Sabrina Raaf, una giovane ma già affermata artista di Chicago, si diletta nel creare opere d’arte a metà tra la scienza e la tecnologia, natura e meccanica. Nelle sue sculture ci sono continui riferimenti al mondo reale, che ci circonda, ma Sabrina trasforma i paesaggi familiari osservati, portando alla luce quegli aspetti che sono invisibili al nostro occhio, perché troppo grandi o troppo piccoli.

Forse le visioni che ci propone esistono solo nella sua fantasia di artista, certo è che il mondo dal suo punto di vista appare più affascinante e più “buono”. Sabrina sogna un mondo in cui la tecnologia e la ricerca siano al servizio delle qualità umane più elevate, come l’intelletto, e che possano amplificarle, potenziarle e metterle al servizio della collettività. Tutti i suoi lavori anticipano in sostanza un futuro non molto lontano in cui l’ingegneria genetica, la robotica, gli esperimenti anti gravità, gli ecosistemi sintetici, le architetture meccaniche biomorfiche, potranno alterare la nostra ercezione del tempo, dello spazio, della socialità e anche della natura.

In questa intervista Sabrina ci racconta il suo passato, il suo presente e qualche anticipazione del suo futuro, da scorgere tra le righe della descrizione del suo ultimo lavoro artistico: Icelandic rift , un paesaggio un po’ lunare e un po’ glaciale, che ha scorto durante un viaggio nelle terre del nord.

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Beatrice Ferrario: Come hai iniziato a creare opere d’arte digitale?

Sabrina Raaf: Ho cominciato a fare arte nei primi anni 90 usando una macchina fotografica. Il mio istinto allora – come adesso – era di provare a creare immagini che avessero il valore documentale della “Fotografia”, ma che non includessero dei contenuti che potevo vedere con i miei occhi. In altre parole, volevo creare una fotografia di un mondo che non potevo vedere, ma che fosse credibile a me stessa e agli altri. Il software era lo strumento più potente che potessi impiegare da subito nella costruzione di queste immagini. Appena sono diventata più sciolta con le immagini digitali, il lavoro si è fatto più scorrevole e complesso.

Betarice Ferrario: Da cosa solitamente vieni ispirata?

Sabrina Raaf: La mia ispirazione deriva da così tanti luoghi – è difficile definirli “soliti” (usuali, n.d.r). Ma, come potrete immaginare dai miei ultimi commenti, sono affascinata da qualsiasi immagine scientifica che documenti mondi che sono o troppo microscopici o troppo macroscopici perché si possano notare. Mi tengo informata con diverse riviste scientifiche che anticipano le ultime frontiere della scienza, della meccanica e dell’invenzione. E “mi faccio” di film e arte contemporanea. Può sembrare strano, ma raramente guardo all’arte contemporanea per cercare ispirazione – però mi piace davvero tenermi aggiornata su cosa stanno facendo gli altri. Questo probabilmente perché sento come se il mondo dell’arte contemporanea sia troppo ingabbiato, così non voglio propagare un modello auto-referenziale di fare arte.

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Betarice Ferrario: Che cosa rappresenta per te fare arte?

Sabrina Raaf: Mi imbatto sempre in questa domanda. A volte fare arte mi sembra che abbia un senso chiaro ed elevato – come lo è creare immagini, oggetti, e sistemi funzionali che illustrino un luogo/tempo futuro dove la nostra tecnologia sia disegnata come nostro reale complemento e che possa perfino amplificare le qualità umane più positive, interattive e intelligenti che possediamo. (Questo sta all’estremo opposto rispetto alla marea attuale di gadgets e spyware che finiranno per essere seppelliti una discaricao spingere ancora più oltre il nostro senso di alienazione).

Altre volte, facendo arte mi sembra di creare ancora e ancora una mia via di fuga personale…

Beatrice Ferrario: Su cos’è il tuo ultimo lavoro? Puoi descriverlo nel dettaglio ai lettori di Digimag?

Sabrina Raaf: Il mio lavoro più recente include una serie di sculture intitolata Icelandic rift. Questa è una serie di strutture assemblate con materiali industriali, forme aride e organiche, e sistemi di automazione. Queste strutture insieme formano un sistema modulare di architettura organica che gioca sul senso della proporzione e della gravità dell’osservatore. Le sculture di Icelandic rift sono alimentate elettronicamente e includono sistemi meccanici che hanno la funzione di automatizzare luci e fluidi contenuti nel corpo della scultura.

Le strutture nella serie di Icelandic rift rappresentano una visione futura dell’agricoltura e della crescita in un ambiente a 0 gradi. Si tratta di una composizione di isole artificiali supportate e connesse da sostegni in alluminio cosicché possano essere assemblate come parte di un più ampio sistema meccanico che si innalza sopra il pavimento. L’architettura formata da queste strutture è stata disegnata per essere percepita come vagamente familiare ma al tempo stesso radicalmente aliena.

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Sulle isole di alluminio più grandi della serie si collocano isole più piccole, ricavate da forme di acrilico fuso e/o alluminio. Le isole centrali sono concave perché funzionino da riserve di ferrofluido – un tipo di magnete liquido. E’ un liquido nero e denso che prende forma quando un magnete terrestre viene collocato in sua prossimità. Sotto alcune di queste isole ho automatizzato magneti ed elettromagneti che, a turno, attivano il liquido di ferrofluido nelle riserve in modo che venga fatto girare, salire, andare in giro. Ciò simboleggia le fonti di energia dei sistemi. I materiali inclusi nella serie sono alluminio, acrilico fuso, eurothene, ferrofluido, attuatori cinetici e dispositivi elettronici personalizzati.

Per creare questo lavoro sono stata ispirata dai paesaggi che ho visto in Islanda nel 2004. Li’ ho visto ghiacciai così imponenti da togliere il fiato, che sembravano galleggiare su distese lisce di lava rocciosa e nera. In altre parti dell’Islanda c’erano macchie sterminate di zolfo verde acido sulla terra e vasche, blu e vaporose, di alghe che amano il caldo. Il tutto sfidava la concezione di “naturale” che possiamo avere. Il paesaggio in Islanda è famoso per la sua atmosfera lunare, ma i suoi elementi sembrano vincere la gravità e la logica in modi davvero inaspettati. Traggo ispirazione per questo lavoro anche dal design su più livelli dei sistemi di agricoltura collinare, come quelli delle terrazze per la coltivazione del riso in Asia. Infine, l’ispirazione mi viene anche dalle forme morbide che si trovano nelle cupole degli osservatori celesti, dalle gocce d’acqua e dalle biosfere.


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