La tecnologia espande la nostra coscienza o la incapsula? E’ questo uno dei temi del testo Technology Matters, dello storico comparatista David E. Nye pubblicato nel 2006. Un lavoro che non brilla certa di originalità, ma che per la sua capacità di imbastitura di fonti e di ricchezza bibliografica, lo rende un lavoro di notevole rigorosità scientifica.
Se partiamo da invenzioni scientifiche come il microscopio o il telescopio, notiamo subito come la tecnologia ci permetta di espandere la nostra esperienza sensoriale e di interpretazione del mondo, quindi anche le nostre capacità cognitive. Fin qui tutti si trovano d’accordo, eccetto qualche filosofo (ad esempio Heidegger) impressionato dalla naturalezza con la quale l’uomo del XX secolo è pronto a “metabolizzare” la tecnologia, considerandola da subito come normale esperienza.
Da un punto di vista psicologico-cognitivo, i problemi insorgono quando gli esseri umani passano dal single-tasking al multi-tasking: quando cioè vengono sottoposti a un carico di lavoro multiplo che tendenzialmente potrebbe modificare la loro struttura sensoriale a causa di un’eccessiva sollecitazione attraverso nuove forme di sinestesie: se non c’è alcun problema per ciò che riguarda l’ascoltare musica mentre si cucina o si fanno le pulizie, il lavoro multiplo può diventare particolarmente stressante in situazioni di guida di autovetture (il telefono cellulare è un classico caso) oppure davanti al computer: chattare mentre si legge la posta e si segue l’andamento di un titolo o le notizie di un rss-reader e così via. Le scienze dell’informazione definiscono questa deriva sempre con lo stesso nome: information overload, il sovraccarico informativo inteso però anche come eccesso di stimoli, di impulsi e di suggestioni può creare paradossi cognitivi, come improduttività, fino ad arrivare a disordini psichici più o meno gravi.
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Ciò nonostante l’uomo moderno sembra non ribellarsi in massa alla tecnologia e Nye si chiede se le donne e gli uomini moderni non siano talmente “acculturati” dalla tecnologia da non poterne più fare a meno. E’ a questo punto che tornano utili alcune sottili osservazioni di Heidegger sulla tecnologia (una pagina di partenza sulle considerazioni heideggeriane sulla tecnologia è la seguente: http://www.webcom.com/paf/hlinks/techlinks.html).
Nel testo “The Turning”, della raccolta The Question concerning Technology and Other Essays Heidegger afferma che la tecnologia è in grado di creare orizzonti pre-teorici dell’esperienza: l’uomo, grazie alla tecnologia, considera la natura che lo circonda come una forma di riserva permanente per il soddisfacimento dei suoi bisogni.
Vale la pena di soffermarsi sul concetto di “bisogno” generato dalla tecnologia. Theodore John Rivers, in un articolo intitolato Technology’s role in the confusion of needs and wants (n.1 2008, Technology in Society ), sottolinea il potere della tecnologia nel generare confusione tra human needs (bisogni, necessità), relativamente limitati e circoscritti alla condizione di vita o di morte degli individui e gli human wants (desideri) potenzialmente infiniti perché legati al benessere e alla qualità della vita.
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Bisogna partire dal presupposto che la stessa distinzione tra bisogni e desideri è molto meno solida di quanto possa apparire a prima vista: ci sono popolazioni che riescono a fronteggiare situazioni di scarsità di risorse primarie ed altre, come quelle occidentali, che promuovono i desideri come necessità (per non parlare di dipendenze psicologiche e talvolta fisiche dalle droghe più o meno leggere che vengono vissute con urgenze vitali). Ciò che importa al nostro discorso è l’impatto della tecnologia su di essi e la sua capacità di trasformazione. Non c’è bisogno di sottolineare la pervasività della tecnologia sia nel mondo dei bisogni che in quello dei desideri, nel primo caso, possiamo citare ad esempio le applicazioni mediche e agricole; nel secondo quelle legate alle tecnologie dell’informazione che hanno assunto il ruolo di “espressione identitaria digitale”, cioè che sono diventate uno strumento per presentare a più persone ciò che siamo o vogliamo essere.
Tale presenza ubiquitaria della tecnologia nella società moderna ha posto il dilemma dell’artificialità dei desideri con insistente istanza: possiamo affermare che la tecnologia crea “bisogni tecnologici”? vale a dire genera desideri con gli stessi strumenti con i quali dovrebbe soddisfare le necessità in un circolo vizioso che può portare all'”incapsulamento” dell’uomo, utilizzando il concetto coniato da Nye?
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E’ questo un discorso che in antropologia potrebbe portarci molto lontano, ma non dobbiamo dimenticare che pur nella sua potenziale malleabilità, la natura umana è composta da una solidità, la cui variazione ne minerebbe la stessa esistenza, come sostiene infatti Rivers: oscilliamo dalla naturalezza con la quale utilizziamo la tecnologia alla suggestione per la sua invadenza, ma non dobbiamo dimenticare che non è la tecnologia a creare necessità (l’autore fa l’esempio dell’insulina ottenuta tramite DNA ricombinante), piuttosto è la condizione umana che ci spinge a soddisfare desideri attraverso lo sviluppo di abilità legate agli strumenti tecnologici.