Nonostante la crisi economica globale e la mancanza di sostegno da parte delle istituzioni locali, anche quest’anno il festival Cimatics di Bruxelles ce l’ha fatta, ed ha concluso si può dire con successo la sua sesta edizione.
E forse proprio la dolente nota economica di questa edizione ha influenzato tutto l’andamento del festival, trasformandolo in un evento non centralizzato ma esploso in tutta la città di Bruxelles. In Italia si sa bene, siamo abituati a sopravvivere con le briciole; anzi, sostanzialmente riusciamo forse a dare il meglio proprio quando
non ci sono neanche quelle. Basti pensare a tutte le realtà emergenti del contesto delle arti digitali, dell’attivismo, dei festival locali che vivono anche senza poter contare su minimi fondi di sussistenza che invece spesso, quassù a nord, sono la regola.
Cimatics 08 ha forse fatto di necessità virtù, rinunciando ad avere una sede unica per tutto il festival, com’è successo invece l’anno scorso con l’occupazione temporanea del centro culturale multimediale fiammingo Beursschouwburg. Quest’anno il festival ha dunque evitato l’epicentro ed ha optato per la dislocazione di tutti gli eventi in diverse sedi, che hanno ospitato mostre, screenings, installazioni, performances, feste. Certo una scelta spiazzante per lo spettatore, anche addetto ai lavori, che si è ritrovato a doversi muovere per la città rinunciando a tutti i confort del networking mondano dei festival. D’altro canto una scelta davvero riuscita per la città di Bruxelles, che così come è successo poco più di un mese fa per la Biennale, ha svelato il suo lato di fermento ed attivismo, reificato nell’esistenza di una serie di spazi (spesso alternativi) che provano a spingere sullo spazio creativo alla confluenza tra tecnologie, arte e media. Quasi una conferma del senso comune che si capta in diversi ambienti della capitale europea: Bruxelles Bouge, spinge, va avanti, sperimenta, cresce.
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L’apertura del festival si è svolta alla Chiesa del Gesù, dove il collettivo LAb[au] ha presentato l’installazione interattiva “Binary Waves”. Già installata a Saint Denis (Parigi, nell’ambito della Biennale d’art contemporain Art Grandeur Nature in Seine-Saint-Denis) lungo un canale, l’installazione originale consiste in una serie di pannelli rotanti, che reagiscono agli input del contesto urbano (movimento, suono, onde magnetiche) ruotando sul loro asse verticale e dando forma a una serie di output visuali che si muovono come un onde sulla superficie. Per Cimatics l’installazione è stata trasposta nello spazio chiuso della chiesa sconsacrata del Gesù, perdendo il contenuto urbanistico del lavoro ma mantenendo un forte impatto visivo.
Il festival è poi proseguito nei due giorni successivi in spazi come l’Imal, MediaRuimte, Okno, Tag, Congres, mescolando musica e sperimentazioni audio video, feste e performances e coinvolgendo anche alcune piccole mostre, di cui una da non perdere. MediaRuimte, il “blackbox” che fa parte del laboratorio del collettivo Lab[au] ed è una vera e propria galleria dedicata a design digitale e interattivo, ha ospitato per una settimana una mostra dedicata a Casey Reas. L’artista californiano pioniere dell’arte generativa ha presentato due lavori, “The Protean Image” (2007) e “MicroImage” (2003). Il primo è una video installazione astratta presentata per la prima volta a Tag (L’Aia, che è anche partner della mostra).
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L’utente (cioè lo spettatore che si trova però improvvisamente a svolgere il ruolo di utente in un terminale) si trova davanti alla proiezione di un’immagine astratta mutante e biomorfica, che può influenzare inserendo delle carte di programmazione old style (da calcolatore degli anni Settanta, per intenderci) in una macchina, chiamata The Protean Image Machine. La seconda installazione, forse meno divertente perché è meno facilmente percepibile il livello di reattività del comportamento dello spettatore, è un lavoro “storico” di Reas, presentato a Ars Electronica nel 2003. Diversi software generativi (ognuno dei quali gestisce un “personaggio” astratto ed i suoi”comportamenti”) reagiscono al microambiente in cui si trovano, unendosi, disperdendosi, cambiando forma e colore.
Oltre a queste due mostre, ed a quella ospitata da Imal intitolata”Artkillart”, che ha presentato i lavori di diversi artisti che hanno poi performato dal vivo durante la seconda e penultima sera del festival, Cimatics ha proposto anche la presentazione del progetto di ricerca di Matteo Casalegno di Kinotek, ormai bruxellese di acquisizione, che in un’installazione di fotografie alla stazione ferroviaria “Congres” insieme alla Tag Gallery, ha fatto il punto su un anno di ricerca negli spazi urbani della capitale belga. “Disturbed City”, realizzata insieme a Michael Langeder, consiste in una serie di interventi audiovisuali pirati nel centro di Bruxelles, lungo un’arteria che corre da nord a sud spezzando la città in due parti. Il progetto in progress mette a fuoco alcune aree della città, la loro storia, il vissuto quotidiano, i conflitti, le aspettative future, concentrandosi su alcuni spazi architettonici specifici che incarnano l’oggetto simbolico dello stato delle cose di una città perennemente in evoluzione, sporca, carica di dislivelli sociali.
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Il lavoro degli organizzatori Bram Crevits, Nicolas Wierinck & co. è stato forse più opera di coordinamento ed organizzazione di una serie di eventi indipendenti, collegati poi sotto il brand del festival, che un lavoro curatoriale vero e proprio. E’ anche vero però che Cimatics è un festival e non un evento espositivo, nato in principio per dare visibilità al contesto del vjing (e di conseguenza delle performance a/v) e poi sviluppatosi includendo anche esperienze legate all’arte ed al design.
Per questo il vero cuore del festival è stata forse la rassegna di performances e vjing I ? BRU, insieme alla presentazione, sempre all’Imal, della piattaforma “Share”, che anche qui a Bruxelles lancerà uno spazio aperto alle sessioni settimanali audiovideo.