Thorsten Fleisch è uno di quegli artisti che con il loro lavoro, a mio modo di vedere, hanno la rara capacità di dare spontaneamente un senso a teorie, correnti, opinioni, stupidate e discussioni che si ammassano in modo caotico attorno a un tema specifico, preconizzando, in questo, modalità e analisi spesso comprese e condivise ma, non si sa come mai, raramente espresse in modo concreto in un’opera.
Questo accade oggi nell’ambito della video arte e dell’audiovisivo contemporaneo, sperimentazione di suoni e immagini, di audio e video tramite l’utilizzo ossessivo del digitale e dei suoi strumenti, siano essi nuovi softwares o tools per la gestione dei flussi in fase live. Inutile ricordare il conseguente appiattimento di stimoli, estetiche e rappresentazioni che rende molti artisti, o presunti tali, sempre più simili gli uni agli altri, figli di un’epoca che vede il proliferare di festival e rassegne di ogni tipo, raggiungibili tramite voli low cost in grado di intessere una fitta rete di forzati dell’audiovideo che anche il sociologo in erba saprebbe individuare come il crogiolo ideale di qualsiasi plateu estetico-culturale.
Ecco, il berlinese Thorsten Fleisch è un artista audiovisuale nel significato più analogico del termine, un regista nell’accezione più moderna del cinema sperimentale, in grado di sfondare qualsiasi barriera artistica, ogni qualsivoglia definizione, qualsiasi istinto primordiale che ammorba spesso il critico dei nuovi media e che lo spinge ad affermare: “bah, niente di che, già visto!”.
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Beh, a ben vedere, alcuni lavori di Fleisch sono già un po’ datati, ovvio che magari sono già stati visti. Il suo lavoro più famoso, Gestalt, ricevette la Menzione Onoraria all’Ars Electronica del 2003 e ha girato i festival di video e new media art di mezzo mondo. Peccato che continua a farlo ininterrottamente da 3 anni, accompagnato spesso dai suoi compagni più belli come Energie!, Friendly Fire, Kosmos, Silver Screen, VideoSkin, BloodLust. Questo a significare che cosa? Innanzitutto che i suoi lavori sono, come molto raramente accade, dei lavori assolutamente senza tempo, lavori che rimarranno negli anni ed emergeranno al di sopra del caos creativo di questi tempi. In secondo luogo che i suoi video sono del tutto unici per concept, set up cinematografico, approccio sperimentale a cavallo tra analogico e digitale, e mera risultante estetica audiovisuale.
Ho avuto l’onore di chiacchierare con Thorsten Fleisch del suo lavoro: i temi a lui più cari del rapporto tra corpo, natura, elementi materici e strumentazioni tecnologiche (come in Energie! in cui viene impresso su carta fotografica un fascio energetico di elettroni, Kosmos, Friendly Fire in cui sono i processi di combusione della pellicola ad essere visualizzati, Silver Screen dove la modifica dei parametri di luce e prospettiva su una serie sequenziale di fogli di carta comporta dinamiche audiovisive inaspettate, BloodLust in cui è il sangue stesso dell’artista che disegna pattern soto l’effetto di un video proiettore con suono ottico, VideoSkin, SkinFlick in cui il fascio di raggi emessi da un televisore viene visualizzato osservandone da vicino gli effetti sulla pelle), tecniche di ripresa in 16mm affiancate alla capacità di customizzare software digitali e tecniche HD, fascinazione verso le teorie della quarta dimensione e dei frattali quaternari per descrivere universi immaginari, la cui visualizzazione diventa essa stessa opera d’arte (come accade in Gestalt e nell’ancora inedito Dromosphere).
Un personaggio unico nel panorama della video arte, che, per ritornare a quanto detto all’inizio, fornisce risposta vivente alle teorie di compenetrazione tra video arte, cinema sperimentale, tecniche audiovisive e alle modalità di lavoro interconnesse tra analogico e digitale.
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Marco Mancuso: I tuoi film sembrano ricercare un dialogo, un senso comune e un’unica e concreta interconnessione tra il corpo umano e i suoi fluidi, con le forze e i fenomeni della natura, le cui dinamiche audiovisive sono bellissime descrizioni di un qualcosa di potente e di fuori controllo. In film come Energie! (in cui viene impresso su carta fotografica un fascio energetico di elettroni), Kosmos, Friendly Fire (in cui sono i processi di combusione della pellicola ad essere visualizzati), Silver Screen (dove la modifica dei parametri di luce e prospettiva su una serie sequenziale di fogli di carta comporta dinamiche audiovisive inaspettate), sembri essere interessato a entrambi, nonchè dale loro possible inteconnessioni e reazioni
Thorsten Fleisch: Sì è vero. Hai sicuramente toccato alcuni elementi chiave di ciò di cui mi interesso. Mi piace moltissimo cercare nuovi sfondi e nuove visioni nella natura (che include anche il mio stesso corpo), e uso le tecnologie per investigarli. Tecnologia che ovviamente posso capire e usare, tecnologia che lavora su un livello visuale. Uso le tecnologie perché mi offrono una prospettiva differente rispetto ai miei soli sensi; passo attraverso i loro limiti così come supero la costruzione della tecnologia di per sé stessa, che cerco semplicemente di incorporare nel mio lavoro. Il risultato è qualche volta una miscela della tecnologia che sto utilizzando e dei fenomeni naturali che sto descrivendo ed esaminando. Qualche volta invece, i fenomeni naturali arrivano a distruggere la tecnologia, come i fuoco che brucia il materiale filmato in “Friendly Fire” o come le scariche elettrice che qualche volta creano dei buchi nella carta fotografica come in Energie! Devo ammettere che mi piace moltissimo quando succedono dei disastri nei miei esperimenti visuali.
Marco Mancuso: E ancora. Guardando i tuoi film, sembri anche essere interessato alla fragilità e alla bellezza del nostro corpo sotto l’influenza di macchine, del potere dell’energia e della natura. Parlo in particolari di film come BloodLust (in cui è il sangue stesso dell’artista che disegna pattern soto l’effetto di un video proiettore con suono ottico), VideoSkin, SkinFlick (in cui il fascio di raggi emessi da un televisore viene visualizzato osservandone da vicino gli effetti sulla pelle) .
Thorsten Fleisch: Sì, c’è molta bellezza che ha bisogno di essere vista. Questo è ciò che spero di trovare, ciò che mi motiva. Mi piace la tensione che deriva dall’ordine regolare che contrasta con l’ordine caotico: per esempio, in “Bloodlust” come dici tu, l’ordine caotico è rappresentato dai pattern del sangue sulla striscia di pellicola che viene poi ordinato dal macchinario stesso del proiettore, il cui ritmo regolare fornisce la vera e propria texture caotica.
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Marco Mancuso: come lavori normalmente su una nuova idea? Da dove prendi ispirazione, dove studi le reazioni fisiche che descrivi, come lavori su un set up, su una tecnica video, sulle reazioni audiovisive e sull’uso di eventuali strumenti digitali?
Thorsten Fleisch: beh, tutto dipende dal progetto su cui sto lavorando. Posso farti un esempio recente del film su cui sto lavorando ora, si chiama Dromoshpere. L’idea originale era quella di avere una rappresentazione dello spazio-tempo Einsteiniano: non per dare un’idea visuale allo spazio 4d in un senso geometrico come ho già fatto in Gestalt, ma più in un senso fisico. Normalmente, quando chiedi alle persone circa lo spazio quadridimensionale, tutti rispondono che il tempo è la quarta dimensione. Ma questo è vero per la descrizione fisica di Einstein, ma è chiaro che non è l’unica verità e questa quarta dimensione può essere descritta anche geometricamente. Quindi, io volevo dare una rappresentazione visuale dello spazio 3d, aggiungendo l’elemento tempo per creare uno spazio quadridimensionale, e per fare questo ho preso una dolly camera che potesse controllare l’otturatore di un’altra camera. Questa seconda camera viene posta perpendicolarmente al binario della camera dolly: alla posizione 1 avrebbe aperto l’otturatore mentre alla posizione 2 (pochi centimetri dopo la posizione 1) avrebbe scattato di nuovo. Dopo ogni frame avrei mosso la camera dolly nella direzione in cui la macchina fotografica era puntata (perpendicolare al movimento della camera dolly stessa).
Quindi in ogni singolo frame avrei avuto il movimento (dalla posizione 1 alla posizione 2) e quindi il tempo. Il problema era semplicemente che il processo non era molto interessante: così ho provato molte soluzioni per arrivare alla più promettente per cui ho usato un modellino di macchina sportivo in scala 1:18 su cui ho posto la camera dolly, per poi muovere la macchina fotografica attorno a loro. In questo modo ho ottenuto la macchina in movimento ma allo stesso tempo una vera e propria scultura veloce. Come puoi notare quindi, il codice è molto cambiato da quello di spazio-tempo, che avevo all’inizio dell’esperimento, a quello di velocità . A livello teorico mi sono quindi spostato dalle teorie di Einstein a quelle di Jeremy Clarckson con qualche goccia di Paul Virilio per aggiungere un pizzico di aroma filosofico e pochi granelli di futurismo per avere un tocco di storicizzazione.
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Marco Mancuso: i tuoi film sono apprezzati e acclamati dal critica, sia dalle branche più sperimentali del cinema che dai teorici degli audiovisivi elettronici. Pensi quindi che il dialogo tecnico tra l’analogico e il digitale possa essere la chiave per comprendere questa polarità o tutto questo è dovuto alla tua capacità di creare suggestione, di mixare differenti tecniche per ottenere qualcosa di nuovo e mai visto prima?
Thorsten Fleisch: Bene, io provengo dal cinema sperimentale e ho sempre apprezzato la materialità dei film paragonata agli zeri e agli uni del mondo digitale. D’altro canto lavorare con i film in 16mm mi fa sentire sempre di più come un dinosauro. Oltre al fatto che non mi piace fare feticismo sui materiali. Trovo tutta questa discussione sul 16mm contro il video digitale molto noiosa e senza ispirazione: è come quando ti piace il vecchio Star Trek piuttosto che la Next Generation. Nulla è meglio di un altro, sia il film che il video sono dei media, carrier di informazioni visive e aurali: essi differiscono perché rappresentano differenti concetti di tecnologia e anche differenti tempi nella storia ovviamente. Ad un livello estetico non mi è mai veramente piaciuto il video, anche se ora con l’HD ho trovato un medium visuale veramente buono con cui lavorare. Mi piace al contrario l’immediatezza, che non puoi avere con i film, oltre al fatto che è molto più economico.
Ciò che conta per me è come generare le immagini: in questo penso di essere molto analogico (eccetto forse che per Gestalt), perché non sono un vero programmatore di codice. Ho solo qualche conoscenza superficiale di linguaggi di computer e trovo i programmi di modellazione 3d troppo complessi: ho provato per esempio ad approcciarmi a Maya e ho rinunciato. Penso sia molto potente ma è anche troppo caotico e disorganizzato per lavorarci. Il problema vero che io ho con le tecnologie digitali e che devi essere veramente preciso con quello che stai facendo e non c’è molto spazio per l’errore e il disastro. Io amo gli errori e le catastrofi che posso ottenere solo con i macchinari che mi costruisco da solo, che non sono certo macchinari digitali ma meccanici appunto. Certo, so bene come la glitch art sia in grado di far confluire il concetto di errore nel digitale, ma questo lavoro richiede una profonda conoscenza dei linguaggi dei computer per poter essere compreso fino in fondo.
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Marco Mancuso: parlando di Gestalt, molti stili d’avanguardia (come il Cubismo, il Futurismo o il Costruttivismo) e alcuni dei loro artisti più importanti (da Picasso a Boccioni a Duchamp), erano stati influenzati e affascinati dalle potenzialità e della dinamiche della quarta dimensione, principalmente nel mondo della natura, nell’universo e nella fisica, senza tenere conto in questo di qualsiasi tipo di approccio matematico o scientifico. Con Gestalt, hai lavorato sulla visualizzazione di questa quarta dimensione, partendo da algoritmi matematici e studi scientifici sui frattali quaternari, come motore di una vera e propria “dimensione espansa”. Puoi dirmi come hai lavorato su queste teorie e come hai visualizzato/animato le trasformazione algoritmiche della quarta dimensione in un semplice spazio tridimensionale? Hai utilizzato per caso qualche framework speciale di geometria spaziale o qualche software particolare?
Thorsten Fleisch: beh, dapprima ho lavorato sui frattali 4d con uno speciale plug-in di Photoshop chiamato KPT5 (Kay’s power tool 5). Esso ha un filtro chiamato frax4d che ho usato per fare delle piccole animazioni: ben presto però ho raggiunto i limiti di questo filtro e quando ho scoperto che questi frattali 4d si chiamavano effettivamente “quaternoni”, una semplice ricerca su Google mi ha portato a un generatore di immagini di quaternoni chiamato Quat. Questo piccolo software era molto potente: dopo aver sperimentato un po’, ho deciso di scrivere io stesso un piccolo plug-in per serializzare il processo di generazione delle immagini, poiché appunto io volevo creare delle animazioni. Ho speso mesi per cambiare i parametri sul mio bambino frattale, ma alla fine è stato il freeware a fare tutto il lavoro.
Marco Mancuso: Gestalt ha ricevuto una Honoray Mention al festival Ars Electronica nel 2003 ed è acclamato in tutto il mondo come uno dei più innovativi pezzi di cinema sperimentale. Io penso che sia una combinazione perfetta di ciò che dicevamo poco fa: visualizzare cioè sequenze algoritmiche in quattro dimensioni (come possibile estensione di 0 e 1 alla base del mondo elettronico conosciuto), con tecniche al confine tra analogico e digitale. Un contrasto piuttosto forte.
Thorsten Fleisch: Penso che i visuals sembrino veramente inusuali da ciò che normalmente è associato con il digitale. Una volta uno mi disse che aveva avuto una sorta di deja-vu quando si trovò a vedere le mie cose dopo aver visto delle cose analoghe in sogno. Personalmente ero molto interessato a quel tempo alle teorie della superstizione e mi piaceva l’idea di esplorare un mondo visuale come una singola formula; cosa ancora più eccitante se questo mondo dovesse essere originato da una complessa geometria 4d che può essere osservata solo trasportandola al nostro mondo tridimensionale.
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Marco Mancuso: una delle prossime idee di Digicult è quella di aprire il magazine Digimag alle forme di quella che viene chiamata hyper-architettura. Cosa pensi di quegli architetti che lavorano con software digitali e che lavorano appunto con la quarta dimensione (tipo Hadid o Novak per intenderci)? Come è possibile secondo te riuscire a visualizzare i loro concetti, le forme architettoniche che preconizzano, nel nostro mondo 3d, negli spazi urbani e nelle nostre città?
Thorsten Fleisch: Oh guarda, sono molto interessato a queste nuove forme di espressione architettonica. Specialmente il lavoro di Marcos Novak mi ispira moltissimo: ha preso appunto i concetto di quarta dimensione e lo ha portato all’estremo. E’ un peccato che sembra non voler più perseguire le sue transarchitetture: ho sentito che sta facendo una ricerca segreta circa la nanoingegneria/design che suona come qualcosa di superinteressante. Ma sono solo voci, non so niente di concreto. Penso comunque che ci sia molto potenziale per un’architettura veramente nuova e interessante, non solo per i nuovi linguaggi offerti dal computer ma anche per i nuovi materiali che offrono nuove caratteristiche statiche. Attualmente, non c’è più solo l’architettura delle costruzioni, ma anche un’architettura dei materiali e con l’aiuto dei computers queste due parti gradualmente convergeranno per portare alla costruzione di palazzi mai visti e città del futuro. Beh, forse suona un po’ troppo ottimistico .
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Marco Mancuso: Hai mai pensato di lavorare con i live show audiovisivi o le installazioni immersive per esempio? Hai mai pensato all’idea di giocare di più con il pubblico, controllando dei parametri dei tuoi video dal vivo o usando sensori interattivi, invece di essere “filtrato” dalla proiezione su schermo?
Thorsten Fleisch: Uhm, si e no. Ogni tanto effettivamente penso che potrei occuparmi anche di vjing magari per denaro, dato che non ci sono molti soldi nel cinema sperimentale. Ma io non sono realmente interessato all’aspetto del real time dei video astratti, o dall’aspetto performativo di per se stesso. E in più non mi piacerebbe andare così tanto in tour: mi piace visitare qualche posto nuovo ogni tanto ma non mi piace pensare alla mia vita spesa su bus o aerei. Mi piace stare a casa e fare cose noiose come dormire, leggere e giocare ai video games. Ero parte di una band metal e suonammo in alcuni show dal vivo: non mi piace molto devo ammettere, rispetto a quando passavamo del tempo a registrare canzoni in studio. Mi innervosisco di fronte alla folla e inoltre nelle performance di new media art ci sono SEMPRE dei problemi tecnici. Anche con i film festival ho dovuto viaggiare per presentare i miei film e anche lì ci sono spesso problemi con il suono o le immagini. Non mi piace quindi dover contare su altre persone, dato che quando faccio i miei piccoli film non devo contare su nessuno se non su me stesso. L’unica cosa che mi ispira veramente dell’esperienza possibile del real-time potrebbe essere nel campo dei videogiochi: mi piacerebbe moltissimo essere coinvolto nello sviluppo di un gioco con un campo di gioco totalmente astratto. Penso veramente che al momento ci sia bisogno di giochi elettronici molto più sperimentali: uccidere zombie, alieni o soldati va bene insomma, ma preso o tardi tutto questo diventerà veramente noiso, anche con l’ausilio della più croccante grafica HD.