Abbiamo avuto modo lo scorso numero di parlarvi del Blip Festival, probabilmente il più importante raduno internazionale di artisti 8bit mai organizzati fin’ora. A New York Monica Ponzini aveva avuto modo di assistere all’evento raccontandolo nel relativo articolo del numero di 21 di Digimag di Febbraio con supporto video di State Grezzi Productions
Il Blip Festival è uno dei progetti attivi del collettivo 8bitpeoples, anima multiforme e polifunzionale composta da oltre 9 artisti, collettivo artistico aperto dedito all’estetica 8bit audiovisiva di matrice videoludica. Il messaggio è chiaro sin dalla loro presentazione: “Our primary interests were to provide quality music for free and most importantly to have fun”. Come dire, il messaggio è chiaro: non rompeteci troppo con le vostre analisi sul fenomeno estetico low bit, noi siamo qui per prendere il meglio di ciò che è stato lasciato indietro e divertirci nel modo più semplice e genuino possibile, condividendo tutto questo con quanta più gente possibile, in modo gratuito.
Ancora curiosamente escluso dalla maggior parte dei festival internazionali più importanti (tranne rari e lungimiranti casi), il movimento 8bit è ormai diventato un fenomeno artistico e di costume di tutto rispetto, legato ma non troppo seriamente alla diffusione della game art come fenomeno socio-culturale. 8bitpeople rappresenta una vera e propria community di creativi capace di lavorare collettivamente a vari progetti, live performances, release online e grafiche di vario tipo: spingendo al massimo i limiti audiovisivi delle consolle arcade di prima e seconda generazione (dai Game Boy aglia atari ai Commodor) i ragazzi di 8beatpeople forniscono attraverso il loro sito copie dei loro album, covers in qualità di stampa, release audio di alta qualità, bonus tracks e ultimamente softwares, hardwares e documenti di lavoro di vario tipo all’interno della sezione R&D del loro sito web, una vera miniera per tutti coloro che si occupano di sperimentazione audiovisiva in 8 bit.
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Ho avuto occasione di parlare con uno dei membri di 8bitpeople (mancando di poco Nullspleep per un suo viaggio in Giappone): Joshua Davis aka Bit Shafter, dopo la recente release della prima compilation del colletivo 8BP050, progetto supportato dallo spazio artistico no-profit di The Tank, che ha avuto la sua presentazione proprio durante il Blip Festival
Marco Mancuso: mi volete raccontare quando e come è nato il progetto 8bitpeople?
Josh: Io personalmente, a differenza di Jeremiah (aka Nullsleep), sono arrivato dentro 8bit people quando il collettivo era già attivo. In breve, Jeremiah e Mike Hanlon (aka Mesu Kamai, Tangibile e molti altri aliases) hanno fondato la netlabel nei tardi anni novanta per focalizzarsi sull’estetica low bit computing e per produrre musica creata in questo spirito. Da lì è nato tutto, un collettivo aperto di musicisti, grafici e creativi di ogni sorta che negli anni è cresciuto ed è diventato un punto di riferimento per molti.
Marco Mancuso: come avete unito le vostre single esperienze all’interno del progetto? Quanto, le vostre singole esperienze sono importanti oggi nel collettivo?
Josh: penso che semplicemente sia stato un fruttuoso processo paritario. Siamo tutti arrivati dentro 8bitpeople con le stesse esperienze creative, comprendenti progetti musicali, live performances e così via. Ma lavorando insieme abbiamo sviluppato idee più ambiziose, un paio di tour, il Blip Festival, una compilation con oltre 70 artisti, progetti la cui dimensione era nuova per noi. Questo ha molto a che vedere con la nostra tendenza a lasciare andare liberamente le idee che mettiamo inizialmente su carta, incapaci di renderci conto quando un’idea è totalmente ireealizzabile
Marco Mancuso: cosa ne pensate della crescente attenzione dei media e del pubblico attorno all’estetica 8bit? Intendo dire, il Blip Festival penso sia stato un momento molto importante per tutti gli artisti che fanno musica e video e lavori software low bit
Josh: per me questo interesse è del tutto naturale e probabilmente inevitabile. Penso sia la funzione di ogni estetica dimenticata quella di essere ri-scoperta da una generazione di persone troppo giovani quando quell’estetica era dominante. Quindi ha senso che, dopo essere stata soppiantato da un’incredibilmente migliore (e quindi più cool) estetica grafica e sonora, questo stile sia stato riscoperto proprio per i suoi meriti estetici. In generale, lo scopo della tecnologia è quello di spingere macchine sempre più sofisticate a proporre esperienze che siano sempre più simili alla realtà: per questo, in questo contesto, l’estetica low bit presenta un’astrazione veramente interessante e appealing. E sebbene si possano vedere tutti questi stili arrivare alla superficie della pubblicità, dei mass media e del pubblico di massa, il Blip Festival è stato qualcosa diretto proprio al cuore di questa specifica scena. Sappiamo bene che possa aver attratto molta attenzione, ma le nostre motivazioni erano molto più egoistiche: volevamo solo vedere le persone esibirsi e diffondere il loro merchandise.
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Marco Mancuso: siete in grado di individuare delle differenze nel movimento di musica&video in 8bit tra Europa e Stati Uniti o Giappone? Se sì, queste differenze provengono da differenti approcci socio-culturali o pensate che il movimento 8bit possa essere considerato come una forma di espressione artistica unitamente internazionale?
Josh: penso che lavorare su un’estetica 8 bit abbia lo stesso appeal attraverso differenti culture, ma l’applicazione dello stile può essere sicuramente specifica di una certo tipo di cultura. Il movimento Giapponese per esempio è sempre stato un buon riferimento per me, per il suo sperimentalismo tipicamente nipponico. E’ piuttosto difficile per me capirlo completamente, ma si può veramente percepire un certo tipo di tradizione realmente interessante per chi proviene dal mondo occidentale. Kplecraft per esempio è un duo da Tokyo che usa Game Boys, Famicom, sassofoni, congas e digeridoo non penso tu possa trovare molte persone negli States che fanno questo. Coova è un altro ottimo esempio, con le sue lunghe e complesse composizioni con il Game Boy. Ci sono poi gli Svedesi per esempio, che sembrano geneticamente predisposti ad essere meticolosi, intricati e melodici; ebbene se senti un pezzo con una galleria celebrale contorta di melodie e sapori serrati e molto ben arrangiati, nove volte su dieci sei in presenza di un artista Svedese. Negli States, sembra esserci meno enfasi su questo tipo di virtuosismi.
Marco Mancuso: voi prestate molta attenzione alle grafiche dei vostri eventi, ai packaging dei prodotti e ai visual dei live. Siete tutti in grado di lavorare sia sui suoni che sulle immagini o lavorate tutti insieme collettivamente a un singolo progetto?
Josh: Dipende dal progetto, ma moltissime cosec he facciamo le sviluppiamo in termini di collettivo. I live shows spesso coinvolgono un musicista in team con un visual artist, per uno spettacolo complementare; gli artwork degli album sono spesso fatti da grafici coinvolti ovviamente in questa estetica. C’è una vera e propria comunità di persone coinvolta, che entra nel collettivo quando serve o se ne è capace, e mi piace pensare che 8bitpeople è diventata una delle tante community di riferimento lì fuori. Sembra che attragga persone di talenti, sia musicalmente che graficamente è un cosa cool di cui far parte.
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Marco Mancuso: tutte le vostre produzioni sono sotto licenza Creative Commons. State riuscendo a creare qualche forma di modello di business sui vostri lavori o pensate di crearlo nel prossimo futuro?
Josh: le licenze Creative Commons che usiamo non sono una stretgia di business di alcun tipo. Sono solo una strada per garantire esplicitamente agli ascoltatori il permesso di downloadare e ascoltare musica gratis e di scambiarla con altri. 8bitpeople non è ancora un business in alcun modo formale. E’ stato creato unicamente per divertimento e con poche aspettative, per cui tutto è reso disponibile senza pagare. Noi ci lavoriamo nel nostro tempo libero e il progetto è essenzialmente senza sovvenzioni di alcun tipo. Non penso che nessuno di noi abbia mai pensato troppo a sviluppare un possibile modello di business sul progetto: è un lavoro di amore e sebbene non si auto-mantenga finanziariamente, la cosa non ci interessa troppo. C’è un vero momento creativo in cui tutti quanti noi crediamo e da cui siamo eccitati, per cui non è un sacrificio tenere il tutto in movimento attraverso i nostri sforzi
Marco Mancuso: ti capisco benissimo .