Lo spazio naturale e quello costruito dall’uomo, lo straniamento del soggetto che abita – o occupa momentaneamente – questi spazi, il pulsare e lo scorrere della vita, il ritmo della musica. Gli elementi cari a Doug Aitken si ritrovano nella sua ultima videoinstallazione a 3 canali, presentata alla 303 Gallery di New York fino al 1 Novembre prossimo, ma con un velo di mistero irrisolto.

In “Migration”, la prima del ciclo di installazioni in tre parti dal titolo “Empire“, le immagini si susseguono lentamente, con leggero sfasamento, su 3 mega schermi all’interno della galleria, il tempo segnato da una colonna sonora.

I protagonisti del video sono animali migratori tipici della natura nord americana, ripresi singolarmente all’interno di asettiche stanze d’albergo e motel. Il bisonte e il cavallo, l’aquila americana e il castoro, la volpe e il puma: ognuno in una stanza, ognuno ripreso in un angolo e atteggiamento diverso. All’interno di ogni stanza, un occasionale televisore acceso, lampade rovesciate che lasciano intravedere i bulbi incandescenti delle lampadine, acqua che gocciola nei rubinetti, che riempie una vasca da bagno. Fuori, paesaggi deserti, esterni di hotel, l’acqua che scorre, un ritmo silenzioso segnato da una pompa per estrarre petrolio – in inglese “nodding donkey” (asino che annuisce) o “horsehead pump” (pompa a testa di cavallo), forse un velato richiamo semantico, un divertito gioco di parole basato sui soggetti del video .

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Doug Aitken dissemina ancora una volta la propria opera di simboli legati alla ciclicità, alla luce e al fluire, in una poetica che tocca questa volta un mondo parallelo a quello degli esseri umani. Le fredde stanze d’albergo e di motel, luoghi di passaggio per eccellenza, diventano qui immagini di un’alienazione quasi dolorosa, di un’involontaria sospensione del naturale ritmo migratorio. La proiezione lievemente fuori sync del filmato sui tre megaschermi sembra voler invitare ad una osservazione più attenta delle immagini, quasi che la ripetizione in rapida successione possa aiutare a svelare il segreto che si cela dietro ai paesaggi, agli ambienti e ai loro inusuali occupanti.

Se in molti video precedenti Aitken coglieva l’elemento umano in una sorta di epifania e di acme, in quest’ultimo lavoro sembra lasciare in sospeso una sorta di riverente mistero. Gli occhi degli animali, spesso in primo piano, rimangono impenetrabili, portatori di un segreto non accessibile allo spettatore e forse, addirittura, all’artista stesso.

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A fare da contrappunto all’installazione video, esposti in un secondo spazio, altri paesaggi stranianti: una serie acquarelli fatti di surreali geografie, illusioni ottiche quasi psichedeliche, e cartelli a mo’ di scritte illuminate, dove il senso delle parole viene completato dalle immagini in sovrimpressione, come in “Stars”, dove la spianata notturna di una città punteggiata di luci suggerisce una nuova costellazione, o in “Last Blast”, dove la scritta Fuck You e la vista lontana della Terra dalla coda di un razzo spaziale fanno nascere l’idea di un’ironica rivolta contro il genere umano.

Con questi ultimi lavori, Doug Aitken continua quindi ad esplorare insoliti accostamenti tra spazi, luoghi e gli esseri viventi che li abitano, li occupano, li attraversano per scoprire nuove connessioni. E come in ogni poetica, non è una risposta quello che ci si aspetta, ma l’affascinante ammiccamento che accenna al percorso, facendo nascere altre domande.


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