L’ idea che musica e immagini in movimento fossero in qualche modo connesse risale addirittura a Newton. Ma è soprattutto a partire dai primi del ‘900, e in seguito con il cinema sperimentale, il video e il digitale negli ultimi decenni, che la Visual Music, la resa cioè di musica in immagini (per la maggior parte astratte), ha avuto uno sviluppo considerevole.
La dimensione prettamente temporale di musica e video sembra legare “naturalmente” i due media e lascia aperto lo spazio per infinite sperimentazioni e accostamenti, dall’astrattismo puro a motivi più figurativi. La 2009 Visual Music Marathon che si è svolta al Visual Arts Theatre di New York, ha presentato una rassegna di 64 video selezionati tra oltre 300 lavori provenienti da 33 paesi, oltre a video storici e due gruppi curati da Larry Cuba dello storico Iota Center e da Bruce Wands dell’altrettanto importante School of Visual Arts di New York.
La storia delle pratiche legate alla sinestesia tra musica e video è stata esplorata attraverso i lavori seminali di Hans Richter, Mary Ellen Bute, Oskar Fischinger, Norman McLaren, Hy Hirsh, Robert Breer, John Whitney e Len Lye. Molti di questi artisti sono partiti da esperienze pittoriche (Richter e Fischinger, nei primi decenni del ‘900, ma anche Robert Breer a partire dagli anni ’50), hanno incorporato vari media (come Mary Ellen Bute con la fotografia e mixed media o Norman McLaren con disegni su pellicola), o hanno sperimentato con le “nuove” tecnologie a loro disposizione (come John Whitney, considerato il padre della computer grafica), per arrivare a creare dei prodotti video il cui fulcro era la simbiosi con la musica.
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La musica visiva, una Gesamtkunstwerk (un’opera d’arte totale, come proposto al mondo da Richard Wagner quasi tre secoli fa) che unisce l’arte visiva alla musica , esisteva già da tre secoli sotto diverse forme. Isaac Newton, nel suo trattato intitolato Opticks del 1704, osservò che le proprozioni tra le onde luminose dello spettro e la diversa lunghezza delle corde necessarie a produrre determinate note erano simili.Tutto ciò suscitò un interesse generale per una nuova tecnica chiamata musica dei colori, e in seguito, due inventori ottocenteschi Bainbridge Bishop e Alexander Wallace Rimington inventarono l’organo a colori.
Nel XX secolo, Thomas Wildred fece alcune ricerche sulla luce come forma d’arte attraverso i “Lumia”, composizioni di luce e colore, formate da lenti, prismi e gel che cambiavano lentamente col tempo, portandole in scena anche nei concerti del 1924-25. Fra i pionieri di allora non si possono non menzionare Oskar Fischinger, che incluse l’atto fisico della pittura, e John e James Whitney, che portarono la musica visiva nell’epoca del computer.
Dal momento che i software di qualità stanno ormai diventando accessibili come i pennelli e i colori, i bohémien e gli artisti più esperti vengono considerati alla stregua degli animatori professionisti, entrando così nell’arena della musica visiva. I progressi e l’accessibilità della tecnologia audiovisiva e il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione in rete stanno facendo espandere vertiginosamente questo settore, lasciando all’organizzazione creativa di una mostra contemporanea tanta libertà d’azione e di sistemazione quanto quella di Visual Music Marathon.
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Il campo della musica visiva comprende anche i film, la danza, la musica, le Belle Arti e l’animazione. Molti artisti affermati in questo settore espongono le loro opere non solo nei musei d’arte, ma anche nei locali da ballo e queste vengono spesso utilizzate nei video di musica popolare e nei videogame. Per meglio capire, sperimentare e valutare questa tecnica in rapida ascesa, bisogna osservare la musica visiva attraverso la lente d’ingrandimento della teoria, della storia e della terminologia dei settori e delle discipline già affermate come la musica (di tutti i generi), le Belle Arti visive, la danza e i film.
La rassegna dei video contemporanei si è concentrata in particolare sulle realizzazioni più recenti e sperimentali, non-narrative ed astratte, in cui uno degli elementi fondamentali è sicuramente il fattore digitale, l’utilizzo di software per “allacciare” esperienze visuali per la musica. Ma non è l’unico: la visual music, come del resto la videoarte in generale, fonde modalità espressive di altri media, come la già menzionata pittura, ma anche la danza, l’animazione e, ovviamente, i film.
E così, in una “full-immersion” di un’intera giornata, l’enorme, travolgente varietà della “visual music” viene analizzata attraverso i lavori più svariati, dove soprattutto la computer grafica rende in immagini, colori e forme i ritmi, le melodie, le armonie, i movimenti e le improvvisazioni della musica.
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Simon Goulet con i suoi delicati ghirigori sintetici, Scott Pagano con astrattismi matematici, Dennis Miller e le sue vibranti membrane di colore, Robert Seidel con il suo naturalismo espressionista, sono solo alcuni dei artisti che hanno esplorato la Visual Music in maniera personale all’interno di questa rassegna, che hanno tracciato un percorso di sperimentazione, fondendo forme prettamente naturali e algoritmi, tradizione del passato e tensione per ciò che non è ancora stato espresso pienamente.