Si è svolto proprio questo weekend la decima edizione di Hackmeeting, un appuntamento fondamentale per la comunità digitale italiana, i cultori del free software, gli smanettoni, i freaks della tecnologia, indipendentemente che si tratti di hardware, software o manipolazione del reale. Hackmeeting è un’iniziativa indipendente che nasce nel 1998 e ogni anno si è proposto itinerante in diverse città italiane, ospitato e ospite di spazi liberi e pubblici; quest’edizione si è svolta al centro sociale Rebeldia, a Pisa.
L’evento è in prima istanza una tre giorni di workshop e presentazioni che articolano un dibattito tecnologico, profondamente radicato nella cultura del free software e delle licenze libere. Di meeting di tecnologia e di convegni sul software e sull’economia informatica ce ne sono in continuazione, ma questo è un appuntamento speciale: è l’unico evento che si occupa di queste cose in maniera critica e radicale. Hackmeeting si riferisce esplicitamente all’approccio hacker alla tecnologia, e questo termine seppur molto controverso nelle sue interpretazioni e stretto ad ogni tipo di definizione, sicuramente sottintende un atteggiamento proattivo che si rifiuta di subire l’impatto tecnologico ma cerca di orientarlo.
Hackmeeting, o hackit com’è definito da chi vi partecipa, parte proprio da questo punto, e nella propria home page parla di “tecnoindifferenza” come la prima delle critiche da muovere al contesto sociale che verso la tecnologia si mostra sempre più come un passivo consumatore.
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L’intento di Hackmeeting è stato negli anni l’aggiornamento di questa critica e del dibattito: nel 1998 quando hackit nacque, il free software era un fenomeno ancora “di nicchia” e internet stesso era uno strumento di comunicazione e accesso ad informazioni ancora in diffusione. I nostri giorni ci raccontano di milioni di persone che usano la rete per scrivere, scambiare file, progettare, costruire, tutti i giorni e generando una produzione insostenibile di contenuti. Le leggi sulla privacy informatica e interventi di censura più o meno repressivi sono sempre più presenti nell’attualità politica, tutto il mondo parla di proteggersi e di sicurezza ma nessuno s’interroga su che cosa davvero ci possa fare male. Queste sono questioni che riguardano tutti, ma che la maggior parte di noi vive con indifferenza, senza capire davvero cosa succede, senza farsi troppe domande, accettando che la tecnologia cresca, migliori, si sostituisca, ci aiuti sempre più, si faccia comprare secondo un percorso lineare in cui tutto è scontato e determinato.
Nella costruzione di Hackmeeting si esprime la voce di coloro che invece hanno domande quotidiane, dubbi e critiche, sicuramente abilità tecniche e molta “passione curiosa”. Hackmeeting ” sviluppa e interseca le sacche di resistenza sparse nel territorio italiano ed europeo “, come scrivono gli organizzatori nella home, cercando di divulgare informazioni su temi che pochi approfondiscono ma che influenzano il quotidiano vivere di tutti gli esseri umani, attraverso un programma mai definitivo di seminari che si succedono incessantemente nelle giornate del venerdì e sabato. Ma come vengono organizzati i seminari, e chi c’è dietro quest’evento?
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È infatti il “chi” che rende cosi speciale Hackmeeting. Tutto nasce in una mailing list, che negli anni novanta venne creata come strumento di discussione pubblico e trasversale ai nodi locali, alle situazioni, ai linux user group e ai movimenti legati al software libero. Centinaia di persone messe in relazione dal fitto scambio di email hanno sognato un evento che sapesse dare forma a tutte le anime dell’underground digitale, rispettando il valore dell’autogestione e dell’autoproduzione, un evento che fosse pubblico e che nella sua concretezza e fisicità potesse aprirsi alle connessioni con l’esterno e con le città. La lista è rimasta negli anni il centro organizzativo dell’evento, vi partecipano centinaia di persone e la gestione degli aspetti logistici è condivisa nel contributo di tutti (o molti). Il resto lo fa tutto la partecipazione: gli spazi vengono trasformati per fare posto al lan space, il cuore attivo e connesso di hackit, uno spazio con prese elettriche e di rete che possa accogliere le centinaia di persone che attraversano la tre giorni.
Ogni anno un posto diverso, una volta il lan space è uno stanzone da quattrocento persone sedute ai tavoli e cumuli di cavi di ogni genere che si intrecciano sopra le teste, in altri casi stanze più piccole e cavi che trapassano i muri. Anche gli spazi dei seminari vanno preparati, servono teli, proiettori, rete, sedie. In lista ci si organizza su cosa portare, su chi sa fare cosa, chi può venire prima a pulire gli spazi e montare la rete. L’infrastruttura di rete è un aspetto interessantissimo di Hackit: non tutti i posti che ospitano hackit hanno contratti per la connettività ad internet, questa va quindi trovata e messa a disposizione di centinaia di persone. La si costruisce, ogni volta, pezzo per pezzo: i server, il dns, il gateway, la configurazione delle reti, lo shaping della banda per non abusare di download ma sfruttare le risorse interne. Parole che sono oscure ai più, ma chi ha un minimo di conoscenza di reti può apprezzare l’atto creativo che l’installazione della rete rappresenta per l’evento.
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E l’accesso è semplice: arrivi, entri con una sottoscrizione libera e ti imbatti subito nel primo computer (con annesso “hacker” alla tastiera) che, se ti serve, ti assegna un indirizzo per poterti connettere alla rete. I dischi del lan space sono potenzialmente tutti in condivisione, e questo rende frenetica e divertente l’attività di scambio che scorre parallela ai seminari per tutta la durata dell’evento. Hackmeeting vive tre giorni senza sosta e c’è sempre qualcuno sveglio e qualcuno addormentato sulle tastiere. Si dorme ospiti dello spazio, sacchi a pelo e spartanità ma è davvero un’esperienza a cui va concesso di arrivare sottopelle. Tutti possono partecipare iscrivendosi alla lista, proponendo seminari o semplicemente facendosi un giro. Il giorno conclusivo della domenica è dedicato ad un’assemblea plenaria di tutti i partecipanti che è, oltre che momento per i felici scambi per la buona riuscita che non è mai stata smentita, il tavolo della discussione della comunità stessa, il rilancio all’anno successivo e il momento per delle valutazioni complessive nel merito stesso del dibattito tecnologico. Si ritorna tutti a casa, e in lista, pensando all’hackmeeting successivo e continuando a resistere nel conflitto tecnologico quotidiano.
L’atmosfera dell’evento è in effetti qualcosa di unico, un momento fluido di cooperazione creativa. Mille persone che si autogestiscono dimostrano una certa complessità, e in ogni caso una certa bellezza: computer con case autocostruiti in legno, computer nelle valige, negli acquari, la costruzione di antenne dalle lattine dei pomodori, riciclare i componenti elettrici per generare musica sono solo alcuni esempi delle stravaganze dei punti di vista che compongono Hackmeeting. Quest’anno si è parlato di licenze software e sistemi di anonimato, di numeri primi, di sicurezza delle reti telefoniche, ma anche di scienza e alimentazione.
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La presenza massiccia e creativa dei computer è sicuramente l’aspetto estetico e folcloristico più caratteristico di Hackmeeting, non tanto per i pc ma per la non organizzazione con cui possono essere disposti, e il groviglio di cavi e dispositivi che da essi deriva. Ma Hackmeeting non è un evento di tecnologia informatica, bensì un appuntamento aperto e accogliente nei confronti degli approcci radicali a qualunque sistema tecnologico: non stupitevi di chi si porta il saldatore, le brugole, componenti elettroniche, hardware riciclato di ogni genere, vecchie lattine e pezzi di fil di ferro, e perché no matterello e ciotole di porcellana. I seminari sono ” aperti al pubblico e gratuiti, in cui si parlera’ di tecnica ma anche di politica. Porteremo avanti il discorso sui diritti digitali, sulla scelta del software libero, l’opposizione alla logica dei brevetti e del copyright tradizionale, la costruzione di server autogestiti, lo studio e la sperimentazione di fonti energetiche pulite, i risvolti dell’uso sociale delle tecnologie e dell’incontro tra tecnologie e sessualita’, i problemi legati al lavoro in campo informatico, l’autodifesa della propria privacy, lo studio dei dispositivi di controllo e di sorveglianza, la resistenza alla censura ” .
L’hacktivism, lo si legge nel manifesto ma lo si respira vivendo l’evento, è un’attitudine: trasformare, manipolare, usare la tecnologia per rispondere ai propri desideri, ” Il nostro essere ‘hacker’ si mostra nella quotidianità anche quando non usiamo i computer, si mostra quando ci battiamo per far cambiare le cose che non ci piacciono, come l’informazione falsa ed imposta, come l’utilizzo di tecnologie non accessibili e costose, come il dover recepire informazioni senza alcuna interattività e il dover subire da spettatori l’introduzione di tecnologie repressive e censorie. Siamo sinceramente spaventati dalla velocità con la quale la tecnologia viene legata a doppio filo al controllo sociale, alle imprese belliche, ad una malsana e schizofrenica paura del proprio simile: il nostro approccio è diametralmente opposto “.
In questo contesto hanno trovato spazio quest’anno seminari tecnicissimi sul codice, discussioni su sistemi avanzati di sicurezza, workshop di elettronica cosi come interventi di più generale interesse sull’aspetto sociale delle tecnologie, sull’aggiornamento in materia di privacy. Non sono mancati degli ospiti internazionali, un seminario critico sulla scienza, sulla sua libertà e autorevolezza che ha generato un dibattito sul futuro dell’attivismo che bussa alle porte dei laboratori. E, armati di ciotole e matterello, un workshop sul pane, che con i suoi ingredienti e il forte legame con la terra e la cultura tradizionale è stato una buona (e golosa) scusa per riflettere di copyright sui semi, acque privatizzate, saperi perduti e riappropriazione del tempo lungo e del tempo della produzione come forma di hack della vita dei consumi.
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Il lan space di Rebeldia è stato ospitato nel salone concerti. Telo da proiezione con un vj collettivo: connettendosi ad un certo computer sulla rete era possibile proiettare quanto voluto su uno degli otto terminali video che venivano trasmessi contemporaneamente dal proiettore. Si sono viste righe di codice scritte pubblicamente, autoproduzioni video, film, sessioni di vjing, tutto in un flusso di immagine senza sosta, particolarmente apprezzato durante la notte del sabato che si è conclusa con frenetiche danze elettroniche e screening di ogni genere. Hackmeeting è un evento anche divertente, e a suo modo poetico, nel suo essere tecnofeticista e libertario allo stesso tempo. Tra le note elettroniche non è tra l’altro mancata una nota a suo modo romantica: al massimo delle casse gli hacker che cantano la canzone di capitan Harlock, eroe dell’immaginario pirata e della libertà della trasformazione.
È stato un ottimo sottofondo per la celebrazione di questo decimo appuntamento che cade completamente attuale su alcune importanti questioni socio/tecniche. Controllo e interventi restrittivi delle libertà digitali sono al centro della riflessione: la profilazione degli utenti sempre piu’ sofisticata resa possibile dalla mole di informazioni che mettiamo in rete con gli strumenti di social software, i sistemi di sorveglianza e biometrici sul controllo delle persone, il vincolo a sistemi software proprietari e le battaglie contro la pirateria, la questione sicurezza e privacy che dal dominio delle email e dei contenuti testuali si sposta ora su quelli multimediali e i servizi telefonici che si basano sulla rete digitale.
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L’innovazione tecnologica ci pone di fronte sistemi sofisticati di cui non è accessibile alcuna profonda comprensione da parte dell’utente finale; il data retention mappa le nostre vite raccogliendo informazioni dai telefoni, le carte di credito, le tessere del supermercato, le carte bancarie, i telepass, le tessere del blockbuster, il tuo provider, etc. In Germania lo scorso week end si è svolta una manifestazione da ventimila persone contro la politica della sorveglianza dei comportamenti nel mondo delle telecomunicazioni, a svantaggio di tutti i cittadini ( http://www.vorratsdatenspeicherung.de/content/view/142/1/ ).
Contro, in sostanza, l’atteggiamento politico che ritiene la libertà negoziabile con l’innovazione tecnologica, e che chiama “sicurezza” il freddo mondo artificiale in cui ciò che veramente perdiamo con la tecnologia è l’esistenza di umani dietro ad essa. lo spettro del tecno controllo è sicuramente nell’orizzonte di chi parla di tecnologie libere e di come è fatta davvero la tecnologia che viviamo. Ma c’è un orizzonte ancora piu’ lontano e significativo per hackit, che è quella della battaglia dei saperi pubblici e dello scambio della conoscenza, di qualunque tipo, soprattutto se creative, inusuali e non allineate come quelle che vengono messe in gioco durante i tre giorni. Sicurezza è conoscenza, non controllo. È fiducia e non isolamento. Su queste premesse si basa la comunità degli hackmeeting e il loro sapere pubblico a cui siamo invitati ad avvicinarci.