The Gate (or Hole in Space, Reloaded) è un’installazione realizzata per la mostra inaugurale dell’ iMAL Center for Digital Cultures and Technology di Brussels (4 – 10 ottobre 2007).

Nata da un’idea di Yves Bernhard, direttore dell’iMAL, l’installazione intendeva affrontare una questione solo apparentemente semplice: come creare un ponte tra spazio reale e mondi virtuali, in modo tale da permettere la fruizione di questi ultimi (e l’interazione con i loro abitanti) nello spazio fisico, senza la mediazione dell’interfaccia grafica. Il problema si è già posto più volte, e la soluzione adottata – la proiezione, nello spazio reale, di uno streaming video dal mondo virtuale – ha dimostrato più volte di non funzionare. The Gate non ha risolto il problema, e la soluzione che ha trovato alla fine di un percorso abbastanza accidentato è ben lontana dall’essere definitiva. Tuttavia, un passo avanti c’è stato, e diversa gente, da un lato e dall’altro, ha tentato di superare la soglia.

Nello scorso numero di questa rivista abbiamo riportato la prima parte del resoconto di questa esperienza: concludiamo il racconto dei fatti in questo numero…

The Gate: il primo giorno

L’evento inaugurale, la sera del 4 ottobre 2007, è un successo, almeno in termini di audience. Lo spazio reale è saturo, l’angolo di Odyssey scelto per la performance anche, ai limiti della sostenibilità. La performance di Second Front è visivamente affascinante, il decadentismo di Rodin e il kitsch sintetico di Second Life sembrano aver trovato un ottimo anello di congiunzione. Ma… c’è un ma. Alcuni avatar trovano la performance un po’ noiosa: non è facile fargli capire che i performer devono tenere conto anche di un altro pubblico, una platea di alieni per cui ciò che a loro appare scontato risulta folle ed efficace. E tuttavia, anche questo pubblico di alieni, seppur affascinato, non capisce del tutto cosa stia accadendo. Non capisce di essere spettatore di una performance, e non capisce che può mandare dei segnali ai performer, tentare di interagire con loro.

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Non capisce, in altre parole, di essere dentro lo schermo. Non lo capisce perché non si vede. Concentrati sulla simmetria delle due installazioni, non ci siamo resi conto che, ancora una volta, la performance appare non come un evento in diretta, ma come un video su uno schermo. E facendo affidamento su Hole in Space , non ci siamo resi conto che – se quest’ultimo connetteva due realtà analoghe, noi stiamo creando un ponte tra due mondi totalmente differenti. Uno (lo spazio reale) è familare a persone e avatar, l’altro è ben noto ai secondi ma non necessariamente ai primi. I due spazi che volevamo far comunicare rimangono separati, non interagiscono. Perché?

Personalmente, sono convinto che il nostro errore sia stato pensare che bastasse connettere i due spazi, nella speranza che ciascuno agisse nel suo mondo sapendo di essere visto dall’altra parte. Su questo presupposto, la cosa poteva funzionare (e funzionerà, come vedremo subito), a patto che esistesse un elemento di condivisione, sulla base del quale costruire l’interazione. Conclusa la performance di Second Front, Gazira Babeli installa sopra il portale il suo ultimo lavoro: un gigantesco rubinetto che vomita sul tappeto nero del Gate ogni sorta di oggetti, intasando completamente lo spazio della rappresentazione. La scultura, chiamata Ursonate , è accompagnata, appunto, dalla celebre Ursonate dell’artista dada Kurt Schwitters. Sentendola, due componenti del pubblico “reale” si mettono a danzare al centro dell’installazione, offrendo al pubblico di Second Life il “loro” spettacolo. La musica proveniente da Second Life offre una base all’interazione.

La danza, e poi Gazira nuda spiaccicata sullo schermo che proietta in Second Life il pubblico reale, mi fanno riflettere. Abbiamo tenuto separati i due spazi, invece avremmo dovuto creare un “terzo luogo” in cui questi due spazi convivono. E questo spazio è dentro allo schermo. Abbiamo fatto riferimento a Hole in Space , ma avremmo dovuto guardare piuttosto a Satellite Arts Project ’77 , un altro progetto di Galloway & Rabinowitz. In esso, due gruppi di danzatori si trovano a convivere, grazie alla trasmissione satellitare, su un unico palcoscenico virtuale proiettato di fronte a loro: controllando i propri movimenti sullo schermo, possono danzare insieme pur trovandosi in luoghi geograficamente distinti.

È fatta. Il terzo luogo esiste già, è dentro Second Life. Basta girare la telecamera, in modo che riprenda sia il tappeto nero, sia lo schermo che trasmette in streaming dall’iMAL. In tarda serata, chiedo a Yannick di provare. Funziona.

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The Gate: “interacting with aliens”

Per fortuna, non sono l’unico ad aver avuto la stessa idea. Il giorno dopo, quando torno all’iMAL, trovo l’installazione leggermente cambiata. Con la complicità di Yannick, Gazira ha inglobato il nostro schermo all’interno della porta di Rodin, che gli fa da maestosa cornice. I due spazi si sono fusi. Gaz si mette a giocare con il pubblico della mostra, e appena prima di ripartire per l’Italia ricevo da lei una serie di immagini fenomenali. Le ha chiamate Interacting with Aliens . La mostrano, nuda e a testa in giù come un pipistrello, mentre punta una pistola alla testa di uno degli artisti in mostra ( Erland Jacobsen Lòpez, che come Gazira ama le chitarre: http://eil.net/ejL/ ). L’interazione si sviluppa spontaneamente attraverso gesti, grida, pantomime, bigliettini scarabocchiati a matita (“I don’t have a computer”, dice uno) e, sull’altro fronte, oggetti volanti, eventi e ancora gesti.

Nei giorni seguenti, The Gate è stato quello che voleva essere: una sorta di peep-show bidirezionale, un luogo di performance spontanee e di interazione. C’era chi danzava e chi salutava, chi è arrivato con un violoncello per suonare Bach, chi recitava Kafka e chi si è fatto crescere i capelli fino al punto da dare vita a un nuovo essere alieno, dotato di vita propria. È arrivato anche un troglodita, che parlava una lingua sconosciuta. È stata raccolta molta documentazione, e sono state raccontate tante storie. Alcune devo ancora sentirle.

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Ovviamente, c’è ancora molto da fare: ma la direzione sembra quella giusta. Bisognerebbe fare in modo che lo streaming audio, come quello video, sia bidirezionale, a costo di generare confusione. Siamo usciti da Babele, risolveremo anche questa. Bisognerebbe provvedere i due palcoscenici di piccoli tool per lo spettacolo e l’interazione: oggetti che aiutino gli avatar meno esperti a fare qualcosa di più che danzare, salutare e scattare fotografie, e che aiutino i visitatori reali a comunicare e a dare spettacolo. Si potrebbero progettare performance molto semplici che avvengano parallelamente nei due spazi, come la danza sincronizzata di Galloway e Rabinowitz. The Gate è un progetto che merita un seguito: se non saremo noi, spero che sia qualcun altro a darglielo.


www.imal.org/

http://odysseyart.ning.com/

www.gazirababeli.com/

www.artificialia.com/peam2006/

www.0100101110101101.org/home/performances/index.html

http://slfront.blogspot.com/

www.ecafe.com/getty/table.html

www.domenicoquaranta.net/blog/