L’ultima edizione di Transmediale è stata a nostro avviso un’edizione di cambiamento e, raccogliendo nei giorni del festival opinioni e impressioni, per molti un’edizione di difficile comprensione. Suo malgrado, come appuntamento di riferimento per tutti coloro che si occupano di nuovi media, Transmediale è sempre sulla bocca di tutti, anche per molto tempo dopo la chiusura dei battenti. E come tutti gli appuntamenti importanti è sempre sotto la luce dei riflettori, dettando tempi e rotte, dando conferme e spiazzando nei suoi cambiamenti, per l’appunto.
In generale è sembrato che Transmediale abbia definitivamente rotto gli argini verso una spinta all’interno del mondo dell’arte contemporanea mainstream: cosa questa non nuova oggetivamente per chiunque abbia avuto modo di girare per festival ngli ultimi tempi. Se da una parte esistono festival che rimangono fedeli alla prospettiva di proporre i new media come trade union tra scienza, tecnologia, arte, design e comunicazione, dall’altra un certo numero di rassegne sembrano impegnate più a legittimare certe opere di new media art come pezzi storicizzati, legittimati e autorizzati di arte contemporanea. Questa separazione è risultata a nostro avviso evidente come non mai in questa edizione di Transmediale, come vertice di un iceberg le cui basi galleggiano bel al di sotto del pelo dell’acqua; e questo si è riscontrato a nostro avviso sia nelle opere esposte, che negli incontri organizzati che anche nel differente tipo di pubblico presente di giorno e di notte al Ctm, che fino a prova contraria è parte integrante del festival berlinese.
Ma l’edizione 2007 sarà anche ricordata per l’addo ad Andreas Broeckmann, direttore artistico dall’auunno del 2000 dopo essere stato per anni project maganer al V2 center di Rotterdam, diretto da Alex Adriaansen. Broeckmann è colui che ha trasformato Transmediale da momento di ricerca per “pochi” (perchè sì, noi del 2001 c’eravamo eccome, anche se più giovani e inesperti e non nel ruolo così esposto di oggi, ndr) a evento mainstream, appuntamento imperdibile per tutti, grande fiera della new media art, momento di riflessione “alta” e pietra di paragone per moltissimi professionisti.
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Non so se siamo riusciti nel nostro intento, ma forse ha ragione Andreas: spesso si tratta di un problema di prospettiva e di quello che noi ci aspettiamo da un festival così importante come Transmediale. Però sentivamo il dovere di analizzare il fenomeno, convinti che la sua parola alla fine sia il metro di paragone più importante
Marco Mancuso e Lucrezia Cippitelli: Andreas, qual è il bilancio di questo ultima edizione di Trasmediale? Quali visione hai oggi dell’arte digitale e delle professioni ad esso associate, nonchè della crescente attenzione dei media in questi ultimi anni?
Andreas Broeckmann: Con Transmediale quest’anno volevamo creare un programma che desse il tempo al pubblico per riflettere e che offrisse progetti e artwork che non corressero solo dietro all’ultimo trend del digital life-style, ma che piuttosto articolassero il ruolo che l’arte può avere per riflettere e guidare la nostra situazione attuale. L’audience del festival è abbastanza varia e diverse persone hanno dato differenti feedback rispetto all’evento; siamo soddisfatti quando le persone si stupiscono e quando possono portare via con sé cose che non si sarebbero aspettati. Sfortunatamente, l’attenzione dei media è spesso superficiale, i giornalisti vedono solo quello che vogliono vedere, e la maggior parte delle volte perdono il punto focale: e cioè che il festival ha un programma che dura sei giorni e ha più di 80 eventi individuali, molti dei quali sono legati l’uno con l’altro.
Marco Mancuso e Lucrezia Cippitelli: Dalla prima edizione che hai diretto, il festival ha ottenuto una rilevante posizione internazionale, criticando, analizzando, presentando e affrontando temi legati ai nuovi media in senso ampio. Nel 2001, DIY – Do it yourself fu un importante punto di arrivo per presentare le pratiche relative all’attiismo e all’hacking nonchè alle forme artistiche distribuite tramite Internet. Ora, anni dopo, Transmediale sembra più una reificazione della stabilità che il festival stesso ha costruito per se stesso come “evento mainstream”. In altri termini: meno domande e più visiblità come istituzione. Cosa ne pensi a riguardo?
Andreas Broeckmann: Non sono sicuro se avete effettivamente visitato il festival nel 2001, ma c’è da discutere se la focalizzazione nel programma si è spostata tanto quanto é stato suggerito dalla tua domanda. Sin dall’inizio, la formulazione dei temi nella cultura digitale attraverso i linguaggi dell’arte ha sempre giocato il ruolo più importante, mentre l’hacking e l’attivismo non sono mai stati trattati come temi centrali in nessun festival fino al 2001: in quell’edizione erano stati presentati come un aspetto e un uso specifico nella cultura digitale, ma la vostra lettura del festival DIY (o piuttosto la sua pubblicazione documentata) sembra essere determinata più dalle vostre aspettative che dal festival effettivo. Inoltre, ho trovato difficile seguire i vostri reclami sulla stasi istituzionale e la reificazione di questo ultimo festival: ‘mainstream’ é soprattutto un concetto di prospettiva, e se per questo intendete dire che non abbiamo più lottato per una auto-marginalizzazione, posso probabilmente essere d’accordo. Non posso altresì dire quante delle vostre domande hanno trovato una risposta, ma entrambe le conferenze nella hall principale e nel salone non sono mai state seguite da così tante persone, che tra l’altro sono rimaste dentro: quindi devono pur avere ascoltato cose di loro interesse.
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Marco Mancuso e Lucrezia Cippitelli: La complicata relazione tra nuovi media e arte contemporanea sta cambiando nel corso degli ultimi anni. Molti “critici” e “curatori” che normalmente lavorano nel sisteam mainstream dell’arte, adesso devono iniziare a occuparsi di temi relativi a media e tecnologie, spesso senza la necessaria competenza cercando di appicare categorie che sono spesso troppo ristrette e chiuse. Ed è anche vero il contrario, le persone non affatto specializzate d’arte devono occuparsi del sistema dell’arte: il focus sul punto di vista della tecnologia è sempre troppo basic e semplificato, e porta l’interesse su progetti che probabilmente non sono affatto progetti “artistici”. Cosa ne pensi alla luce della tua esperienza con Transmediale?
Andreas Broeckmann: Trovo la vostra descrizione piuttosto schematica. La mia principale esperienza è che il tecno-feticismo degli anni 90 nella media art è diminuito, e che mentre ci sono ancora molte persone che stanno facendo molti esperimenti con le ultime tecnologie c’è anche un crescente numero di artisti che utilizzano i loro media in modo molto più coscienzioso che in passato. Le installazioni che potevamo esporre, per esempio, nella mostra del festival di quest’anno, sono un risultato di questo processo: dove é diventato possibile presentare un insieme di lavori che hanno una relazione tematica interessante l’unco con l’altro me che sono anche forti artworks individuali. Non é però una sorpresa per me che cò che è la qualità artistica e la sua presentazione appropriata, venga letta e interpretata come “reificazione” e “mainstream”; ancora, credo che sia una questione di prospettive, e di scelte fatte come curatore e come critico.
Marco Mancuso e Lucrezia Cippitelli: La conferenza “Media Art Undone” era focalizzata principalmente sul cercare di trovare un modo per spingere la pratica della media art nel mondo dell’arte contemporanea e istituzionale. Questa è stata la sensazione generale, sulla mostra, le tavole rotonde e gli artisti invitati. Il pubblico sembrava essere diviso: da un lato quelli che arrivavano dal “mondo dell’arte”, con il loro background ed esperienze, dall’altro lato quelli che provenivano dal mondo della “cultura techno” e dal mondo più commerciale/professionale. I primi spingevano per non avere più distinzione tra i termini “arte contemporanea” e “media art” , i secondi sembravano spingere verso la creazione di un corto-circuito arte/tecnologia/comunicazione, senza nessuna preoccupazione di termini e distinzioni tra mercato e gallerie, tra commissioni e artworks. Pensi che questa divisione diventerà più ampia nel prossimo futuro? Pensi che ci saranno due approcci separati differenti (culturale, artistico, professionale) nel mondo dell’arte elettronica?
Andreas Broeckmann: Nei festival Transmediale degli ultimi anni, abbiamo tentato di trovare un buon bilancio tra la cultura digitale e l’arte. La relazione tra le due è problematica perché, per molto tempo, l’intero campo è stato completamente marginalizzato: in questo modo artisti, attivisti, teorici, curatori, chiunque facesse cose con i “nuovi media”, erano accomunati tutti insieme. Poiché la cultura digitale è diventata una condizione generale della vita contemporanea, c’è anche molta differenziazione in questa scena e le persone devono dolorosamente capire che non potranno essere questi grandi “noi” nella scena della media art (non più). Credo sia necessario confrontarsi con questo cambiamento: questo é il motivo per il quale abbiamo deciso di organizzare questa tavola rotonda.
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Marco Mancuso e Lucrezia Cippitelli: Uno dei principali problemi che influiscono attualmente sul mondo dei nuovi media é spesso la generale mancanza di qualità, soprattutto in ambito attivista: parlo per esempio di Indymedia che qui in Italia sta avendo grandi problemi concettuali, dovuti all’incapacità di lavorare con la corretta consapevolezza dei contesti e della qualità dei progetti. Pensi che questo tipo di analisi possa toccare la scena dei nuovi media a largo spettro?
Andreas Broeckmann: Puoi intuire dalla mie ultime risposte che credo nel rigore, soprattutto quando porta a metodi e risultati di lavoro. Per quello che penso, le cose non sono spesso portate a un certo livello per poter essere presentate, affinchè cioè le persone al di fuori di un piccolo gruppetto possano effettivamente capire quello che l’autore o il collettivo vuole dire o mostrare. Questo ci riporta al precedente argomento sulle installazioni.
Tu puoi certamente scegliere di mantenere i processi aperti e di comunicare la fluidità dei concetti e dei conflitti politici. Tuttavia, io vedo un festival come Transmediale avere un ruolo che va al di là di un piccolo cerchio di persone che condividono le stesse idee sui media activism e sulla pratica dei critical media. Ho voluto raggiungere un audience più ampia, che fosse curiosa e critica sul modo in cui i media e le tecnologie digitali stanno influenzando la nostra cultura. Questi sono spesso persone giovani che non hanno idea di che cosa sia Indymedia, ma sentono che c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui lavora YouTube. Il festival é anche lì per queste persone.
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Marco Mancuso e Lucrezia Cippitelli: Perché hai deciso di lasciare la direzione artistica di Transmediale in questo momento? La tua scelta è collegata in qualche modo ai di cui abbiamo discusso? Cosa farai nel prossimo futuro o cosa ti piacerebbe fare? E quale sarà, secondo te, la futura direzione del festival?
Andreas Broeckmann: Non so al momento come Transmediale si svilupperà, tuttavia credo pienamente che Stephen Kovats darà un interessante nuova svolta. Le ragioni di lasciare il festival sono per lo più personali: dopo sette anni ho voglia di fare qualcosa di diverso, in modo da spezzare la routine ed esplorare altre idee che ho per me stesso. Nei prossimi mesi lavorerò su un libro. Stiamo preparando la conferenza re:place del 2007 e sto lavorando qui a Berlino con il laboratorio di media art TESLA. E oltre a tutto questo terrò sicuramente aperti gli occhi e le orecchie…