Ed è arrivato alla sua diciassettesima edizione il festival ArtFutura di Barcellona, che si è svolto dal 26 al 29 ottobre presso gli spazi del Mercat de les Flors, nella suggestiva città del teatro di Montjuïc. Il programma di quest’anno, come neli anni scorsi del resto, era denso e ricco di conferenze, proiezioni, worshop, feste e tavole rotonde.
Abbiamo seguito la ricchissima rassegna, difficile, forse impossibile da valutare nella sua fieristica globalità: abbiamo però cercato di osservare e riportare le nostre impressioni sui lavori visti, sui progetti presentati e sul senso complessivo di un evento culturale e spettacolare di questa portata. Un report, questo proposto da Digicult, che cerca di essere il più dettagliato possibile senza avere l’ambizione di poter raccontare un evento di questa portata nella sua globalità: un racconto che cerca di avere al contempo una visione precisa e approfondita sulle opere esposte, così come una panoramica generale su un appuntamento che rappresenta uno delle massime rassegne mondiali di spettacolarizzazione della nuova cultura elettronica contemporanea.
Scendendo quindi nel dettaglia, ha aperto i lavori la proiezione a inviti in anteprima assoluta di A Scanner Darkly (http://wip.warnerbros.com/ascannerdarkly/), l’ultima fatica di Richard Linklater. Il film, prossimamente nelle sale europee, è la trascrizione cinematografica di uno dei racconti più famosi di Philip K. Dick, maestro della letteratura fantascientifica, ed è stato girato con attori di grande calibro, come Keanu Reeves e Robert Downey Jr., per poi essere convertito in animazione digitale tramite la tecnica della rotoscopia. A Scanner Darkly ha mantenuto un ruolo di protagonista nel corso di tutto il festival: se ne è parlato nel corso dell’incontro con il suo produttore Tommy Pallotta e il trailer veniva proposto ripetutamente nel corso delle proiezioni e i suoi manifesti arredavano le hall del teatro.
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Il primo giorno di conferenze sono saliti sulla scena Andrew Vande Moere, i Realities United e gli United Visual Artists. Si è trattato certamente della giornata più interessante di tutto il festival e dei progetti più coerenti con il soggetto dell’edizione 2006.
Andrew Vande Moere ha presentato gli sforzi che sta operando Information Aestethics (www.infosthetics.com) per trasformare la visualizzazione dei dati in un’esperienza estetica. Dopo un’analisi di diverse possibilità di visualizzazione nel corso della quale rifletteva sulla leggibilità e sulla fruibilità delle informazioni fornite, Vande Moere ha proposto una serie di progetti pensati per integrare le informazioni negli oggetti del quotidiano dirigendosi ai cinque sensi: ombrelli o tostapane che trasmettono le previsioni del tempo in forma rispettivamente di codici di colore o di simboli disegnati, chiavi USB che ingrassano proporzionalmente alla quantità di dati che contengono, una cucina “arricchita” che informa sul contenuto del frigo o sulla temperatura dell’acqua prima ancora che si intervenga con il gesto. Idee che ancora suscitano il sorriso, ma che forse permeeranno la quotidianità dei nostri discendenti.
I Realities United (www.realu.de) hanno scelto di trattare il tema dell’estetica dei dati in una forma differente: integrando la tecnologia con l’architettura. I risultati dei loro lavori sono sempre meravigliose installazioni futuristiche capaci di rivoluzionare l’atmosfera degli angoli di città su cui intervengono. Prima di arrivare ai progetti che li hanno resi famosi, hanno concepito soluzioni suggerite dalle restrizioni della vita cittadina. Perchè, per esempio, chi vive in un appartamento senza un balcone non deve poter sedere un momento all’aperto per prendere un po’ d’aria senza uscire di casa? Nel 2001 nasce così Reinhaus, una speciale barra che si monta sulla finestra e che permettere di far scorrere fuori una comoda sedia a sdraio rotante. Nonostante il coraggioso inquilino abbia modo di assicurarsi con una corda, forse per motivi di sicurezza nessuna compagnia ha per ora voluto investire nella realizzazione di questo prodotto, ma sono sempre possibili ulteriori sviluppi. Più concreti sono stati invece i progetti Bix e Spots,, realizzati in base a una matrice comune rispettivamente alla Kunsthaus di Graz ( www.kunsthausgraz.at ), degli architetti londinesi Peter Cook e Colin Fournier, e sulla facciata dell’edificio di Postdamer Platz 10 di Berlino ( www.spots-berlin.de ).
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Qui la sfida era riuscire a trasformare gli edifici in installazioni mantenendosi entro i margini di un budget molto limitato ed evitando di non trasformare il media streaming in un messaggio pubblicitario. Si poneva inoltre il problema che l’architettura dura molto a lungo, mentre la tecnologia invecchia molto rapidamente e la loro integrazione doveva poter prevedere una prospettiva che meritasse l’investimento. Per questo il tutto si è risolto con una soluzione semplice ed economica ma di fortissimo impatto: rivestire i pannelli di luci circolari che si comportino come pixel e trasmettano immagini video provenienti dalla televisione o dalle creazioni di videoartisti. Nel caso di Berlino, la struttura è stata arricchita con enormi fogli di plastica trasparente con diverse texture. L’eccezionale risultato ha suggerito il progetto Nix, che consisterebbe in un semplice sistema capace di controllare l’illuminazione dei palazzi (per esempio i grattacieli dove ci sono solo uffici), senza hardware aggiuntivo, trasformandoli, durante le ore notturne, in enormi giganti di luce animati.
E la luce à anche la materia che plasmano gli UVA (www.uva.co.uk), già noti per aver creato le spettacolari scenografie di LED che hanno accompagnato i concerti di Massive Attack e U2 negli ultimi anni. Il collettivo fa uso di software generativi e di dati tratti da Internet (dal numero degli assassini compiuti negli Stati Uniti in un determinato anno, alla quantità di pizze mangiate in quel momento nel mondo, ai voli in atterraggio in quell’istante) per creare stringhe di dati, molecole di luce che si scompongono e ricompongono a ritmo di musica, con effetti ottici di grande eleganza. Il loro background è piuttosto variegato: si va dal VJing, al Graphic Design, all’esperienza nella programmazione di videogiochi. E questa loro geniale (ma evidentemente non troppo scontata) identificazione di pixel e luce, mescolata alla loro creatività e spesso ai suggerimenti dati da effetti imprevisti come distorsioni della videocamera, ha trovato applicazione in spettacoli di danza, arredamento di night club, installazioni e performance live, come quella che hanno presentato la notte del sabato presso il tendone Moviestar del Forum di Barcellona, con la musica elettronica di ScanOne (Jude Greenaway).
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La mattinata del venerdì è stata invece dedicata al mondo della robotica e ancora dell’architettura ambientale, con il corcorso Vida della Fundación Telefonica, con Marcel·lí Antuñez Roca e lo studio Waksman.
Daniel Canogar, coordinatore della competizione internazionale Arte y Vida Artificial, di cui a breve saranno pubblicati i vincitori dell’ottava edizione, (www.fundacion.telefonica.com/at/vida/), ha raccontato come e perché è nato questo concorso. L’idea all’origine era di organizzare un premio per l’arte elettronica che investigasse la vita artificiale. La Fundación Telefonica ha accettato di finanziarlo, dando il via a un evento di sempre maggior ripercussione. La giuria è costituita da personaggi di diversa estrazione (tecnica o artistica, perché si possano considerare tanto il valore tecnologico quanto quello concettuale) e nel corso di ciascuna edizione si riunisce quattro giorni per discutere e selezionare i progetti.
Le domande cui si cerca di dar risposta sono: cos’è la vita artificiale? cosa innalza a livello di opera artistica un progetto di vita artificiale? Domande sicuramente non facili e che evidentemente non hanno ancora trovato una risposta, vista la grande differenza dei progetti selezionati: Artifauna dell’olandese Theo Jansen, meravigliosa opera scultorea vivente, molto meno semplice di quanto appaia e che non fa uso di tecnologia, ma solo di vento e ingegneria meccanica, appare nella storia dei primi premi insieme per esempio al robot Tickle, di Erwin Driessens e Maria Verstappen, oggetto di design per quanto dotato di un comportamento piuttosto complesso. Interessanti le riflessioni che portano la giuria a concludere il difficile processo di selezione. La versione 8, che richiedeva opere “site specific”, è stata vinta da AP0201, che trasmette l’idea di solipsismo comunicativo, di vita artificiale che diventa autonoma e parallela, tagliando fuori l’umano e impedendogli di accedere alle sue informazioni. Il secondo premio è stato assegnato a Liveform:Telekinetics, progetto che investiga lo spazio sociale proponendo sessioni di cucina a distanza. Il terzo premio è andato invece a Divine Methods/Hidden Motives, che assume un significato profondo dal momento che è stato installato in una chiesa.
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Alvaro Rey ha presentato invece i lavori dello studio Waskman (www.waskman.com), che si occupa di pubblicità e arte digitale. Tra i loro progetti, alcuni non realizzati, la trasformazione di un quartiere in espansione della città di Londra, in un grande teatro interattivo a cielo aperto; ma ancora, pubblicità per le apparecchiature mediche della Philips orientate al paziente (e da qui l’idea di pensare oggetti domestici interattivi, come il lavandino che gocciola sincronizzandosi al battito cardiaco di chi lo tocca), l’installazione nel parco di San Sebastian di 12 denti di leone alti dai 18 ai 23 metri, fatti di fibre ottiche e led, che si piegano con il vento rilasciando bolle di sapone e con cui si può interagire tramite SMS. Senza dimenticare il gigantesco schermo Nokia installato a Madrid, dove appare un telefonino che risponde automaticamente agli SMS che gli inviano i passanti o una pubblicità olfattiva in una vetrina dotata di una ragazza in video che, quando si accorge che sta passando una persona, la chiama e soffia su una rosa emettendo realmente profumo. Questo sistema che risponde al soffio è stato poi ulteriormente sviluppato in molte forme: dalla pubblicità per l’azienda di gas Endesa a un padiglione Levis, dove si interagisce con tatuaggi in stile chicano o con scene naturalistiche (fiori, farfalle).
Marcel·lí Antuñez Roca (www.marceliantunez.com), ha presentato infine la sua teoria della Transpermia, ossia l’inverso dell’idea secondo la quale milioni d’anni fa spore di materia organica cadendo sulla terra la fecondarono e diedero origine alla vita. La Transpermia sarebbe quindi il processo di ritorno dell’uomo all’universo, per esempio attraverso protesi che estendono i sensi o che permettono l’identificazione con altri esseri viventi. La visionaria fantasia di Marcel·lí ha cercato di immaginare cosa faremo nel molto tempo libero che avremo a disposizione quando tutto sarà meccanizzato e non ci sarà più bisogno di lavorare e lo ha proposto con le sue divertenti animazioni pilotate dal Dreskeleton.
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A partire da questo momento il festival ha così cominciato ad attirare un denso pubblico di giovanissimi e a spostare leggermente il tiro. Si è partiti con un incontro tra esponenti di imprese spagnole dedite all’animazione 3D o di disegnatori e animatori locali esportati all’estero, per riflettere (come poi anche il giorno dopo in una tavola rotonda dedicata agli effetti speciali) sul ruolo di questo paese nel grande mercato o sulle possibilità lavorative aperte ai numerosi studenti che si formano in scuole sempre più interessanti, come l’Università Pompeu Fabra di Barcellona.
Si è continuato con lo studio britannico Framestore CFC (www.framestore-cfc.com), autore di vivaci pubblicità piene di animali completamente sintetizzati con Houdini (http://www.sidefx.com/); la Aardman animations ( www.aardman.com), famosa per i suoi Wallace and Gromit e presto sugli schermi con Flushed Away; l’Attitude Studio, autore del lungometraggio cyberpunk Renaissance ( www.renaissance-movie.com ), già visto al festival di Sitges (ma che non tornerà più in Spagna). Il film, la cui lavorazione è cominciata ben nove anni fa, fa uso di uno stile grafico molto semplice, costituito per lo più di spot bianchi su fondo nero e raramente di alcune macchie di colore. Realizzato con la tecnica del motion tracking, ha richiesto uno studio particolare per l’animazione degli occhi, che sono quelli che maggiormente conferiscono espressione al viso. Per questo sono stati progettati degli occhiali speciali, dotati di videocamera, che consentivano di registrare il movimento degli occhi degli attori mentre recitavano e di riprodurlo più fedelmente in digitale.
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Il festival ha quindi presentato a sorpresa un ospite d’eccezione: Miguel Án gel Fuertes, noto animatore spagnolo appena rientrato dall’Australia, dove ha lavorato alla realizzazione dell’imminentissimo Happy Feet (www2.warnerbros.com/happyfeet/). Si tratta di uno spettacolare musical di animazione preparato in sette anni da uno studio pubblicitario, l’australiano Animal Logic (www.animallogic.com). Il regista George Miller (già noto per il maialino Babe e Mad Max-Oltre la sfera del tuono) ha voluto conferire ai 200.000 pinguini movimenti unici, ottenuti grazie a numerosissime riprese di ben 27 ballerini, ed espressioni il più possibile realistiche, allo scopo di ottenere un film più vicino al documentario che all’animazione vera e propria.
Parallelamente alle conferenze, in un altro spazio del teatro era possibile assistere a proiezioni, raccolte di animazioni di provenienza internazionale, le animazioni 3D spagnole in concorso, l’anteprima del Res Fest. Nel cortile era inoltre presente un tendone dove accedere a diverse postazioni PlayStation 2. Il videogioco, ambito in cui le tecniche di animazione trovano facilmente sviluppo, è stato infatti un altro tema abbondantemente trattato durante l’ultimo pomeriggio di conferenze, con la presenza di illustri relatori statunitensi e giapponesi.
Chi entrava nella sala Mac, dove si sono tenuti gli incontri, veniva inoltre accolto da una bellissima installazione di poesia dinamica interattiva di Andreas Muller, programmatore del celebre studio di design Hi-Res! (www.hi-res.net)
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Quasi tutto il festival si è mantenuto quindi su un altissimo livello, ma forse ha lasciato un po’ deluso chi si aspettava meno cinema da botteghino e videogiochi e più spazio alla ricerca vera e propria nell’ambito dell’arte e della creatività che spingono le nuove tecnologie al di là delle applicazioni per cui vengono pensate. Nel cinema di animazione delle grandi industrie di produzione si sta tentando di ottenere una riproduzione sempre più fedele della realtà, obiettivo sicuramente imprescindibile per un’umanità che si è dotata di macchine ogni giorno più capaci di farlo. Ma l’arte non dovrebbe mirare all’interpretazione, se non addirittura all’astrazione?
Si è trattato comunque di un evento prezioso da cui trarre utili informazioni e ispirazioni e per aggiornarsi sugli sviluppi del processo di ricreazione della realtà ormai a portata praticamente di qualsiasi utente informatico. C’è da sperare che dai numerosissimi giovani interessati in queste discipline e impegnati a formarsi per acquistarne la padronanza, continuino a sorgere proposte in direzioni meno segnate, capaci di aprire nuovi sbocchi creativi.