L’Occidente ha sofferto a lungo della dicotomia ontologica, della compartimentazione dei saperi, dell’univocità e dell’oggettivazione della coscienza, della relazione oppositiva tra natura e cultura, tra biologia e meccanica.

Ma cosa succede quando le tecnologie diventano biotecnologie, quando cyberspazio e spazio materiale vedono sfrangiare i loro confini, quando ci avviamo a coltivare una Natura II, e quando quello che noi chiamiamo coscienza diventa entità distribuita, attraverso le trame di una società iperconnessa che sempre di più assume le sembianze di un “global networking”? Succede che ci avviamo verso quella che può essere definita una “realtà ibrida”, costruita attraverso l’intersezione di spazi, di identità, di specie. Una realtà popolata da “ibernauti”, da creature o categorie, che sfidano ogni rigida classificazione identitaria.

La conferenza Trondheim Matckmaking di quest’anno si è presa l’onere di discutere di questi temi.
Svoltasi tra il 17 e 18 Ottobre, nella cittadina norvegese di Trondheim
, alla sua settima edizione, la manifestazione annuale, inserita nel più ampio progetto TEKS, per la promozione delle arti digitali, si è articolata attraverso convegni, workshop, concerti, e l’esposizione Hybrids. La manifestazione ha visto la partecipazione di artisti di grande valore impegnati sopratutto nella ricerca tra arte, nuove tecnologie e scienze della vita.

Speaker principale dell’evento è stato Roy Ascott (UK), pioniere nell’ambito della “interactive computer art” e della “telematic art”, fondatore del Planetary Collegium e professore di “Technoetic Arts” presso la University of Plymouth in aggiunta a moltissime altre posizioni accademiche.

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Ad Ascott spetta la paternità di termini quali: cyberception, telenoia, sincretismo, tecnoetica, moist media, che sono solo alcune delle definizioni di una vera e propria fenomenologia del futuro che è da anni impegnato a delineare.

Lo studioso è particolarmente interessato al fenomeno dell’impiego da parte degli artisti delle nuove metafore della scienza e delle tecnologie avanzate, contribuendo, secondo quanto Ascott sostiene, allo sviluppo di una “cultura della coscienza”, denominata “tecnoetica” (da techne e noetikos, mente), conseguenza di una società più coerente, collaborativa, interconnessa che ha preparato le condizioni del global networking .

Secondo lo studioso viviamo in realtà complesse e miste, al confine tra cyberspazio, spazio materiale, pixel e particelle. E questo dal punto di vista degli artisti crea un nuovo universo mediale. Il primo stadio di questa convergenza, afferma Ascott, può essere facilmente individuato nella tendenza dei dati digitalmente “asciutti” ad unirsi con la biologia “bagnata” dei sistemi viventi, dando vita a nuovi specie di media che egli definisce “umidi” (moistmedia).

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E sono proprio i termini di questa convergenza a fare da raccordo trasversale ai dibattiti ed ai lavori portati dagli artisti presenti al Trondheim Matchmaking 2008, tutti impegnati a discutere delle varie forme di ibridazione e particolarmente in merito al binomio arte e bio-tecnologie.

Eric Singer ha presentato i suoi Lemur Robots (leggere anche la mia intervista del Giugno 2006 per il numero 15 di Digimaghttp://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=376) , robots in grado di suonare e dialogare con musicisti in carne ed ossa. Ricerca nelle intenzioni e nei modi molto simile a quella di Eva Sutton, impegnata nella creazione di robots capaci di simulare attività umane complesse come fare arte e praticare la divinazione.

La relazione tra natura e cultura e tra natura e tecnologia è stato l’argomento e la finalità anche dei lavori di Peter Flamming, impegnato nell’ideazione di assemblaggi meccanici trattati come elementi di una narrazione. La convergenza tra nuove tecnologie, scienze delle vita e manipolazione genetica è stato il tema forte dibattuto da artiste quali Nathasha Vita More e Marta de Menezes. La de Menezes può essere considerata la creatrice della prima opera biologica, così come la prima ad aver utilizzato la biologia come medium artistico, sancendo la nascita dell’arte creata in provetta. Nel 1999 la de Menezes creò la prima opera biologica consistente nella modificazione del pattern dell’ala di una farfalla (manipolazione non lesiva per l’animale e non trasferibile alla prole).

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Nathasha Vita More dibatte invece sul senso, gli sviluppi futuri, le svariate ricadute, dell’acronimo NBIC, nano-bio-info-cogno, la convergenza di discipline quali nanoscienza e nanotecnologia, biotecnologia e biomedicale, includendo l’ingegneria genetica, l’information technology, gli studi avanzati di computazione e comunicazione, scienze cognitive e neuroscienze.

Molto interessante in questa direzione anche il lavoro presentato da Victoria Vesna (intervistata da Silvia Scaravaggi per il numero 20 di Digimag – http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=668), impegnata nella creazione di installazioni di decodifica di emozioni in sonorità musicali. L’artista, immersa in una ricerca intorno al suono come vibrazione vitale dei sistemi naturali, usa l’AFM, il microscopio atomico, come un vero e proprio strumento musicale, essendo in grado di estrarre onde sonore dai processi cellulari.

Al di là dell’ibridazione vista come fenomeno inerente alla commistione tra nuove tecnologie e dimensione biologica, arte e manipolazione genetica, il convegno, affrontando l’argomento a trecentosessanta gradi, ha dibattuto anche intorno alle nuove definizioni spazio temporali ed in particolare agli spazi ibridi, alla convergenza tra spazi virtuali e materiali, tra spazio fisico e la sua tracciabilità digitale.

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Infine, molta persuasiva in questa direzione la riflessione di Laura Beloff sullo spazio ibrido. L’artista lavora alla realizzazione di sculture di tecnologie mobile indossabili, riflettendo sul nuovo rapporto che si istituisce tra lo spazio e l’individuo e la sua tracciabilità attraverso le apparecchiature di video-sorveglianza ed i GPS. L’individuo e l’ambiente si fondono in unico sistema, costituendo uno spazio ibrido. Il frequentatore dello spazio ibrido è l’ibernauta, viaggiatore ma insieme spazio viaggiante, interpretato come un sistema di coordinate dai suoi apparecchi rilevatori.

Presente alla manifestazione anche l’italiana Letizia Jaccheri che ha presentato Open Wall un’opera traccia di un progetto collaborativo ed interdisciplinare che apre alle estrema duttilità della tecnologia e alle possibilità da essa offerta in termine di connessione tra gli individui.


http://matchmaking.no/wp/2008/