Sonic Acts si è svolto ad Amsterdam il weekend dal 21 al 24 Febbraio scorso. Focalizzato sul tema della “Cinematic Experience” si è rivelato personalmente uno dei festival più riusciti a cui ho partecipato negli ultimi tempi. Un equilibrio stimolante tra conferenze, proiezioni, performance e mostra, con un tema portante che non svolge tanto il ruolo di cappello concettuale del festival (formula quanto mai stanca e miope, come molte rassegna hanno palesemente dimostrato ultimamente) quanto più quello di linea guida lungo la quale intraprendere un percorso lastricato di riferimenti tra la contemporaneità digitale e il suo riferimento storico analogico/meccanico/elettronico.
Per chi fa esperienze di festival e incontri, conferenze e mostre nell’ambito dell’arte digitale, in Italia e in Europa, sa bene che la mia frase non corre il rischio di essere banale. Sonic Acts anche nel 2008, come nei precedenti capitoli del 2006 e 2004 e 2002 del resto con altri ambiti tematici, riesce a rappresentare un momento di riflessione importante, ancora legato ad un approccio fortemente esperenziale dei nuovi media e ad una riflessione storico-artistica su di essi. Senza isterismi da grande evento, e senza soprattutto “spingere” verso direzioni istituzionali che ne snaturano l’approccio e il dinamismo. Punto.
Appuntamento sicuramente importante per tutti coloro che lavorano e studiano l’ambito dell’Arte Audiovisiva, Sonic Acts XII The Cinematic Experience ha costituito un momento unico di incontro con alcuni “mostri sacri” della nobile arte, nonchè un momento di riflessione sulle pratiche immersive, sinestesiche, sperimentali, neuronali ed estetiche del rapporto suono-immagini. Gli organizzatori di Sonic Acts sono stati in grado, con le performance, le proiezioni e gli incontri soprattutto, di inserire l’Arte Audiovisiva nell’ambito più ampio delle Arti Contemporanee, grazie ai continui rimandi con l’esperienza del primo cinema sperimentale, delle pratiche ricombinatorie di materiali e strumenti, del dialogo sinestetico tra musica e arti visive, del rapporto tra percezione e scienza. Il tutto in modo razionale, senza intellettualismi di sorta, grazie “semplicemente” ad un’estrema competenza e volontà di sviscerare l’essenza della tematica scelta. Forse sarebbe stata necessaria una maggiore riflessione anche sulle pratiche estetiche (alla fine, personalmente, non riesco a prescindere da questo punto) e sulle evoluzioni di cui sono state oggetto dalle prime esperienze del secolo scorso; la sensazione è chi ci si sia voluti concentrare maggiormente su un discorso maggiormente incentrato da un lato sulle pratiche e i metodi e dall’altro sugli effetti percettivi e scientifici.
![]() |
.
Ma al di là di questa riflessione molto personale, gli incontri sono stati sicuramente di spessore, il nucleo centrale attorno a cui si è sviluppato tutto il Sonic Acts. All’interno del piccolo teatro del De Balie (centro nevralgico del festival e accogliente punto di incontro per artisti, conferenzieri e pubblico pagante) esperti internazionali dai campi delle arti visive, della musica, della scienza, della letteratura e dell’arte, si sono alternati per dipingere il quadro dell’Arte Audiovisiva di ieri, di oggi e di domani.
Personalmente le due esperienze più intense sono state da un lato la lecture di Erkki Huhtamo, incentrata sulla storia delle “diorama” e sul loro significato storico e culturale in rapporto allo sviluppo della cultura dei media contemporanei, e dall’altro quella con il regista e figura di riferimento per le prime sperimentazioni sul modium audiovisivo Ken Jacobs (intervistato su questo numero di DigiMag), che si è poi esibito con la sua Nervous Magic Lantern al Paradiso la sera di sabato.
Maggiormente incentrate sul dialogo tra scienza e arte, sul rapporto neuronale tra suoni e immagini, nonché sui concetti di immersività spaziale e percezione dello stimolo audiovisivo gli incontri con Kurt Hentschlager e Tez, con Jeffrey Shaw e Marnix de Nijs, con Ulf Langheinrich e infine Timothy Druckery. Kurt Hentschlager e Tez hanno focalizzato il loro incontro sulla tematica del flickering e sull’impulso percettivo delle retina e del cervello umano sotto stimolo costante di luci e video: approccio forse un po’ riduttivo per il progetto Feed di Kurt (di cui abbiamo parlato sul numero di Digimag) ma comunque adatto al nuovo progetto PV868 di Maurizo Martinucci, poi esibitosi live sabato sera al Paradiso.
![]() |
.
L’incontro di Jeffrey Shaw e dell’artista olandese Marnix de Nijs si è invece maggiormente concentrato sulla tematica dell’interattività. Stupefacente l’intervento dell’artista e ricercatore australiano che ha strabiliato tutto mostrando i lavori sull’interattività di sistemi audiovisivi immersivi che sta seguendo da anni presso l’iCinema Research Institute di Sydney. Tecnologie per il cinema di domani, che richiedono sicuramente contenuti artistici all’altezza ma che illustrano uno scenario sui possibili teatri e cinema di domani. Se infine Ulf Langheinrich si è impegnato a illustrare come i suoi lavori (tra cui il live Drift performato la sera di sabato al Paradiso) siano focalizzati principalmente sulla sintesi granulare del suono e delle immagini allo scopo di innescare una percezione corticale delle informazioni audiovisive, il docente americano Timothy Druckery ha incentrato il suo intervento su una serie di video storici che documentano la relazione tra le prime macchine computazionali e i primi studi sulle forme di intelligenza artificiale.
La terza giornata di incontri si è invece inserita invece all’interno del programma dei video screening: se quindi gli artisti Mika Taanila e Rose Lowder hanno presentato alcuni dei loro lavori video, molto interessanti sono risultati gli incontri Absolute Sound e Future Cinema dove sono stati proposti due modi alternativi di lavorare con l’esperienza cinematica. Il primo incentrato sul suono e in assenza di immagini (bellissimo il soundscape Weekend di Walter Ruttmann del 1928) e il secondo focalizzato su alcuni artisti che non possono essere definiti registi per definizione (anche qui, molto bello il lavoro Study #40 dell’artista austriaca Lia del 2007). Rassegna di video che, nell’arco dei tre giorni di Sonic Acts, ha regalato molti momenti spettacolari. Su tutti la collection Absolute Time (commoventi tra gli altri The Flickr di Tony Conrad del 1966, Instructions for a light and a sound machine di Tscherkassky del 2006, Noisefields dei Vasulka del 1974 e Around Perception di Pierre Hebert del 1968) e Absolute Frame I e II (forme visuali, ritmi, colori, percezioni audiovisive).
![]() |
.
Altrettanto interessante poi la mostra, organizzata all’interno delle stanze del Montevideo: Ulf Langheinrich, Kurt Hentschlager, Julien Marie e Boris Debackere gli artisti coinvolti. Molto differenti i progetti esposti, con l’intento palese di coprire differenti approcci sia tecnici che estetici all’esperienza cinematica audiovisiva. Personalmente bellissimi i lavori del francese Julien Marie, artista che da anni lavora nei territori dell’audiovideo con un approccio a cavallo tra analogico e digitale, con una riflessione spesso critica sull’utilizzo delle tecnologie digitali a discapito della ri-scoperta e della materialità della creazione artistica attraverso suoni e immagini. Così “Low Resolution Cinema”, come suggerisce il nome stesso, è una proiezione low tech che riproduce in maniera astratta lo spazio geopolitica della città di Berlino e in cui l’immagine è ottenuta mediante uno speciale proiettore che utilizza due Liquid Crystal Displays (LCD) in rotazione. E ancora la famosa installazione “Exploding Cinema” trasforma lo spazio dell’esposizione in un vero e proprio film studio sperimentale, fantastico nella sua meccanicità, in cui viene riprodotta, per decostruzione successiva di suoni e immagini, l’assurdità della guerra.
Seguendo un invisibile fil rouge, fatto di sensibilità e delicatezza, l’installazione video di Kurt Hentschlager, “Scape”, incentrata sui temi della percezione del tempo, della coscienza fenomenologia, della riflessività, segue il processo astratto di evoluzione di un ramo d’albero in bianco e nero che assomiglia più a un disegno Zen che a un oggetto naturale. Molto diversi come approccio tecnico e impatto audiovisivo i lavori di Boris Debackere, “Probe”, installazione interattiva immersiva che gioca con il movimento dello spettatore invitandolo a calarsi percettivamente in un flusso magmatico di suoni e immagini in funzione della sua vicinanza allo schermo della proiezione, e Ulf Langheinrich. L’artista è presente infatti alla mostra con due lavori: “OSC” e “Soil”. La prima, riprende molti dei temi affrontati al festival e prosegue in un certo tipo di lavoro cui i Granular Synthesis si sono dedicati per anni, grazie a un processo di immersione dello spettatore di fronte ad un’installazione che gioca essenzialmente con il flckering dell’immagine video. La seconda invece gioca maggiormente con i temi dell’astrazione video, riportando su quattro schermi disposti orizzontalmente una serie di elegantissime grafiche in movimento ottenute tramite un processo di decostruzione di immagini filmiche, come elementi primarie di una ricerca sulla struttura del tempo e sulla field creation tanto cara all’artista Austriaco.
![]() |
.
In conclusione le performance dal vivo, presso la splendida location del Paradiso: Cluster, Leafcutter John e Pomassl&Nikita Tsymbal sono stati i momenti più interessanti della prima serata, mentre hanno francamente un po’ deluso i tre mentori della Raster-Noton con il loro progetto Signal. Senza correre il rischio di essere blasfemi, la sensazione è stata quella di una performance troppo statica e ripetitiva sulla base di stilemi audiovisivi ormai assoribiti e compresi, da troppi anni ormai. Rigore formale e minimalismo tipico di tutti i lavori sia di Cartsen Nicolai che di Frank Bretschnaider che di Olaf Bender, ma che nel compendio delle tre personalità artistiche si rivela piuttosto debole e ripetitivo, bellissimo ma freddo, a tratti quasi banale. Peccato.
La seconda serata, quella del sabato, ha pagato giusto tributo come detto all’artista Ken Jacobs e alla sua “Nervous Magic Lantern”: un “silenzio riverberato” di rara magia e fascinazione, un momento di pausa analogica in mezzo all’ossessivo flusso digitale che ovviamente ha caratterizzato Sonic Acts. Sulla stessa falsariga la performance “Illuminated Dislocations” di Bruce McClure, che riporta sul palco strumentazioni audiovisive analogiche ormai dimenticate (come la xenon flash di Harold Edgerton degli anni ’30 o altre esoteriche tecnologie filmiche) accompagnando la ripetizione ossessiva sullo schermo di un’immagine in flicker con un tappeto noise altrettanto allucinato e quasi mantrico. E ancora, la performance “Circo Ipnotico” di Otolab, presentata proprio da Digicult, che ha stupito il pubblico presente per la resa formale e rigorosa in termini di audio e video, tramite un uso affascinante e unico di software digitali, macchine analogiche, segnali elettronici, manualità umana e improvvisazione live. Sempre eleganti ed efficaci infine le performance di Ryoichi Kurokawa, Ulf Langheinrich, D-Fuse e il progetto nuovo di Tez, come esempi più esplicitamente digitali di quella che può essere l’esperienza cinematica contemporanea, immersiva, sinestetica o narrativa, resa dal vivo.
![]() |
.
Una chiusura unica, infine, per questa dodicesima edizione del Sonic Acts, la domenica sempre presso le sale del Paradiso: la presentazione live dell’efficacia sonora immersiva dell’Acousmonium, storicamente uno dei primi esempio di spazializzazione del suono ottenuta mediante la costruzione di un sistema a 80 speakers di differenti dimensioni, posizionati a diverse altezze e distanze tra loro. Giornata organizzata in collaborazione con il centro di ricerca GRM Group de Recherches Musicales di Parigi, è stata caratterizzata inizialmente da una serie di esecuzioni, da parte del direttore Christian Zanesi, di composizioni per Acousmonium di Parmigiani, Pierre Schaeffer, Pierre Henry, Michel Chion, e successivamente da performances live rispettivamente dello stesso Christian Zanesi, del compositore Kasper Teopliz, della leggenda Hans-Joachim Roedelius e di Christian Fennesz in conclusione.
Un pomeriggio e una serata assolutamente magici, di comprensione dei meccanismi fisici del suono e della risposta della percettività umana agli stimoli sonori, di emozione genuina. Un degno finale per uno dei festival, mi ripeto, più interessanti e meglio curati a cui mi è capitato di assistere da tempo. Complimenti a Sonic Acts!.