Jan Rohlf è un giovane artista originario di Tübingen che dal 1994 vive e lavora a Berlino. Jan è principalmente un artista multidisciplinare, ma è anche impegnato in varie collaborazioni e progetti culturali. Insieme a Oliver Baurhenn e Remco Schuurbiers è co-fondatore e direttore artistico di ClubTransmediale – International Festival for Adventurous Music and Related Visual Arts (CTM).

Nel 2005 ha inoltre creato DISK – Sound & Image Initiative e.V., un’associazione dedicata alla promozione di arte e musica sperimentali. Un altro progetto di valenza internazionale che coinvolge Jan è la fondazione del global network I.C.A.S. – International Cities of Advanced Sound, un’organizzazione che riunisce i direttori artistici di numerosi festival dedicati alla cultura digitale, che ha lo scopo di creare strutture sostenibili al fine di offrire una piattaforma per lo scambio di idee e progetti, riflessioni critiche, co-produzioni e promuovere la collaborazione.

Ho incontrato Jan durante l’ultima edizione di ClubTransmediale, e prima di iniziare l’intervista mi ha accompagnato a visitare la sua installazione “INDEX I & II” al Kunstraum Kreuzberg Bethanien (KKB). L’installazione consiste di due pannelli che rappresentano due collezionisti di musica berlinesi. Jan ritrae minuziosamente i due soggetti attraverso la rappresentazione grafica delle reciproche collezioni musicali, una assolutamente digitale con un laptop e un iPod, l’altra relativamente analogica, e più varia, con vinili, cd e libri, ricostruendo così le storie personali dei due soggetti e allo stesso tempo offrendo una vista sulla città di Berlino. Accanto ai disegni inoltre sono posti due libri che catalogano le rispettive collezioni in ogni particolare, offrendo ulteriori informazioni sui soggetti.

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Donata Marletta: Parlami del tuo background, come sei entrato a far parte della scena elettronica?

Jan Rohlf: In primo luogo sono un visual artist, e agli inizi degli anni ’90 ho iniziato a lavorare nei club, come facevano tanti altri in quel periodo. Per me rappresentava qualcosa di più che un modo per guadagnarsi da vivere, mi piacevano parecchio la dimensione sociale e la qualità artistica che ruotavano attorno alla scena. Sono appassionato di musica da quando ero adolescente, e alcuni miei amici lavoravano per il festival Transmediale, che a quell’epoca si chiamava VideoFestBerlin, che io visitavo, trovandolo particolarmente stimolante. A metà degli anni ’90 il succedersi di alcuni avvenimenti diedero un nuovo slancio alla scena musicale. Negli anni ’70 e ’80 avevamo la musica industrial e altri stili musicali che si basavo principalmente sul suono, come il Kraut Rock, la Ambient etc, e alla fine degli anni ’80 arrivo’ la musica techno. Con l’avvento della cosidetta ‘Sound Culture’, che risultava dalla sintesi tra la musica post-industrial e la techno, aumentò anche l’esigenza di creare spazi alternativi per l’ascolto della musica; in questa fase di cambiamento io ed altri amici pensammo di trasformare l’esperienza acquisita nei club in qualcosa interessante per un pubblico diverso.

Alcuni iniziarono ad utilizzare loft e vecchie fabbriche per allestire installazioni audio/video, piccoli eventi che attiravano non più di venti persone. Per quanto mi riguarda iniziai qualcosa di simile nel mio studio, che era abbastanza grande ed ubicato in una vecchia fabbrica. Creai una sala acustica chiamata Hybrid, invitavo musicisti elettronici ed io stesso creavo delle installazioni. Alla fine degli anni ’90, quando il VideoFestBerlin cambiò il nome in Transmediale, gli organizzatori erano in cerca di qualcuno che si occupasse della sezione dedicata ai media digitali ed alla cultura elettronica: subito pensai che sarebbe stata un’ottima idea integrare anche la musica elettronica e creare uno spazio sociale che potesse in qualche modo essere fonte di ispirazione per la gente. Così parlai con gli organizzatori del festival, proponendogli la mia idea, quella di iniziare qualcosa di simile a quello che precedentemente avevo creato nel mio studio, cioè la sala acustica dedicata all’ascolto di musica sperimentale e installazioni cinetiche, un progetto che si proponeva di essere meno formale rispetto alla roba tradizionale che si vedeva in giro. La mia proposta venne accettata e mi offrirono una sala in cui iniziare, che però non rispecchiava la mia idea di spazio, in quanto sono convinto che il concetto di spazio sia fondamentale. Transmediale non fu in grado di esaudire la mia richiesta per mancanza di fondi, così grazie all’aiuto di amici, in particolare di Marc Weiser di Rechenzentrum, che in quel periodo si occupava del booking musicale per Maria am Ostbahnhof (MAO), iniziammo ad invitare un po’ di artisti al club. Iniziarono così sia il mio impegno all’interno della scena musicale elettronica, che fu l’inizio di CTM, come festival parallelo ed allo stesso tempo indipendente da Transmediale.

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Donata Marletta: Quali sono gli obiettivi principali di CTM?

Jan Rohlf: Con CTM cerchiamo di fare qualcosa di più che produrre un evento di qualità, questa filosofia era chiara fin dagli inizi. Lo scopo del festival è principalmente quello di creare uno spazio che si posizioni in mezzo, in un’area grigia, indefinita, dove tutto è possibile e che permette alle persone di entrare e dare un’occhiata a quello che succede. Creare uno spazio sociale quindi che permetta a coloro che producono musica di avere un accesso alternativo, ed allo stesso tempo offrire questo accesso ai fruitori della scena musicale. Un altro degli scopi del festival è quello di dare forma ad un certo tipo di comunicazione: per me un buon festival dovrebbe dare spazio e libertà alla trasgressione dei modelli culturali tradizionali, non dovrebbe porre limiti, dando al pubblico la possibilità di liberarsi, evadere dalla routine quotidiana.

Un po’ quello che è accaduto nell’edizione di quest’anno durante la performance “Unicorn Man” del collettivo artistico di Detroit Princess Dragonmom: ad un certo punto è apparso un unicorno di cartone ed il pubblico incuriosito ha cominciato ad interagire con l’oggetto, saltandovi sopra, giocando. E’ importante dare al pubblico dei giocattoli, dando anche l’opportunità di interagire con lo spazio. Per l’edizione di quest’anno, con il tema ‘Structures’, abbiamo creato degli sgabelli di cartone che la gente poteva spostare da un lato all’altro delle sale, creando dinamismo all’interno dello spazio. La scelta degli luoghi in cui si svolge il festival rispecchia in pieno questa filosofia, lo spazo per me deve dare la possibilità al pubblico di viverlo in libertà, deve essere un po’ confusionario, senza regole ferree da rispettare, e in questo senso il club Maria am Ostbahnhof e il Kunstraum Kreuzberg Bethanien riflettono in pieno questa idea.

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Donata Marletta: Quali sono le difficoltà che affronti nella fase di preparazione del programma del festival?

Jan Rohlf: Per quanto riguarda la scelta degli artisti dobbiamo cercare di creare un equilibrio tra la qualità delle performances e dare la possibilità al pubblico di divertirsi e ballare, in particolare durante il fine settimana. Nella fase di selezione degli artisti ovviamente ognuno dei curatori apporta il proprio contributo in base al proprio gusto artistico, inoltre presentiamo produzioni recenti in modo da riflettere quello che accade nella scena musicale/artistica al momento. Un aspetto al quale tengo particolarmente è quello di creare un filo conduttore con il passato, con le avanguardie, quindi spesso presentiamo i lavori di quelli che sono considerati i pionieri della musica elettronica. Per esempio nell’edizione del 2008, dal tema ‘Unpredictable’, abbiamo invitato Pierre Henry, uno degli esponenti più illustri e fondatore di Musique Concréte. Questo legame con il passato ha anche lo scopo di offrire alle nuove generazioni qualcosa in più rispetto alla ‘tradizionale’ club night.

Infine lanciamo una call for entries, che offre una finestra sui giovani artisti che hanno la possibilità di presentare i propri progetti. Quindi si arriva al line up finale attraverso un processo complesso di negoziazione; in generale cerchiamo di evitare quello che fanno molti festival, specialmente quelli estivi che si svolgono all’aperto, cioè di limitarsi a mettere insieme un certo numero di artisti di successo senza nessuna proposta, nessuna idea concettuale.

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Donata Marletta: Ogni anno CTM propone un tema, mi chiedevo il susseguirsi dei temi sviluppa anno dopo anno una sorta di narrazione

Jan Rohlf: In realtà i temi non sono strettamente connessi e quindi non esiste una narrazione chiara, per esempio nell’edizione del 2006 il tema era ‘Being Bold‘, tema al quale sono particolarmente legato, che si riferiva alle posizioni individualiste di molti artisti, dell’essere coraggiosi e fare quello che si vuole a dispetto delle conseguenze. Successivamente nel 2007 abbiamo scelto il tema dal titolo ‘Building Space’ che si riferiva all’idea di uno spazio che inviti alla sperimentazione e offra nuovi spunti per comunicare. Il tema ‘Unpredictable’ del 2007 si riferiva invece alla perdita di controllo, all’imprevisto, che altera le dinamiche dei processi creativi e conduce alla scoperta di nuove forme estetiche. I temi rispecchiano diverse prospettive di chi fa’ musica, quindi forse è una forma di narrazione attraverso le edizioni che racconta dieci anni di storia di CTM.


www.janrohlf.net

www.clubtransmediale.de

www.icas.us

www.kunstraumkreuzberg.de

www.clubmaria.de