Il 27 settembre Helga Nowotny (http://www.helga-nowotny.at/) è intervenuta all’interno del seminario Scienza Tecnologia e Società organizzato dall’Università di Trento. I temi trattati si rifanno principalmente a Curiosità insaziabile. L’innovazione in un futuro fragile, l’ultimo suo testo tradotto in italiano, ma uscito già nel 2005 in Germania con il titolo Unersättliche Neugier, Innovation in einer fragilen Zukunft . Nowotny è una delle più importanti sociologhe della scienza viventi: è vice presidente e membro fondatrice dell’European Research Council (ERC), nonché presidente del Comitato consultivo europeo della ricerca (EURAB) nel 2005 e nel 2006.
Il cardine del discorso della Nowotny è chiaro: l’epoca attuale è contraddistinta da un grado elevato di incertezza e ciò è dovuto allo straordinario livello raggiunto dalla ricerca scientifica; questa condizione porta a un inevitabile paradosso: più sapere scientifico = più incertezza e insicurezza. Inoltre, dove si colloca socialmente ed istituzionalmente il confine tra il fascino del nuovo e il timore dell’ignoto? Tra innovazione e conservazione?
Secondo Nowotny, una delle fonti della fragilità del futuro è imputabile all’eccesso di offerta del sapere che se da un lato permette di offrire soluzioni multiple a problemi attuali (quali ad esempio lo smantellamento dello stato sociale, la disoccupazione, le malattie orfane, cioè non considerate dalla ricerca farmaceutica, ecc ) ha dall’altro lato la conseguenza della loro impossibile messa in pratica, a causa di conflitti di scenari tracciati da commissioni e da expertise che temono un aumento eclatante dei rischi e delle minacce correlato a tali soluzioni.
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Uno degli imperativi che si impone nelle politiche della ricerca è quindi quello del “desiderio di controllare l’imprevedibile”. Tuttavia, questa fiducia nelle possibilità di dirigere la ricerca, bloccandone alcuni sviluppi, è secondo la Nowotny un modello ormai inadatto al tempo presente perché come dimostrano ad esempio le biotecnologie, le scoperte scientifiche seguono una propria dinamica: le multinazionali tentano di dirigerne il potenziale (attraverso ad esempio il controllo dei finanziamenti o i brevetti), la politica impone scelte istituzionali che limitano il dibattito pubblico sull’utilità di alcuni studi perché sembrano sfidare le basi morali delle società, ma i saperi si diffondono nei mercati e nella società e acquistano una nuova spinta da questa circolazione di risultati, idee e scambi cognitivi.
Qui il discorso della Nowotny si fa più tagliente: le fonti della conoscenza devono essere ampliate e la parola chiave è quella che risuona retoricamente ovunque: innovazione. L’autrice afferma di rendersi conto dell'”ossessione per l’innovazione”, di come questo concetto venga proposto spesso in funzione compensatoria per una fiducia venuta meno nella fede nel progresso: siamo tutti consapevoli che i miglioramenti tecnici non corrispondono necessariamente a progressi morali.
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Per questo motivo Nowotny ha delle proposte alternative al classico modello del futuro tra utopia e distopia (si confronti già il suo pionieristico lavoro Nineteen Eighty-Four: Science between Utopia and Dystopia del 1984). Non si può parlare di futuro, ma di futuri. Essi non si collocano in una linea cronologica, in una “illusione della geometria” temporale, ma sono immersi nel presente. Questi futuri hanno bisogno di sapere, ma anche di immaginazione: non solo ingegneria, ma anche le arti e le esperienze della quotidianità devono essere integrate nella ricerca scientifica. La spirale dell’innovazione è comunque inevitabile, ma essa deve venire sempre più accompagnata da un mutamento sociale dell’atteggiamento nei confronti della scienza.
La società deve partecipare culturalmente ai processi di innovazione e moralmente agli scenari collettivi della ricerca attraverso la diffusione della consapevolezza dell’incertezza e dei possibili fallimenti della scienza. Le istituzioni devono favorire gli spazi di comunicazione e di azione della creatività della sfera pubblica e di quelle pratiche che permettano di convivere con la fragilità del futuro: bisogna accettare la provvisorietà delle nostre conoscenze e le ambivalenze che un sistema fondato sull’innovazione e quindi sul mutamento può apportare ad una società che si muove in un “futuro di futuri”.