www.ludovicoeinaudi.com

http://www.myspace.com/torococorot

www.bigchill.net

www.dfuse.com