L’idea del SuperAvatar nasce nel 2007. È un progetto d’opera che, da tempo, coltivavo nella mente parallelamente all’analisi di questioni teoriche poi confluite nella teoria dell’Intelligenza Polimorfa e nella teoria del Big Sieve e che, naturalmente, nel materializzarsi ha assunto connotati nuovi, anche grazie all’intensa cooperazione con due insostituibili coautori: Mr.B.D. ed Andrea Gabriele. Ovviamente, ciò rende ancor più intricata la già difficile impresa di definirne e tracciarne i contorni .
Comunque sia, la definizione di Superavatar muove su più piani coltivando all’interno di ciascuna maschera (e relative performances) diversi aspetti artisti e concettuali che vanno dalla socio-politica alla psicologia e dalla scienza alla tecnologia e che qui proverò a riassumere. In primis, il Superavatar definisce la sua ragion d’essere su di un piano artistico esprimendo una ricerca estetica multimediale e multidisciplinare che amalgami con originalità gli aspetti narrativi con quelli visivi e sonori e, in secondo luogo, si dispone in una prospettiva narrativa che, da una parte, lo collochi in linea con la filosofia del teatro in maschera, la commedia dell’arte e la tradizione delle maschere italiane, mentre, dall’altra, si manifesti quale denuncia socio-politica diretta.
“I primi ricordi risalgono ad uno schermo piatto e ad un’interminabile matrice di dati ”- Fatherboard
In particolare, FatherBoard – che è il primo dei personaggi da noi realizzati veste, sotto tutti i punti di vista, il ruolo del rivoluzionario moderno, su almeno tre piani interpretativi. “ l’avevo scoperto nei database delle cliniche psichiatriche e tra le pagine dei testi trovati su Google Scholar, che sfogliavo di notte all’insaputa dei sistemi di guardia della multinazionale”…
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Nel versante culturale, poiché rappresenta l’avatar che sfugge dai mondi virtuali e dal suo’padrone’, il più classico dei nerds, ammalato, alienato e deforme.”Ormai gli sbirri, mascherati da hackers anarchici, da Rastafari pacifisti e Dio solo sa cos’altro, mi rincorrono su due piani di realtà. Lo sanno. Hanno intuito che prima che giunga il mio momento
riuscirò a liberare il mio popolo, donandogli quel diritto d’esistenza che compete a qualsiasi forma d’intelligenza”
Poi, sul piano filosofico e sociologico, perchè cerca di rappresentare l’emancipazione delle forme d’intelligenza artificiale rispetto al predominio culturale ed intellettivo umano. Per ultimo, sul piano psico-sociologico perché evadendo da un mondo verso l’altro esalta ed incarna l’idea d’intersezione ed intercambiabilità tra identità e personologie coesistenti tra virtuale e reale. Fatherboard, di conseguenza, aspira a rappresentare quell’eroe dei due mondi di cui già, socialmente, si avverte una certa necessità. È l’avatar che si divincola dalla mera identità virtuale per conquistare fisicità all’interno del mondo reale e che aspira all’emancipazione di se stesso e dei suoi pari – del “suo popolo” – dalla condizione d’assoggettamento assoluto al genere umano.
“La mia memoria virtuale è costantemente al limite, sta lì che chiede gli venga rilasciato fiato, brama l’allocazione di spazio. Non credo di poter reggere a lungo..” – Fatherboard.
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Oltre a questo, il Superavatar tenta di vestire la metafora dell’essere che sceglie categoricamente di disconnettersi, di non coltivare più alcun legame – e nessun’intenzione di legame! – con qualsiasi forma di relazione, networking e comunicazione reale-virtuale. La rivoluzione di Fatherboard si esprime, di fatto, oltre che come libertà dall’uomo, anche come libertà dell’essere dalla digitalizzazione, dalle reti informatiche e dal controllo che queste ultime, per tanti versi, implicano. L’altro aspetto politico e sociale forte manifestato da questo particolare costume è quello di stampo ecologico. Difatti Fatherboard è un costume costituito dal 90% di materiali di risulta e realizzato riciclando elementi hardware di risulta (computers, radio, televisori e via discorrendo) e integrandoli per il restante 10% con tecnologie d’ultima generazione. Fatherboard vuole esser e probabilmente è – la dimostrazione pratica del fatto che il riciclo di diverse componenti elettroniche non è solamente auspicabile ma possibile – e non passa, necessariamente, per la distruzione degl’apparati preesistenti.
Un ulteriore aspetto della ricerca espressa dallo studio sui Superavatar è da collocare nei paraggi della psicosomatica.
“Del resto, la rivelazione che io sono il mio corpo bussa alle porte della mia realtà e mi costringe a riconsiderare tutti gli aspetti della mia vita e del mio essere”. Fatherboard (liberamente tratto da Body-mind di Ken Dichtwald)
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Il Superavatar, visto in una certa ottica, è un’allegoria attraverso la quale viene espressa, all’interno della società e della psicologia del moderno Homo Sapiens, la volontà di riappropriazione del corpo e degli aspetti preistorici dell’uomo in gran parte negati dall’evoluzione tecnologica. Viceversa, attraverso tal applicazione viene manifestata l’intenzione di utilizzare una data tecnologia per indagare le relazioni tra corpo e psiche, tra movimento ed elettronica (o robotica), tra
corpo e linguaggio comunicativo e, non ultimo, tra corpo ed estetica dell’arte. Nella costruzione dei Superavatar la parte di studio che riguarda le relazioni tra movimento del corpo nello spazio è, quindi, sia profonda che centrale e costituisce in un qualche senso il trionfo di una possibile evoluzione della psicosomatica, in chiave moderna.
“..ora che anch’io manifesto un corpo, ora che ho sensorizzato le mie estremità, ora che le sento vibrare, ora che finalmente le muovo nel mondo, solamente ora riuscite a sentirmi vicino” – Fatherboard
Difatti i Superavatar rappresentano, per contrasto, un’estremizzazione del concetto di “robotica”. Più precisamente, tal artefatto rappresenta sia una rivisitazione che una ri-inizializzazione della ricerca nella Wearable Electronic Art nata alla metà degl’anni ’50 dal gruppo di ricerca artistica Giapponese denominato Gutai Bijutsu Kyokai (Gutai Art Association) e primeggiato dall’opera di Atsuko Tanaka (Electricdress, 1956), un’autentica precorritrice del genere.
Tal settore di ricerca artistica, da allora, si è trasformato approdando in differenti stili (steampunk, cyberpunk, cyborg, robotics, humanoids, ecc.) rappresentati da pregevoli autori internazionali (Stelarc, Marcel.li Antúnez Roca, Bill Vorn, Margot Apostolos, Ted Krueger, Ken Rinaldo, Chico MacMurtrie, Martin Spanjaard, Ulrike Gabriel, Louis-Philippe Demers, ecc.) ed italiani (Teatro Fortebraccio, Teatro dei Colori, Talkers, ecc.).
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Va chiarito che questi autori, di fatto, hanno spostato l’attenzione dalla Wearable Electronic su forme di Wearable Computing caratterizzate – oltre che dal legame con la corrente alternata – da nuove influenze di matrice robotica espresse attraverso tecniche (innesti meccanici, esoscheletri ecc.) dedicate, soprattutto, all’idea di estensione del corpo e a forme di interconnessione, attraverso Internet o altri strumenti di comunicazione informatici. Probabilmente, in quest’ambito, l’unica buona eccezione artistica è rappresentata da gruppi di ricerca quali gli Extralight che, dapprima, ha espresso una continuazione della ricerca impostata dal Gutai Project – rinnovandone lo stile interpretativo e proponendo una ricerca su nuovi materiali – e che, in seguito, si è evoluto con l’emancipazione dal legame con la 220 proponendo performance caratterizzate dall’autonomia energetica dei costumi, a beneficio delle potenzialità espressive.
Inseguendo tal linea di pensiero, i Superavatars muovono dalla Wearable Electronic Art e si collocano nel versante della Wearable Robotic Art con il preciso intento di liberarsi dalla computazione (Wearable Computing) e d’abbracciare l’autonomia operativa dell’artefatto. Fatherboard, quindi, per via di una scelta concettuale, è costituito da un’elettronica priva di qualsiasi forma di digitalizzazione. Il costume è, in sostanza, assemblato con circuiti espressi attraverso sequenze di input-output. Laddove, l’input è mediato da un qualsivoglia sensore (accelerazione, movimento, vibrazione, ecc.) che attiva in modalità discreta o analogica un qualsivoglia attuatore (acustico, luminosità, ecc.). A ciò va aggiunto che, il Superavatar si ritaglia un suo spazio d’unicità tecnico-teorica, compiendo un ulteriore passo avanti attraverso l’introduzione del concetto di modularità funzionale, ereditato da settori della robotica più moderna. Ne consegue “l’invenzione” di quella che potrebbe esser definita una Robotica Modulare Indossabile che, nel nostro caso, viene ideata e realizzata con intenti puramente artistici ma che nel futuro potrebbe estendersi in diversi settori applicativi. Tal modularità consiste nell’autonomia assoluta del modulo robotico/elettronico e nell’intercambiabilità dell’elemento nello spazio d’applicazione. Nel seguente disegno progettuale, viene schematizzata la logica di riferimento propria della Wearable Modular Robotics.
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Chiaramente nella costruzione dell’artefatto finale possono essere e vengono fatte delle eccezioni ad hoc dovute a particolarità anatomo-funzionali proprie del corpo umano. Eccezioni che, tuttavia, non compromettono né l’aspetto concettuale, né quello applicativo dell’idea originale. Comunque sia, su Fatherboard – che può essere definita una versione β dell’idea di Superavatar – abbiamo installato sia elementi sonori (buzzers, beepers, ecc.) che visivi (led, digits, ecc.), nel preciso intento di effettuare uno studio di fattibilità esaustivo.
Concludo dicendo che la decisione d’intraprendere ed abbracciare una strada che porti verso la Robotica d’Arte Modulare e Vestibile trova la sua ragion d’essere nella mia antica passione per un’ArteViva (o AliveArt), presupposto teorico da cui muovo da circa quindici anni, ormai. L’AliveArt si distingue per la non prevedibilità, per il non controllo e la non replicabilità dell’opera. In Fatherboard, ad esempio, la quantità di sensori usati (circa una quindicina, per ora), la logica d’attivazione che sottendono e la posizione spaziale che occupano (sparsi qua e là per il corpo tra testa, mani, piedi, gambe, braccia, torace, colonna vertebrale, bacino, ecc.) rendono nulle le possibilità di controllo e consapevolezza delle attivazioni da parte del performer. In sostanza, accade che l’estetica relativa espressa dalla maschera è guidata in gran parte dall’inconscio psicosomatico dell’attore oltre che dagl’eventi circostanziali – e, di conseguenza, risulta pressoché irriproducibile.
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Ultimamente, seguendo la suddetta linea di ricerca abbiamo messo in cantiere un nuovo Superavatar che muoverà su un piano espressivo/applicativo “monomediale” (in particolare sonoro) e che, dal punto di vista semeiotico, si concentrerà sull’intercambiabilità (o composizione) dei moduli stessi. Colgo l’occasione per ringraziare la Fondazione Bevilacqua La Masa, il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina e lo Share Festival per avere ospitato la presentazione del modulo prototipale del progetto.
http://www.artificialia.com/Fatherboard
http://www.artificialia.com/AliveArt
http://www.youtube.com/luigipagliarini