Il tarantino Fabio Orsi nel giro di pochi anni è diventato uno dei punti di riferimento della scena della musica sperimentale nazionale ed internazionale. Era il 2005 quando l’esordio di “Osci” rilasciato per la SmallVoice conquistò critica e pubblico, in seguito l’artista ha continuato un’intensa attività produttiva rilasciando lo split “For Alan Lomax” per A Silent Place nel 2006, uno splendido omaggio all’etnomusicologo americano con la collaborazione de My Cat Is An Alien, e poi una serie di cd realizzati in duo con l’amico/compositore Gianluca Becuzzi, “Muddy Speaking Ghosts Through My Machines” uscito sempre per A Silent Place nel 2006 e “The Stones Know Everything” su Digitalis Industries nel 2007.
E’ indubbio che il talento di Fabio è ormai una realtà più che consolidata, il sound intimista e astratto, uno dei pochi a trovare il giusto compromesso tra sperimentazione e melodia, spazia tra drone ambientali, strumenti acustici magistralmente suonati e field recordings.
Fabio Orsi è un uomo di poche parole. Ma nelle stesse poche parole che ci siamo scambiati in questa intervista è riuscito comunque a raccontarci le impressioni ed i punti di vista sulla sua carriera artistica.
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Giuseppe Cordaro: Sono sempre stato affascinato dalla tua intensa attività produttiva, quando hai iniziato a catturare e nello stesso tempo a creare musica?
Fabio Orsi: Ti ringrazio, ho cominciato a lavorare con i suoni non molti anni prima dell’uscita del primo lavoro in vinile su Small Voices, sentivo la necessità di dar sfogo alle mie idee, possibilmente da solo e in modo diverso, da qui l’incontro con un primo computer e da lì tutto quello che ne è seguito.
Giuseppe Cordaro: La tecnologia ha rivoluzionato il modo di comporre, il digitale ha quasi sostituito l’analogico, per un field recorder come te cosa ha significato questo cambiamento? Non pensi che adesso attraverso questo approccio, a volte quasi semplicistico, sia cresciuto in maniere esponenziale il numero di persone che crea in digitale generando un divario tra quantità e qualità?
Fabio Orsi: Certo vero il digitale ha sostituito l’analogico, ma il mio approccio alle registrazioni ambientali e alla cura dei suoni è nato in un momento storico in cui l’avvento della digitalizzazione era già ad un buon livello. In questi ultimi anni poi il processo è cresciuto in modo del tutto esponenziale. Io ritengo che questo sia comunque un bene, nel mio caso facilita molto spesso il lavoro, sia per la trasportabilità e maneggevolezza dei supporti, sia per la facilità di utilizzo, tutto ciò permette di catturare quasi all’istante idee e impressioni sonore, per me direi indispensabile dato il mio approccio molto istintivo e umorale alla musica.
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Giuseppe Cordaro: Non pensi che il termine field recordings sia un termine molto inflazionato nel contesto contemporaneo musicale?
Fabio Orsi: Beh direi di si oramai è una procedura comune, trans-generica. E’ possibile ascoltare registrazioni ambientali o di campo quasi dappertutto, anche in questo caso non ritengo che la cosa sia un male, se alle spalle ci sono buone idee.
Giuseppe Cordaro: Artisti come Luc Ferrari, Pierre Henry e Pierre Schaeffer furono i pionieri della “musica concreta”, qual’è la tua visione rispetto a questo tipo di approccio musicale? E’ in linea con il tuo concetto di musica?
Fabio Orsi: Stimo molto gli artisti che citi, ho ascoltato molto in passato riguardo la musica concreta. Attualmente mi sento distante da tutto questo (non che sia stato mai così vicino..almeno nella mia musica..) sia per ascolti sia per stimoli personali.
Giuseppe Cordaro: Qual’è il tuo approccio allo sterminato mondo di suoni che ci circonda?
Fabio Orsi: Ascoltare ascoltare e ascoltare. Mi lascio facilmente circondare dai suoni. Ma spesso li maledico, una sorta di amore odio .
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Giuseppe Cordaro: La commistione tra passato e modernità è una caratteristica ammaliante della tua produzione musicale, semplici melodie, chitarre pizzicate, drones delicati si mischiano con i rumori della vita reale, secondo te l’uso di suoni ambientali nella musica è finalizzato a suggerire una drammatizzazione narrativa?
Fabio Orsi: Si decisamente, in alcuni casi il suggerimento è più marcato, come in Osci ad esempio, dove i suoni ambientali sono volutamente messi in primo piano a caratterizzare tutta la narrazione, in altri casi fungono da accompagnamento ad una melodia forte o ad un evento melodico, non in primissimo piano ma avvertibili e interiorizzabili comunque.
Giuseppe Cordaro: Parliamo della tua produzione musicale, dopo una serie di release in cd-r a tiratura limitata per alcune netlabels arriva “Osci” uscito per la Small Voice nel 2005 che ha segnato una svolta nella tua carriera, che peso ha quel disco per te?
Fabio Orsi: Ha tutto il peso che può avere vivere per 28 anni filati in un paese di provincia nel sud dell’italia. Peso e passione ed un forte spirito critico che aiuta a sopravvivere.
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Giuseppe Cordaro: Una della collaborazioni a mio avviso più suggestive è quella maturata con i fratelli Opalio ed il loro gatto alieno nello split tributo ad Alan Lomax, ci spieghi com’è nato questo progetto?
Fabio Orsi: L’amore per l’early blues unito alla figura storica di Alan Lomax, una stima reciproca e una label in comune che ci ha permesso di conoscerci e stringere rapporti amicali.
Giuseppe Cordaro: Le tue ultime produzioni ti vedono instancabilmente coinvolto con il musiciste e amico Gianluca Becuzzi, cosa vi lega nell’approccio compositivo?
Fabio Orsi: Anche in questo caso il rapporto d’amicizia che c’è tra noi caratterizza buona parte della nostra produzione. Grossa intesa emotiva e compositiva.
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Giuseppe Cordaro: Ci dai qualche anticipazione su quello che ci aspetteremo da Fabio Orsi?
Fabio Orsi: Certo, è in uscita per A silent place il primo di tre lavori in collaborazione con Valerio Cosi “We could for hours”, vicino di casa nonché bravissimo musicista, un nuovo lavoro in coppia con Becuzzi, “Sound postcards” sulla romana Cold Current, poi.. “The first born”un lavoro in coppia con Alessio Gastaldello (Mamuthones) batteria dei Jennifer Gentle e per la fine dell’anno un mio doppio cd, “Audio for lovers” per l’americana Last Visible dog.
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