Tra le varie realtà italiane che si stanno affacciando nel panorama delle arti elettroniche e contemporanee, quest’anno anche Perugia ha ospitato una serie di eventi di particolare attenzione. Performance, workshop, ambienti interattivi, mostre, concorsi, concerti, incontri, festival: questo è stato “Le arti in città” , che ha visto tra i protagonisti: Saul Saguatti, Murcof, Giovanni Sollima, e Isabella Bordoni.

Il progetto di Isabella Bordoni insieme a Luca Berardi e Angelo Benedetti per ” Le arti in citt à” a Perugia si è sviluppato in tre parti. Luoghi pubblici di transito come scale mobili e ascensori sono stati sonorizzati dalla registrazione della conferenza ” Simplicity and Chaos ” di John Cage fatta a Perugia nel 1992, e rielaborata come trama poetica per la costruzione di un ambiente sonoro. Un workshop di una settimana ha raccolto e montato materiale audio-video sulla città e sulle esperienze personali di ogni partecipante, realizzando un’installazione inserita poi nel contesto della performance conclusiva. L’evento finale ha visto l’esibizione poetico-performativa di Isabella Bordoni, alternata a quella musicale della violoncellista Ulrike Brand, nello scenario della Rocca Paolina.

Isabella Bordoni è poeta, regista e attrice. Il suo interesse è rivolto agli eventi acustici e visivi, alle tecnologie sensibili alla memoria, al linguaggio, e ai sistemi della comunicazione. I contesti in cui spazia sono il teatro, la radio, la performance e i media. Dalla metà degli anni ’80 opera nel nord dell’Europa, in particolare nei centri di ricerca delle nuove tecnologie applicate alle arti, di Linz, Graz, Vienna e in Germania. Dal 1985 fino al 2000 è stata parte portante di Giardini Pensili, compagnia teatrale di particolare rilievo nell’ambito delle tecnologie e le arti sceniche. Insegna Videoarte e Regia/Drammaturgia all’Accademia di Belle Arti di Rimini e collabora come docente nel master di Digital Environment Design alla NABA di Milano.

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Alessio Chierico: Nella tua ricerca artistica attualmente sei interessata a creare ambienti poetici che si mescolano con il luogo: la sua struttura, la sua storia e le persone che ci transitano e lo vivono. Parola, voce, suono e scena, sono gli elementi su cui focalizzi il tuo lavoro. Quale rapporto riesci a instaurare tra questi elementi e lo spazio che ospita le tue creazioni?

Isabella Bordoni: Ogni ricerca artistica si innesta su un luogo, sia esso lo spazio predisposto di una scena teatrale o lo spazio limitato ad un’azione, a un gesto, a uno o più corpi, oppure quello aperto e imprevedibile dello spazio pubblico.  In quest’ultimo caso il lavoro sui luoghi contiene molte incognite alcune delle quali appartengono al sistema di relazioni che si crea tra evento ed utente, nel meccanismo sensibile alla rilevazione e alla risposta. Operazioni del genere si aprono pertanto ad un vero e proprio mistero.

Da qualche anno chiamo poetry.scapes un progetto permanente che comprende eventi realizzati su diversa scala, talvolta realizzati con l’ausilio di tecnologie interattive: si tratta di installazioni o eventi che creano prossimità poetica con i luoghi. Nell’avvicinarsi a un luogo e a un’esperienza si tratta di correre un rischio, di elaborare spazi di conoscenza dove il nostro sapere barcolla. Esistono però delle regole date soprattutto dall’esperienza, la prima delle quali è l’onestà. Non si bluffa con l’esistente. L’onestà di cui parlo è un apprendistato, una misura della coscienza, forse addirittura uno stato geometrico che dà spazio alle forme. Dunque credo si tratti innanzitutto di elaborare un rapporto tra le forme, fatto di “relazioni affettive” dove parola, voce, suono e scena trovano in sé e nei luoghi spazi di decantazione. Così accade che il luogo si manifesta come mappa emotiva, contraddittoria, esitante e pertanto “vera”. E’ uno spazio di verità esposto alla conoscenza. Tu dici “spazio che ospita le creazioni”,  ed è giusto, perché ogni spazio è ospitale. Gli eventi che creo nei luoghi hanno il carattere di un’esperienza che situa e de-situa, reciprocamente, corpi e territori. La poesia ha questa possibilità, di con/fondere il pensiero e comprendere gli opposti.

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Alessio Chierico: Nel definire e collocare la tua arte ti riferisci al “Terzo paesaggio ” , quale rifugio della diversità. Di quale particolare importanza si carica questo ” luogo ” ? Quali interessi poetici può esprimere?

Isabella Bordoni: Mi interessa il concetto di “terzo”. Terzo è , in qualche modo, l’inatteso. Spazio di relazione che si crea proprio là dove i termini del dualismo si biforcano. Mi interessa il terzo – soggetto o oggetto – di una relazione che apre il dualismo alla collettività e che nell’apertura rompe un equilibrio o una dialettica prevedibile. E’ la malattia dentro a un corpo sano, è il clandestino dentro lo stato, lo straniero dentro la casa, il trauma dentro l’esistenza, è il dubbio dentro alle certezze, la domanda oltre le risposte.

Sono elementi di disturbo che deterritorializzano l’io dal proprio sé e lo fanno soggetto nomade. Ma di ciascuna di queste cose l ‘ idea del ” Terzo2 è anche il contrario: la guarigione dentro la malattia, la casa ovunque, la risposta oltre le domande. Da qualche parte c’è un “sì” da ascoltare. Questo è l ‘ inatteso. Inatteso è il sì di una resa che non è sottomissione ma nuovo sguardo. Non cercata, essa arriva. Ferita e insieme fioritura, è il neutro oltre il maschile e il femminile, creatura eversiva che contiene legamento e cesura, in pratica è ” spazio di relazione ” sottoposto ma non sottomesso al tempo.

Terzo paesaggio riecheggia infatti anche l’idea di Terzo stato, uno spazio che non esprime né il potere né la sottomissione al potere. Dunque mi interessa pensare un certo paesaggio come luogo terzo, posto tra la luce e l’ ombra. Sono debitrice in questo ad un piccolo libro, Manifesto del terzo paesaggio di Gilles Clément, che ci parla di spazi indecisi e senza nome. Leggendolo mi sono accorta che il paesaggio/territorio che Clément definisce terzo, è esattamente lo spazio artistico verso il quale tendo. Credo che sia anche per questo che nel corso degli anni ho rinunciato via via ai ” nomi ” , alle categorie, alle definizioni, per abitare invece le zone di confini e di attraversamenti.

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Alessio Chierico: Reputo molto interessante anche la concezione di “ovunque-luogo” quasi una contrapposizione, o meglio, una prospettiva differente da quella proposta dal concetto di “non-luogo”. Il “non-luogo” è stato uno dei simboli caratteristici della cultura post-moderna, in ambito artistico si potrebbe parlare della cultura del campionamento, del riutilizzo di forme preesistenti. Il concetto di “ovunque-luogo”, e delle potenzialità poetiche dell’ambiente, si può considerare, anche, come presagio del passaggio ad una rivalutazione creativa all’interno del contesto contemporaneo?

Isabella Bordoni: Il concetto di non-luogo prima, quello di superluogo e subluogo poi, sono fondamentali per la comprensione della città, della società e dell’arte contemporanea. In questa prospettiva le interpretazioni di Marc Augé, ma anche di Mike Davies e le eterotopie di Foucault, si collocano lì dove la città si espone, dove il corpo urbano si fa massa, il corpo umano luogo di esposizione e di consumo. Dove lo spazio si compie per eccesso di rappresentazione. Hotel, centri commerciali, multisale, sono riempiti di senso in prospettiva sociale. Capirli ci fa capire le esigenze di vita attuali, del nostro tempo. A me interessa però, da tempo, soprattutto un’altra prospettiva che chiamo di “cittadinanza poetica”, dove i due termini, cittadinanza e poetica, si muovono uniti e disgiunti, in uno spazio comune di inattualità . Sono luoghi inattuali gli spazi altrove chiamati “residuali”, dimenticati, le memorie minori, gli sguardi sull’infanzia come luogo del transitare e del continuo divenire. Essi conservano la memoria del proprio passato come presagio del futuro, presagio, promessa, conquista di vita. Riconoscerli significa riconsegnare lo statuto di vita originaria ad ogni luogo. Un ovunque poetico. Intendo dunque con “ovunque-luogo” uno spazio-tempo indefinito e inalienabile.

Alessio Chierico: Rimanendo nel tema degli ambienti, secondo te un cyberspazio come internet, contiene potenzialmente qualità poetiche, come le ha qualsiasi luogo fisico? Può suggerire la costruzione di un poetry.scape?

Isabella Bordoni: Sono molto affezionata alla rete ed in generale mi interesso con passione ai sistemi della comunicazione. Il poetico è ovunque, ma si manifesta parsimoniosamente. E’ un lavoro lento, contiene un’utopia. In “Strada a senso unico” Benjamin dice che “Il ricordo, simile a raggi ultravioletti, indica ad ognuno nel libro della vita una postilla che invisibile, come profezia, interpreta il testo”. La memoria, la postilla, l’invisibile…dico a volte che il mio lavoro respira nelle pieghe del discorso. So di appartenere a un pensiero minoritario.  Amo condurre l’arte in uno stato di sospensione e stupore. Questo processo chiede di fare un’esperienza reale dei sensi, ma anche di  descrivere una scena interiore, stare nello spaesamento e nella perdita. Si indagano in questo modo dei territori sensibili che ri/velano un proprio enigma. Se interpretiamo internet come luogo “terzo”, la risposta è sì, è possibile transitare poeticamente in questo terzo luogo dell’altrove.  Del resto è proprio la rete  che permette la fruizione a distanza, nomade, pluridirezionale e di autorialità condivisa.  Tuttavia ho l’impressione che lo spazio della rete oggi sia interpretato perlopiù come luogo del qui, dell’immediatezza e dell’ esposizione. Dunque è possibile costruire in internet piattaforme poetiche, dispositivi atti a comporre poetry.scapes, a condizione che si medi il qui con l’altrove.

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Alessio Chierico: Come vedi personalmente le tecnologie e i media rapportati ad arti di origini antichissime come la poesia e il teatro? Quale è il loro ruolo nelle tue creazioni? Vanno considerati in base ad una valenza puramente estetica, o esiste anche l’intento di indagare all’interno di questi linguaggi?

Isabella Bordoni: La prima cosa che ho fatto da giovane, di segno creativo, è stato scrivere. Poi sono cresciuta artisticamente nell’ ambito della ricerca nordeuropea, mettendo da subito in stretta relazione i progetti artistici con le tecnologie della comunicazione. Parlo di eventi come “La Natura ama nascondersi” del ’92, “Realtime” del ’93, “Lost Memories” del ’94, “Horizontal radio” del ’95 o “Sphil “del ’96, progetti che mi hanno vista protagonista insieme ad altri, perché si trattava spesso di progetti collettivi dove il mondo fisico si interfacciava con la rete.  Di questi progetti ho avuto  la responsabilità drammartugica, il compito di una tessitura poetica  tra la parola, la scena e il/i media. Ho abitato il teatro in Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’80, proprio seguendo quel solco che per me si era aperto con le esperienze di un’arte pluridisciplinare. La mia esperienza teatrale si è svolta quindi spontaneamente nel reciproco sconfinamento di linguaggi, di arte e tecnologie. Dunque non riesco a pensare una vera distinzione tra una valenza estetica e l’indagine di un linguaggio proprio perché non credo esista linguaggio senza estetica.

Alessio Chierico: Il corpo è di fatto un elemento espressivo essenziale negli ambiti performativi e teatrali. Quali condizionamenti impone lo sviluppo tecnologico in rapporto con il corpo? Quali caratteri espressivi possono nascere dall’interfacciamento uomo-macchina?

Isabella Bordoni: Sì, quando parliamo di paesaggi/territori/scena, inevitabilmente ritroviamo un luogo corporeo. Il corpo è una macchina gloriosa, mutevole e caduca, che già contiene la propria interfaccia, la propria protesi comunicativa: il linguaggio.  Il corpo-linguaggio ci è casa ed erranza. Nella mia esperienza teatrale, ma non solo teatrale, diciamo più ampiamente performativa ma anche di scrittura, ho desiderato mettere sulla scena sia un corpo-linguaggio atletico sia un corpo-linguaggio ieratico. Come dimora e come intruso, da una parte il corpo-linguaggio è quieto e contemplativo, dall’altra parte cinetico e virale. Naturalmente non si tratta tanto di valori che si contraddicono, quanto piuttosto, ancora una volta, di aprire il conflitto apparente a luoghi terzi, di risonanza e di invisibilità. Io credo, da tempo, che la tecnologia porti il fantastico. Non tutta la tecnologia, ma una tecnologia che onora l’infanzia dell’uomo, la sua memoria poetica. Dunque una tecnologia anch’essa bambina, imprudente e sognante.

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Alessio Chierico: Diverse nature, il nome del workshop che hai diretto, si riferisce alle molteplici stratificazioni della città di Perugia, che vedono epoche diverse innestarsi nello stesso ambiente. Così come sono di diverse nature gli ambiti di ricerca in cui si è indagato: poesia e paesaggio, infanzia e tempo. Esiste una correlazione concettuale tra il tempo e le esperienze di una città e quelle di una persona? Quali similitudini emotive legano la poesia del paesaggio/luogo, alla poesia della persona?

Isabella Bordoni: Ogni cosa esiste nella conoscenza. Persona e mondo, micro e macrocosmo si innestano l’uno nell’altro infittendo la griglia dei reciproci sguardi. Chiamo “sguardo” lo stare sensibile del mondo al mondo. Sì, indubbiamente, avere un tempo ed una geografia di riferimento diversi gli uni dagli altri, fa di noi le persone che siamo. Sai, quella mappa invisibile e risonante che dicevamo prima, è proprio questo. Non a caso ho messo a dedica di questo progetto una poesia di Borges: La citta` vive in me come un poema / che non m’e` riuscito di fissare in parole. / Da un lato v’e` la eccezione di alcuni versi; / dall’altro, accantonandoli, / la vita percorre il tempo, come terrore / che usurpa tutta l’anima. / Ci sono sempre altri crepuscoli, altra gloria; / io provo il logorarsi dello specchio / che non si placa in una sola immagine.

Alessio Chierico: Nelle tue sonorizzazioni di ambienti pubblici hai lavorato sfruttando l’infrastruttura tecnica già preesistente, appropriandoti quindi di mezzi istituzionali che hanno un certo grado di pervasività . In ciò si può osservare un tuo intento, o ti sei servita di questi strumenti audio puramente per “parlare con la voce del luogo ” ?

Isabella Bordoni: Un aspetto davvero interessante del progetto di sonorizzazione pensato per Perugia, all’interno e all’ esterno della Rocca Paolina, è l’essersi misurati con un luogo che, come dicevi tu prima, contiene così tante stratificazioni storiche. La storia etrusca e romana, quella medievale, la storia moderna e contemporanea segnano tangibilmente qui più che altrove le nature plurali di questa città . Poi l’oggi, che anche qui ridisegna centri e periferie multietniche. E ‘ stata una bella scommessa lavorare ” con ” la Rocca Paolina perch é lo spazio è talmente affascinante ma anche talmente difficile, da comportare un vero corpo a corpo. All ‘ interno della Rocca si percorrono le antiche strade e piazze della Perugia medievale, ma la cosa che rende questo luogo ancora pi ù controverso e bellissimo è che dal 1982 è percorso da ascensori e scale mobili che collegano la parte bassa della citt à con la sua parte alta. Immediatamente appena metti piede lì dentro, come me da straniera, pensi a ” Parigi capitale del XIX secolo ” di Benjamin, pensi all ‘ età della tecnica, ai ” passages ” , alle mutazioni delle prima rivoluzione industriale, precipiti in un ” gap ” temporale di grande forza.

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Si può capire dunque come l’idea di “flusso” che era la base concettuale della sezione curata da Moreno Barboni ed all’ interno della quale il progetto Diverse Nature è stato ospite, si calasse perfettamente in questo ambiente. E’ stato un tutt’uno: interpellare la natura di quel luogo, la sua conformazione architettonica, il suo utilizzo come infrastruttura, la sua dotazione tecnica. Inoltre è stato davvero interessante il lavoro di ri-semantizzazione che è stato fatto, se si pensa che l’impianto di diffusione acustica di tutto il sistema di trasporto meccanizzato, normalmente usato per informazioni di servizio, allarmi per la sicurezza dei passeggeri, etc, è stato invece utilizzato per creare una nervatura poetica a partire dalla voce di John Cage.

Il 23 giugno del 1992 John Cage presentava a Perugia la conferenza ” Simplicity and Chaos ” , su invito dei Quaderni Perugini di Musica Contemporanea. Io c’ero, in attesa di mia figlia che sarebbe nata di lì a poco. Ho pensato spesso negli anni a quell’incontro breve ma particolarmente affettuoso e la frase ” everythink will be good ” e una carezza. Quindici anni dopo, la registrazione sonora di quell’incontro che fu per Cage l’ultimo viaggio in Italia a pochi mesi dalla morte, è tornato nella citt à come pulsazione poetica. Con l’utilizzo di questi materiali – mixati con voce e parole mie – ho desiderato farne testimonianza e dono. Dunque torniamo a quelle ” relazioni affettive ” da cui eravamo partiti all ‘ inizio.


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