Dal 2006 ha luogo a Berlino “Das kleine Fieldrecordings Festival”, un festival dedicato alle registrazioni ambientali con un taglio tendenzialmente musicale. “Das kleine Fieldrecordings Festival”, giunto ora alla sua quarta edizione è curato dall’olandese Rinus Van Alebeek , artista, “tape musician” e scrittore sotto lo pseudonimo di Philip Markus.

Iniziato come festival itinerante tra diversi quartieri e spazi della città sembrerebbe essersi stabilito per ora nel quartiere di Neukölln. “Das kleine Fieldrecordings Festival” è un festival no-budget che – grazie alla disponibilità dei luoghi in cui viene presentato e delle loro risorse, oltre che alla disponibilità dei musicisti a presentare i loro progetti in cambio di un contributo simbolico – nel suo “piccolo” mostra e alimenta una scena musicale fatta di cacciatori di suoni.

La rassegna mostra metodologie e pratiche molto differenti che possono stimolare comparazioni tra i paesaggi sonori presentati – appartenenti a contesti simili ma registrati in luoghi diversi – , introdurre mondi immaginari generati dalla somma di più atmosfere sonore, oppure, diffondendo musica concreta, musica elettroacustica, rumore e radiodrammi, possono addirittura suggerire forme narrative .

Accolta dal tepore della casa di Rinus ho avuto occasione chiacchierare piacevolmente con lui sul Festival. Prima di lasciar spazio all’intervista, vorrei ringraziarlo vivamente per essersi reso disponibile a rispondere in italiano.

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Valeria Merlini: Che cosa ti ha spinto a voler dar vita a “Das kleine Fieldrecordings Festival”?

Rinus Van Alebeek: Stavo cercando di aiutare dei musicisti, tra i quali Patrick Franke, fondatore della” Alula Ton Serien” (http://www.alulatonserien.de) e Lasse Marc Riek, cofondatore di “Gruenrecorder” (www.gruenrekorder.de) , a trovare delle date per suonare a Berlino. Dato il numero cospicuo delle richieste, ho pensato di organizzare un festival. Per cercare altri musicisti che potessero avere interesse a partecipare, ho consultato l’elenco dei contatti di “Phonographers” (http://www.phonography.org), ho chiesto a Derek Holzer, cooiniziatore di “Sound Transit”, e al collettivo “Tape Only”, a cui si erano aggiunti nell’estate del 2006 Stephane Leonard e Marcel Türkowsky . Così è partito il Festival.

Valeria Merlini: Perchè circoscrivere il festival alle riprese ambientali?

Rinus Van Alebeek: Da un lato perchè me ne occupo da anni, dall’altro perchè ascoltando cosa offriva la scena musicale berlinese ai concerti, mi ero accorto che la presenza di field recordings era scarsissima.

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Valeria Merlini: Come ti sei avvicinato ai field recordings?

Rinus Van Alebeek: Mi trovavo in Italia, dove la radio è un disastro. Stancatomi di ascoltare sempre le stesse cassette, mentre sbrigavo le faccende domestiche, ho iniziato a fare registrazioni ambientali. Riascoltandole mi sono accorto che riuscivo a visualizzare il mio ricordo e rivivere l’esperienza fatta. Quasi come in un viaggio nel tempo. Successivamente, nel 2000, al Lem Festival (http://www.gracia-territori.com) di Barcellona organizzato da Victor Nubla, un vecchio leone del mondo della Home Tape, ho seguito per tre mesi consecutivi i concerti che si tenevano ogni fine settimana in bar diversi. La prima volta che ci sono andato, mi ero stupito dal fatto che i suoni che stavo sentendo fossero simili a quelli che ascolto sempre in cuffia. In quel momento ho trovato il mio mondo.

Valeria Merlini: “Klein” in tedesco significa piccolo. In che cosa si manifesta la piccolezza del Festival”?

Rinus Van Alebeek: Nel ritmo del nome, nel suo suono. L’idea di “klein” credo di averla presa dal nome di una serie televisiva della ZDF, ” Das kleine Fernsehspiel” , che esiste da più di quarant’anni e che ha contribuito alla mia formazione cinematografica. La scelta del nome credo che sia anche dovuta al mio subconscio: presento field recordings all’interno di un Festival, che di fatto è piccolo. Conseguentemente potrei dire che l’influenza del programma televisivo è una piccola influenza, ma c’è.

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Valeria Merlini: Mi piace il fatto che “Das kleine Fieldrecordings Festival ” sia in parte un progetto itinerante, che inviti alla esplorazione della città e dei suoi suoni durante la ricerca del luogo della serata. In quali contesti è stato proposto il Festival?

Rinus Van Alebeek: La prima edizione del festival, nel novembre 2006, si era proposta di portare le persone in spazi che suonano tra loro in modo diverso, situati in diversi quartieri della città (Mitte, Friedrichshain, Prenzlauerberg, Kreuzberg). In questa edizione il Festival ha luogo prevalentemente a Neukölln, vicino a casa, dove fortunatamente ci sono molti spazi disponibili. Mi piace l’idea di poter tornare a casa a piedi. All’inizio quando ero alla ricerca di spazi, dopo aver fatto dei sopralluoghi della città in biciletta ed aver individuato e scelto alcuni luoghi possibili, chiedevo ai gestori la loro disponibilità ad ospitare una parte del Festival. Solitamente si trattava di bar, gallerie, spazi per concerti e piccoli teatri. Quasi sempre ho ricevuto subito una risposta positiva. Sicuramente, il fatto di essere a Berlino, ha aiutato.

Valeria Merlini: ” Das kleine Fieldrecordings Festival” mostra le riprese ambientali sotto registri diversi: dalla forma di diario di viaggio o di documentario sonoro, a quella di concerto, a quella performativa, a quella installativa. Ciò che li accomuna è la pratica del registrare, usata come punto di partenza per raccogliere le fonti sonore dalle quali o con le quali sviluppare un proprio linguaggio sonoro. Dalle riprese ambientali emerge la ricchezza di informazioni sui luoghi e sui contesti in cui vengono fatte. Quasi un gioco con la nostra identità sonora.

Rinus Van Alebeek: Innanzi tutto è importante distinguere tra chi diffonde i suoni e chi li riceve. Io, in quanto ascoltatore so, che chi arriva al Festival è stato in un determinato luogo, ha scelto un soggetto da registrare in un certo modo. É già da quel momento che il field recorder definisce il carattere che influenzerà il suo processo compositivo. Per questo motivo associo sempre la figura di chi partecipa al Festival ad un personaggio che racconta una storia. Vedo sempre quella persona, circondata dai suoi suoni, che mostra un’immagine del suo mondo. L’ altra cosa sono io, ascoltatore, a cui piace sognare e viaggiare nel suono. Quando alcuni suoni sono riconoscibili e appartengono anche al mio mondo, sarà quasi evidente che andrò a proiettarmi in un mondo immaginario parzialmente conosciuto.

Secondo me nei concerti dove vengono suonati field recordings una composizione è da considerarsi finita quando, entrata nelle orecchie dell’ascoltatore, fiorisce. La sua fine non combacia con l’intenzione dell’esecutore, ma con la presa di coscienza dell’esperienza sonora da parte degli ascoltatori. Per questo motivo, quando introduco gli appuntamenti del Festival, sono particolarmente prudente con i termini che uso. Una parola molto forte dal punto di vista immaginativo, può influenzare l’esperienza dell’ascoltatore. Quindi, provo ad essere un po’ astratto. Potrei dire che la mia parte di attivista nella società sia sottolineare con ogni concerto l’importanza di ascoltare.

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Valeria Merlini: La partecipazione al Festival è aperta a tutti field recorder?

Rinus Van Alebeek: Quasi tutte le persone che entrano nel mondo dei field recordings, nel farlo, hanno fatto una scelta specifica. Quando si propongono di partecipare al Festival, dico di si. Se chi si propone ha anche altri progetti sperimentali, quello che intende proporre deve consistere almeno all’ 80% di riprese ambientali, come l’acqua nel nostro corpo.

Valeria Merlini: ” Das kleine Fieldrecordings Festival” sembra essere un’operazione ricca e generosa nel mostrare il valore dell’atmosfera sonora, questione che in modo esteso, ma limitato alla sfera urbana, è stato affrontato nel Festival Tuned City (http://www.tunedcity.de/), tenutosi di recente a Berlino e a cui hai partecipato. Per te come potrebbe essere immaginata una progettazione dello spazio urbano e architettonico sensibile all’aspetto sonoro?

Rinus Van Alebeek: Basterebbe disegnare una città senza traffico. Forse la più grande sfida per architettura sarebbe togliere all’urbanità la sua velocità, derivata dal traffico e dai modi comunicativi. Sarebbe bello tornare ad un mondo che si muove a piedi. Io sono cresciuto in un borgo modello degli anni ’50 al confine con la città. In prossimità c’erano campi con diverse coltivazioni a seconda degli anni e un piccolo bosco, che distava circa due chilometri a piedi. In vent’ anni il paesaggio si era lievemente modificato, ma di recente vi è stata designata una strada che ha tolto tutto. Da quel momento mi sono reso conto che tutto il mio ricordo di questo terreno risaliva a quando ero piccolo e lo percorrevo a piedi. Quando si è piccoli il tempo non esiste: per arrivare al bosco tutto era una chiacchiera, un’esaltazione. L’eccitazione di arrivare e di giocare lì.

Da più grande per raggiungere la scuola percorrevo la stessa strada. Anche in quel caso tutto il tempo era legato dall’ esperienza dell’andare a piedi tra i campi e osservare il lento cambiamento del paesaggio. Ora, con la costruzione della strada, lo stesso tragitto può essere percorso in un minuto e mezzo, anzichè l’eternità che ho sempre portato con me. Trovo che viaggiare rinchiusi un veicolo sia un’esperienza monotona, sia nel percorso che si ripete, che nei suoni che accompagnano lo spostamento, che nell’assenza di una percezione intima e diretta dell’ ambiente circostante. Credo quindi che nel progettare una città vada tenuto conto del mondo dei pedoni per dare spazio a quel senso di non-tempo e di eternità.

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Valeria Merlini: Come viene documentato il Festival?

Rinus Van Alebeek: A parte le documentazioni fatte dai singoli musicisti, cerco di scrivere sul blog del Festival
una recensione per ogni concerto. Spesso I partecipanti le riutilizzano nei loro siti o blogs. Purtroppo archiviare e mettere a disposizione on-line tutto il materiale raccolto, necessita di molto tempo, di cui io non dispongo. Credo però che tutte le persone che hanno suonato al Festival hanno le documentazioni rintracciabili in rete dal blog e dalla pagina di myspace di “Das kleine Fieldrecordings Festival”.

Rinus Van Alebeek: Ricordo che la prima edizione del Festival fosse stata trasmessa via radio. È un progetto che continua?

Rinus Van Alebeek: In quel caso Tobias Luther di Radio Incorrect (http://radioincorrect.org) seguiva il tutto. Ora lui è a Leipzig e purtroppo non ha tempo a disposizione per poter proseguire quella bellissima esperienza, che ha permesso di diffondere il Festival sulle FM.

Valeria Merlini: Sfogliando il blog, mi sono stupita quando ho visto “Das kleine Fieldrecordings Festival” in Second Life. Che tipo di progetto è?

Rinus Van Alebeek: Si è trattato di un unico intervento. Quando avevo sentito parlare di Second Life, mi era stato detto che esistono persone che registrano l’ambiente di quel mondo virtuale. Partendo da questa assurdità, ho pensato subito di organizzarci una data del Festival.

Nell’agosto 2007, grazie al preziosissimo aiuto di Björn Eriksson e dei suoi amici l’esperimento è stato un bel successo. I concerti avvenivano in parallelo sia nel mondo reale che virtuale . Però, nessuno si è presentato con suoni registrati in Second Life. Se mi capiterà di incontrarmi di nuovo con i maghi di Second Life, spero di poter ripetere l’esperienza.

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Valeria Merlini: I prossimi progetti per “Das kleine Fieldrecordings Festival”?

Rinus Van Alebeek: Per il prossimo anno ho dei progetti ambiziosi: analogici. Dei progetti che vanno ad escludere la rete, che per me significa solo un veloce ed economico strumento di comunicazione. Ciò fa parte di quella forma di attivismo e di ideologia che consiste nel dare più attenzione al mondo che si osserva quando si va a piedi. Nell’edizione di maggio/giugno il Festival sarà intercontinentale, ma senza streaming. Tutti, dopo essersi messi d’accordo, suoneranno contemporaneamente in più parti del mondo. Chiunque voglia partecipare può farlo, purchè riesca a trovare dall’altra parte del continente una persona disposta a partecipare.


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