Il mese scorso, Digimag ha dato spazio a Domenico Quaranta, curatore di una delle due parti della sezione Expanded Box ad Arco Madrid 2009. Tra le varie opere esposte nella fiera, molto eterogenee a cavallo tra linguaggi e media differenti, una in particolare a mio avviso rappresenta uno dei punti più alti della collettiva: il lavoro “Every Man and Woman is a Star”, dei due artisti Esther Mañas e Arash Moori.
L’opera, esposta all’interno dello stand di Ayuntamiento (organizzato dal Madrid Art Council), si colloca all’interno di un ambito preciso e complesso della ricerca artistica contemporanea sul suono, quello dedicato cioè alla rappresentazione fisica dell’esperienza uditiva, a una sua visualizzazione e concretizzazione nei termini di un rapporto simbiotico tra opera, pubblico e ambiente circostrante. Una “classica” installazione audiovisiva, fatta di suoni e luci al neon, interattiva e sinestetica nel rapporto tra soggetto sonoro e visivo, ma con un elemento “spaziale” che riflette chiaramente una profonda analisi dell’ambiente installativo e del rapporto del pubblico con esso.
Tutti i lavori di Esther Mañas e Arash Moori,‘Composition for Five Rooms’ del 2007, ‘Every Man and Woman is a Star’ del 2007, ‘The Fly Killer’ del 2008 e più di recente ‘Inside the Beehive’ del 2009, sono opere che riflettono su questa pratica: opere cioè che tendono ad avere a che fare col Suono quale mezzo scultoreo, utilizzato per trasformare e interagire con le percezioni delle ambienti visivi ed architettonici, nonchè emotivi e sociali, degli spazi in cui vengono installate. In altri termini, gli artisti considerano tutte le loro opere quali passi vitali nel definire e portare avanti gli interessi della propria pratica artistica, dal momento che ogni nuovo lavoro è eco e al contempo distorsione del suo antecedente, in cui figurano vari elementi sotto diverse spoglie.
![]() |
.
Marco Mancuso: Raccontatemi di voi, come vi siete incontrati, quando avete cominciato a lavorare assieme, qual è la vostra formazione artistica?
Esther Mañas / Arash Moori: Ci siamo incontrati mentre terminavamo un Master all’Accademia di Belle Arti di Helsinki. Avendo partecipato a una serie di mostre di gruppo, il tempo trascorso assieme ha permesso l’instaurazione di un dialogo tra le nostre pratiche individuali: è proprio in questa situazione che è iniziato il nostro lavoro. Il lavoro di Esther prima della nostra collaborazione riguardava il simbolismo di siti architettonici e le connotazioni socio-culturali attribuite ad essi. Il suo metodo di lavoro consisteva nell’utilizzare questo siti come supporto per una forma espansa di pittura e astrazione geometrica, trasformando il sito in una rappresentazione di un luogo immaginario attraverso varie forme di significato. L’esplorazione spaziale del lavoro e il cambiamento di punto di vista dello spettatore hanno alterato e distorto la coerenza visiva dello spazio.
La mia formazione è invece legata in qualche modo al suono, proveniente da interessi personali, così come dalla collaborazione all’interno di vari circoli di suono/musica “sperimentale” e dalla mia attrazione dall’uso del suono quale mezzo all’interno della pratica artistica. Alcune tra le prime opere realizzate erano ricostruzioni di soundtrack per film riprodotti attraverso l’uso di oggetti domestici amplificati, orchestrati tramite azioni in tempo reale. Questi lavori erano spinti verso un’ambiguità semantica del suono attraverso la sua dislocazione in vari scenari.
![]() |
.
Marco Mancuso: Siete una combinazione insolita tra un visual artist (pittore) e un sound artist (musicista): molte delle vostre opere sono opere d’arte audiovisive in termini di relazione tra il suono e un elemento visivo come la luce o la pittura. In cosa pensate di essere diversi d altri artisti contemporanei che indagano questo rapporto e qual è il vostro potenziale?
Esther Mañas / Arash Moori: Le basi della nostra pratica giacciono su interessi paralleli riguardo le mappature percettive e cognitive dello spazio, che pensiamo trascendano il media da noi selezionato e che forse danno coerenza ai nostri metodi lavorativi e ai nostri obbiettivi. La nostra pratica cerca di esplorare i confini, il modo in cui l’esperienza del nostro lavoro può essere percepita e il suo riconoscimento in quanto opera d’arte resa indistinta dalla creazione di ambienti immersivi accoglienti, in cui i partecipanti agiscono come co-creatori di un certo livello, attraverso l’indagine spaziale, e incoraggiando letture indefinite dell’opera.
Ci appropriamo di numerosi materiali ed elementi ritrovati, raccolti dal nostro ambiente, alterandoli e rimaneggiandoli attraverso varie tecniche di incremento, amplificazione ed esaltazione: queste strategie così come la natura effimera della nostra installazione d’arte possono essere lette come una reazione contro un ambiente artistico commodificato e guidato dal mercato.
Talvolta reputiamo il nostro lavoro come una forma di film espanso/personale che forse riprende qualche spunto dai film di tradizione strutturalista/materialista; altre volte lo vediamo propendere verso alcune tendenze nel campo della scultura. Cercare di definire il nostro lavoro è per noi difficile, dal momento che i parametri possono variare a seconda della natura del sito e degli oggetti che troviamo e di cui ci appropriamo, ma c’è un chiaro interesse nel creare opere malleabili e personali che forse costituiscono interessi condivisi riecheggiati da alcuni artisti che lavorano negli attuali campi audiovisivi.
![]() |
.
Marco Mancuso: Nei vostri primi progetti e più recentemente in Inside the Beehive, viene spesso analizzata una complessa installazione con raffigurato un disco, che gira su un dipinto del pavimento, in grado di creare una chiara relazione nel rapporto tra architettura, forma e suono.
Esther Mañas / Arash Moori: Le installazioni con giradischi rappresentano effettivamente alcuni dei nostri primi lavori e cercano di mettere insieme vari aspetti delle nostre pratiche individuali attraverso la ricerca di un dialogo tra elementi di architettura e suono.
Ci devono essere state numerose variazioni di quest’opera dal momento che ognuna dipende da alcuni dettagli architettonici del sito in cui è stata installata, dando forma ai vari disegni geometrici estesi che interrompono il funzionamento dei giradischi . È inoltre possibile far riferimento a una forma di cinema espanso e ai primi esperimenti ottici con immagine mobile, in quanto si tratta di dischi rotanti la cui immagine materiale genera un suo proprio soundtrack.
Questi primi lavori sembrano aver influenzato la direzione di opere quali ” Inside the Beehive’ del 2009, in cui elementi architettonici della nostra installazione vengono utilizzati per generare suono, una scenografia che riproduce un suo proprio soundtrack. Un giradischi ricompare in quest’ultima installazione, stavolta leggendo una sezione rotta di soffitto.
![]() |
.
Marco Mancuso: L’uso della luce, l’ambiente audiovisivo immersivo creato mediante l’elemento luminoso, è un’importante elemento di indagine artistica, dalle avanguardie del secolo scorso (e da artisti in epoche anche precedenti) alle sperimentazioni mediante l’uso di tecnologie: quali sono i vostri punti di riferimento nel passato e quali sono gli artisti che vi ispirano oggi?
Esther Mañas / Arash Moori: Prendiamo spunto da una varietà di fonti ed esperienze apparentemente diverse e diamo forma a molti aspetti e direzioni del nostro processo lavorativo, ispirandoci a una varietà di aree e media che esistono al di fuori delle varie strutture artistiche. Questi possono spaziare da titoli ad alcune righe riprese dalla letteratura o da fonti musicali. Per esempio la nostra scultura interattiva del 2007 formata di tubi fluorescenti ‘Every Man and Woman is a Star’ all’inizio era stata concepita e basata su una citazione ripresa da Aleister Crowleys in ‘The Book of the Law'(1904). Altre esperienze ed ispirazioni di questo tipo possono arrivare dal puro e semplice ascolto di un disco o trovando materiali buttati per strada o nei mercati. L’opera presentata per Espanded box, Arco09, per trovare materiali strutturali, attinge alle più disparate risorse quali i film di Victor Erice, Constant Nieuwenhuys’s ‘New Babylon Project’ , un poema satirico di Bernard Mandeville.
Un’altra importante fonte d’ispirazione è costituita dalle interazioni con le persone che incontriamo e che sono piuttosto attive nella realizzazione di varie attività artistiche indipendenti. In questo senso, alcuni spunti artistici diretti e ispirazioni sia del passato che del presente potrebbero provenire da Christina Kubisch, Erkki Kurenniemi, Stan Brakhage, Æthenor, Thorsten Fleisch, Peter Tscherkassky, Andrei Tarkovsky tanto per citarne solo alcuni.
![]() |
.
Marco Mancuso: In genere voi lavorate molto con lo spazio, con un sito specifico in cui poi viene installata l’opera d’arte. Per questa ragione, usate ambienti scuri, lavorate con l’interattività e la vicinanza, distribuite gli speaker nello spazio, usate illuminazione strobo e luce flash per creare maggiore immersività nell’ambiente. Quanto è importante per voi quindi il concetto di spazio, e la capacità di giocare con esso e di renderlo parte del vostro processo artistico?
Esther Mañas / Arash Moori: Quasi tutti i nostri lavori dipendono dai siti che occupano, in modo da influenzare alcune direzioni del lavoro, utilizzando dettagli strutturali e materiali ritrovati, fino alle connotazioni socio-culturali attribuite al sito.
È parte integrante del nostro lavoro utilizzare i concetti di spazio che hai appena citato, soprattutto riguardo i pregiudizi sul modo in cui un sito può essere percepito o utilizzato, culturalmente parlando. Tutto ciò è per noi necessario per permettere a questi elementi di ispirare alcune direzioni di un’opera. Si tratta di un processo simile a quello adottato nel nostro studio: quando appare un ospite dalle possibilità e direzioni lavorative inaspettate mentre lavoriamo con i materiali ritrovati o cerchiamo di incrementarli.
![]() |
.
I lavori più recenti sembrano invece aver preso una direzione diversa, cercando di costruire un sito all’interno di altri siti, che di natura sono piuttosto parassitari e lottano per ottenere un certo gradi di autonomia o indipendenza dai siti in cui sono installate. Sostanzialmente però il processo lavorativo rimane abbastanza simile dal momento che utilizziamo lo spazio come elemento materiale all’interno del nostro lavoro.