Il love affair tra arte e videogame ha una lunga storia alle spalle, databile almeno alla metà degli anni Novanta. Una serie di mostre e pubblicazioni ne ha sancito, lungo gli anni, la stabilità, eppure la notizia del loro matrimonio giunge ancora come una sorpresa.

È difficile, infatti, non leggere un salto di qualità nell’organizzazione, in questi mesi, di tre eventi di alto livello che fanno, in modi diversi, il punto su questa vicenda. Il 7 ottobre il MoMA di New York proporrà in anteprima mondiale il documentario 8 BIT: A Documentary about Art and Videogames (Mutationengine 2006), così presentato dalla curatrice Barbara London: “8 BIT chronicles… the relatively recent history of video game-based art, but also suggests that the bit-bending antics of the post-video game generation hint at a new current in the uncharted waters of 21st century art history.”

Il cast prevede artisti del calibro di Cory Arcangel, Mary Flanagan, Alex Galloway, John Klima, Eddo Stern e Carlo Zanni, mentre la colonna sonora è firmata da alcuni campioni della musica a 8 bit: Bodenstandig 2000, Gameboyzz Orchestra, Nullsleep, Role Model e teamtendo.

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A Oldenburg, in Germania, continua fino al 5 novembre la mostra Playback_Simulated Realities, sui temi della simulazione e del “re-enactment”, la riproposizione di eventi e azioni del recente passato. Ospitata dall’ dith Russ Site for Media Art, la mostra include, fra gli altri, l’eccezionale coppia Beate Geissler / Oliver Sann e poi Lynn Hershman, Felix Stephan Huber e Eddo Stern.

Infine, avrà luogo tra il 4 e l’8 di ottobre, ad Atene, la settima edizione del festival medi@terra, intitolata Gaming Realities e dedicata, appunto, al complesso rapporto fra produzione artistica e videogiochi. Medi@terra si è affermato negli anni come uno di quei piccoli eventi periferici cui non si può assolutamente mancare. Un lungo lavoro di ricerca e l’organizzazione di un comitato di esperti che partecipa attivamente alla selezione delle proposte producono una quattro giorni di conferenze, screening, eventi e una mostra che quest’anno conta ben 30 progetti.

L’accuratezza di questo lavoro di ricerca dà all’evento la capacità di porre in evidenza alcune tendenze in atto all’interno di questo ambito di attività. Una tendenza poco virtuosa, ma in grado di produrre occasionalmente risultati di un certo interesse, è quella che tenta di rivitalizzare la pesante tradizione della installazione interattiva à la Ars Electronica sviluppandone la dimensione ludica. Un buon esempio è costituito da Grid Chase – The 5€ Dance Pad Project (2002) dell’artista greco Dimi Christopoulos, la cui maggiore virtù è proprio l’approccio low cost e DIY con cui si inserisce nel genere del dance pad. Game mods e game patches si dimostrano ancora in grado di produrre lavori di ottimo livello – come Philosopher Death Match (2006) dell’americano Benjamin Chang, una patch a Quake III in cui il giocatore discute a morte con i grandi pensatori della tradizione occidentale, o Nowhere – ein welt raum spiel (2004) degli austriaci Sylvia Eckermann, Gerald Nestler, Christof Cargnelli e Oliver Irschitz, una sorta di evoluzione astratta e misticheggiante dell’interfaccia di Unreal – e anche autentici capolavori, come Max Payne cheats only di Jodi.

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Tuttavia, l’hacking di videogame esistenti è ormai lontano dall’essere la principale strategia artistica di confronto con il mezzo videoludico. Il videogame sembra essere, per gli artisti, sempre meno un medium da de-costruire, e sempre più un medium da ri-costruire, da rifondare. Si pensi al genere dell’anti-advergame, qui rappresentato dal fortunato McDonalds’s Videogame (2006) di Molleindustria e da Disaffected! (2006) del team statunitense Persuasive Games: giochi destinati a una diffusione virale in rete, che ribaltano la prospettiva promozionale dei giochini pubblicitari prodotti dalle grandi aziende rivoluzionandone il gameplay.

Sempre più frequenti sono anche i casi di sforzi produttivi più consistenti, che mirano a sviluppare prodotti di qualità destinati a scendere in campo accanto ai prodotti commerciali: un genere qui ben rappresentato da Darwinia (2005), opera sofisticata e originale del team inglese Introversion Software che è già un piccolo culto tra i videogiocatori. Se Introversion Software, come i francesi autori di Lykno, il team olandese Taleoftales e i danesi Serious Games Interactive – autori di un gioco sul conflitto in Palestina – cercano di rinnovare dall’interno i linguaggi del videogioco mainstream, altri gruppi studiano strategie alternative di game design: trasferendo il terreno di gioco nel tessuto urbano, come fanno gli inglesi Blast Theory con Can you see me now? (2001), vincitore della Golden Nica for Interactive Art nel 2003, o la neonata The Ludic Society con Ready Played (2006), un progetto che rilegge il parkour praticato nei sobborghi francesi come un videogioco; trasformando il videogame in uno strumento di vjing (Postvinyl dell’inglese Mathias Fuchs) o di produzione musicale (Fijuu2 di Julian Oliver e Steven Pickles); aprendo il videogioco all’intervento creativo e all’elaborazione collettiva degli utenti, come ha fatto Personal Cinema con il multiplayer online The making of Balkan wars: the game (2004) e come sta facendo il collettivo spagnolo Fiambrera con il progetto Bordergames, che attraverso una serie di workshop mette a disposizione delle comunità di giovani emigranti un motore di videgioco e gli strumenti necessari per disegnarlo, ma soprattutto cerca di renderli consapevoli dell’importanza di mettere le mani sulle nuove tecnologie.

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Alcuni giochi d’artista sperimentano all’interno di forme ormai classiche, come il genere dell’adventure su cui lavorano gli austriaci Monochrom in Soviet Unterzogersdorf (2005) o quello dei god games sovvertito dai serbi Eastwood Group in Civilization IV – Age of Empire (2004); altri sperimentano strategie narrative e ludiche alternative, come il “dramma interattivo” di Façade (opera degli americani Michael Mateas e Andrew Stern) e il gameplay tutto testuale di Book and Volume (2005) di Nick Montfort, anche lui americano.

Infine, un ulteriore merito di medi@terra consiste nell’aver sanzionato, se ancora ce ne fosse bisogno, l’importanza del genere dei machinima, chiedendo al fondatore di machinima.fr Xavier Lardy di organizzare una piccola antologia (tra parentesi, ricordiamo che anche il neonato Festival del Cinema di Roma dedicherà al genere, nella sezione “Extra”, una rassegna). Nati dall’esigenza dei videogiocatori di documentare le proprie performance all’interno degli ambienti di gioco, i machinima (machine + animation + cinema) sono film girati all’interno degli ambienti di gioco con gli strumenti di regia messi a disposizione dalla piattaforma di gioco medesima.

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Dall’iniziale approccio fai da te si è passati molto in fretta alla nascita di vere e proprie realtà produttive, di un circuito di distribuzione, addirittura allo sviluppo di giochi – come The Movies – nati proprio allo scopo di farsi piattaforma per la produzione di machinima. La selezione di Lardy comprende anche uno dei “casi cinematografici” che hanno contribuito alla popolarità del genere, The French Democracy (2005). Girato dal regista francese Alex Chan all’interno di The Movies, il film è una narrazione – riflessione sulle ragioni che hanno prodotto i roghi delle banlieue parigine: un tentativo di far emergere, in una fase in cui la condanna delle violenze era unanime, la verità dei ribelli, la loro eterna insoddisfazione di cittadini di secondo grado. Particolarmente succose, infine, le conferenze, soprattutto quelle di domenica 8 ottobre, dedicate proprio alla game art, con interventi di Julian Oliver (fondatore di Selectparks), Xavier Lardy, Margarete Jahrmann (fondatrice di Ludic Society e artista), Gonzalo Frasca, Laura Baigorri (autrice del seminale Game as Critic as Art), Auriea Harvey & Michael Samyn.


http://www.8bitmovie.com/

http://www.edith-russ-haus.de/english/playback.html

http://www.mediaterra.org/en/index.htm

http://www.machinima.com/