Nel giugno 2007, sulla prestigiosa rivista ISIS (The History of Science Society), Graham Burnett, storico della scienza presso la Princeton University, ha proposto l’interessante focus “Science and the Law”, ovvero una sezione dedicata al rapporto tra i mutamenti dei sistemi legali in rapporto all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.
Sebbene i casi proposti riguardino principalmente il mondo legale statunitense – all’avanguardia per tutto ciò che riguarda il sistema di cause ed indennizzi – la relazione tra evoluzione del diritto e dei saperi scientifici è comprensibilmente dialettica in ogni sana società democratica: da una parte le trasformazioni legali sarebbero favorite dai nuovi interrogativi posti dall’evoluzione della conoscenza scientifica e dai suoi metodi, oltreché dal ruolo che gli esperti scientifici hanno all’interno delle corti nel dimostrare la verità e la giustizia; dall’altra parte – e questo interessa maggiormente a Digicult – sono state spesso le corti a “sagomare”, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico, la produzione di fatti politici e culturali legati all’introduzione di nuove tecnologie nella società e ad orientare il dibattito pubblico attorno alla scienza moderna.
Insomma pratiche legali e pratiche scientifiche si incontrano e si scontrano nelle aule dei tribunali e le leggi entrano nei laboratori, con una rilevanza sociale e quindi politica sempre crescente: dall’energia nucleare al “buco dell’ozono”, dagli OGM alle biotecnologie, dai risarcimenti dei danni ambientali fino all’AIDS.
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I contributi del focus su “Scienza e Legge”, vogliono fornire materiale di discussione sia per i giuristi che per gli scienziati. Possiamo qui accennare allo studio di Alison Winter, A Forensics of the Mind , sulle possibili manipolazioni della memoria dei testimoni da parte degli psicologi legali, in modo da intervenire (e interferire) sulle deposizioni; il lavoro di Daniel Kevles, The Establishment of Intellectual Property in Animals and Plants , fornisce invece un termine di paragone sulla “preistoria” dei brevetti: mentre un tempo era possibile brevettare leggi e fatti naturali, oggi, venuta meno questa possibilità, è invece possibile mobilitare e sostenere legalmente le risorse finanziarie, le tecniche e le applicazioni di ricerche che sono di interesse generale del genere umano (ad es. i medicinali), ma che grazie a queste proprietà (tutelate legalmente) rimangono nelle mani di privati e di corporate.
Silvia De Renzi in Medical Expertise, Bodies, and the Law in Early Modern Courts approfondisce alcuni aspetti storici legati alla procedura legale di indagine del corpo umano, come il riconoscimento della pratica del test, della testimonianza scientifica e di concetti fisiologici e patologici. Senz’altro degno di nota è anche l’intervento di Sheila Jasanoff, Bhopal’s Trials of Knowledge and Ignorance: una chiara presa di posizione di fronte alla tragedia del Bhopal nel 1984, quello che è stato definito come il più grande disastro chimico-industriale della storia (una stima approssimativa parla di 22.000 morti), per una prima consultazione si veda: http://en.wikipedia.org/wiki/Bhopal_disaster.
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Jasanoff denuncia l’impreparazione dei periti delle corti ad accogliere le testimonianze delle vittime. La conseguenza è stata lo spalancarsi di un vuoto legislativo che ha permesso agli avvocati un gioco al rimpallo tra le corti indiane che attendono maggiori possibilità di intervento in territorio statunitense e le corti degli Stati Uniti che delegano a quelle indiane il giudizio dei responsabili, secondo le leggi dello stato indiano. Emerge in questo modo una chiara asimmetria tra la velocità di trasferimento della tecnoscienza da una zona all’altra del globo e le possibilità legali di autodifesa dei territori interessati dalle nuove industrie.
Come sostiene il curatore di questo focus, Graham Burnett, sarebbero molti altri gli aspetti da prendere in considerazione (frodi scientifiche, priorità nelle dispute scientifiche, concettualizzazione mediche), ma i due grandi vettori che potranno guidare le indagini sono la “scienza nelle corti di giustizia” e le “corti di giustizia nella scienza”.
All’origine delle ricerche del primo vettore va collocata la proposta delle Science Courts di Arthur Kantrowitz (le corti di giustizia specializzate nelle materie scientifiche http://www.piercelaw.edu/risk/vol4/spring/taskfor.htm) che risale ormai al 1976 e che quindi abbisogna di nuova linfa; per il secondo aspetto, le corti di giustizia nella scienza, il primo passo è sicuramente quello proposto da Graham Burnett per una integrazione di un portale giuridico che comprenda sentenze e disposizioni importanti in materia scientifica nel curriculum degli scienziati.
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Oltre alle soluzioni riorganizzative e pedagogiche è necessaria anche una svolta epistemologica: più di ogni altro fattore, i sistemi legali hanno legittimato la “ricerca della verità oggettiva della scienza” attraverso l’utilizzo di pratiche parascientifiche nei tribunali che vengono però considerate come “prove oggettive”: nell’Ottocento la frenologia del medico tedesco Franz Joseph Gall, ad inizio Novecento con la teoria lombrosiana del “delinquente nato” fino alla pretesa di una “sorveglianza mentale” con l’introduzione legale del mind fingerprinting dopo il 9/11 ( http://www.cognitiveliberty.org/issues/mental_surveillance.htm ).
Per questo motivo una delle più grandi sfide che la giurisprudenza lancia ai sociologi della scienza è quella di comprendere come scardinare l’ideologia legale della scienza considerata alla stregua di una “tecnologia della verità”. Questa concezione la scienza come ricerca della verità fattuale è forse la più ostica “teoria ingenua” della pratica scientifica da superare. Essa deve essere dimostrata di volta in volta come infondata e relativa, per ammettere che la conoscenza scientifica, uno dei saperi più preziosi, rispettati e tutelati dalla società attuale, viene impiegata anche come risorsa primaria nei contesti formali di regolazione sociale e di coercizione legale.