Dal 9 all’11 Novembre si svolge l’ormai consolidato appuntamento con Club To Club, evento che si autodefinisce festival internazionale di musiche e arti elettroniche. Giunto alla sua sesta edizione il festival allarga quindi il campo e dalla consueta città di Torino si sposta in parte a Berlino, alla ricerca di una connessione mitteleuropea che ne segni inequivocabilmente la contemporaneità delle scelte artistiche.

Dando uno sguardo al programma, districandosi tra diversi luoghi cari ai nottambuli torinesi e una location berlinese di prestigio come il Watergate, si rintracciano live, dj set e workshop di indiscusso valore per gli appassionati di musica elettronica ballabile. A sancire l’internazionalità fortemente voluta del festival tra i molti si rintracciano, nel programma – diviso in simultanea e collegato da streaming tra Torino e Berlino – artisti inglesi (Dani Siciliano, Isan, Clark), tedeschi (Ellen Allien & Apparat, Sebo K, Carsten Klemann, Dj Pete), francesi (Agoria) scozzesi (Alex Smoke) cileni (Riccardo Villalobos), messicani (Murcof), austriaci (Cassy), spagnoli (Alex Under), canadesi (Vincent Lemieux) e americani (Rolando, Robert Hood), oltre alla consueta schiera di italiani perlopiù di base a Torino (Oxtongue, Drama Society, Giorgio Valletta, Roger Rama).

A fianco della parte ludica della manifestazione c’è anche una parte concettuale fatta di workshop, proiezioni di documentari, installazioni, tra cui spiccano un documentario sulla scena elettronica berlinese (Digital Berlino) e una lecture tenuta dal giornalista/dj Fabio De Luca sui tanti volti della techno (“1, ness1, 100.000”).

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Club To Club ha alcuni pregi e alcuni difetti come tutte le cose. Tra i pregi, sicuramente la volontà di essere un contenitore duraturo e di essere un punto di riferimento per un certo tipo di proposta; tra i difetti quello di essere per forza di cosa incentrato su scelte artistiche fin troppo vicino ai suoi creatori (il seppur meritevole staff di Xplosiva). Qualcuno parlerebbe, probabilmente esagerando, di conflitti di interessi ma lo stato dei fatti è che un festival di questo tipo può nascere solo dalla spinta di privati (seppur supportato ampiamente dalle istituzioni come nel caso di Club To Club), perché all’interno delle istituzioni mancano le figure realmente capaci di capire e sviluppare un progetto concreto ogni volta che si parla di arti contemporanee.

Se poi si tratta di arti contemporanee legate al mondo musicale, le cose si complicano ancori di più. Nella maggior parte dei casi i comuni italiani non vanno oltre le iniziative legate al supporto di qualche sala prove e bando di concorso per band emergenti legate al mondo sdoganato delle cover band o dei cosiddetti “gruppi di base”, della musica suonata (perché socializzante e quindi accettabile dal punto di vista civico). Quando invece si tratta, come in questo caso, di musica dance (più o meno intellettualizzabile, ma pur sempre ballabile), la posizione delle istituzioni cambia radicalmente e la musica elettronica non è più vista come arte ma come una sorta di degenerazione del gusto popolare che, nel migliore dei casi, deve essere resa inoffensiva (vedi le campagne politiche per l’abbassamento dei volumi e dei bpm nelle discoteche) e nel peggiore dei casi viene spesso demonizzata dall’informazione istituzionale e comunemente accettata (techno=droghe= sballo=morti in incidenti stradali).

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In questo scenario, non proprio roseo, i festival di musica elettronica ballabile (da non confondere i festival di musica concreta) in Italia non hanno mai avuto vita facile e sono stati spesso ignorati e in molti casi non sono mai decollati. Con tutti i meriti possibili, Club To Club è ancora lontano da essere il corrispettivo italiano dello spagnolo Sonar. I motivi sono molteplici e di non facile soluzione. Tra questi le mancanze economiche che impediscono di coinvolgere artisti headliner ai confini con il mainstream che possano fare da catalizzatore per il pubblico non specializzato da una parte e la poca varietà dei generi e l’incapacità di individuare “i nomi” del futuro invece che limitarsi a fotografare il presente dall’altra.

Discorso analogo si potrebbe fare per un altro festival di musica elettronica come Dissonanze, che si svolge a Roma dal 2000 e che ha attraversato un percorso parallelo a Club To Club. Il padre spirituale di questo tipo di festival in Italia rimane comunque il defunto (momentaneamente?) Distorsonie di Bologna che vide nel Link il suo fulcro tra il ’95 e il 2005.

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Di tutti i festival forse Distorsonie è stato infatti quello che, pur invitando ospiti internazionali di rilievo, ha cercato anche di gettare un ponte tra le diverse realtà italiane e tra i diversi generi (dal drum’n’bass al trip hop, dalla house alla techno per arrivare all’afro e alle situazioni più sperimentali), dando spazio anche ad artisti interessanti ma non ancora di richiamo. Purtroppo in questi anni qualcosa è andato storto e i festival italiani di musica elettronica hanno gettato ideali ponti con l’Europa dimenticandosi di gettare ponti con le altre realtà connazionali.

Quindi lunga vita ai festival di musica elettronica torinesi, romani, bolognesi, milanesi…ma a quando un festival italiano di musica elettronica? Quand’è che la smetteremo di andare al Sonar per respirare davvero l’aria di un festival di musica elettronica internazionale?.


www.clubtoclub.it