Al Teatro La Fenice di Senigallia si respira da diversi mesi l’ aria dei grandi eventi, grazie al suo ricco cartellone internazionale, sottolineando come esso sia diventato un punto di riferimento ineguagliabile per tutti gli appassionati ed esperti della cultura artistica contemporanea.
Un Teatro esaurito in ogni ordine di posto ha ospitato in esclusiva l’ultimo capolavoro performativo della Fura dels Baus: Methamorfosis. Opera intimistica, nuda, voyeristica, meno trash del previsto e più impegnata del solito, meno patetica e più malinconica, sentimentalmente efficace ed astrattamente empatica. La Fura mette in scena The Metamorphosis rifacendosi alla pièce tratta da Kafka ; come in Faust, 3.0. e in XXX , anche in questo caso l’ adattamento è libero, pur mantenendo i tratti fondamentali della storia originale e, come è solito della compagnia, di grande impatto e in puro stile furero si presentano la scenografia e le musiche.
La compagnia nasce dalle arti di strada nel 1979 e raccoglie nelle sue file artisti impegnati nella continua ricerca di nuove forme e spunti scenici. Si fregiano dell’appellativo di Guerriglia teatrale e le loro performance decisamente radicali provocano a volte, ancor oggi, vere sollevazioni popolari.
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Perverso o controverso? Titolava Der Spiegel nell’agosto 2004 riferendosi allo spettacolo XXX , che vede il gruppo impegnato nella Philosophie im Boudoir del marchese De Sade. Il linguaggio è radicale, grandioso, diretto, appassionato, irrequieto, popolare. Le loro rappresentazioni, che si tratti di performance basate sull’azionismo, di opere, di installazioni multimediali o di lavori teatrali, costituiscono un attacco globale ai sensi del pubblico, attuato con tutti i possibili mezzi di stimolazione, ma allo stesso tempo un rituale che fa leva sul subconscio dello spettatore.
Questi teppisti della subcultura (il termine tedesco, “Subkulturrabauken” è un neologismo coniato dal giornale Neue Musikzeitung) combinano tecnologia e primitivismo in quadri di oscura, potente e morbosa bellezza, con una consistente aggiunta di testosterone, un aggressivo liberarsi di energia, una gagliarda concentrazione di virile corporeità. E così questo terrore dei benpensanti è riuscito in un’impresa quasi impossibile: avvicinare, anzi, far appassionare al teatro le giovani generazioni. L’aspro beat della musica che impiegano in scena ( La Fura dels Baus ha anche inciso dei CD come gruppo rock) e che determina il ritmo incalzante delle performance fa parte del profilo giovanil-ribelle del gruppo.
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«Questa è una formula più nuda. Se la Fura è un’orchestra questa è un’opera da camera» spiega il protagonista Ruben Ametllé , alias Gregor Samsa , che nella sua interpretazione magistrale mette a nudo l’inconscio depressivo giovanile contemporaneo, facendo centro in tutto e per tutto grazie alla sua “maschera” fragile ma nello stesso tempo pericolosa (se non terribile), grazie all’efficacia dei suoi gesti, espressioni visive impeccabili e azioni padroneggiate alla grandissima.
Ottima la sua performance sia dal punto di vista della tecnica ma soprattutto per il coinvolgimento che riesce a farci “sopportare” ed apprezzare per un’ora e mezza di continue mini-storie legate alla perfezione fra di loro. Gregor è il giovane protagonista che decide di non esserlo nella sua vita, di arrendersi e limitarsi ad una condizione passiva, rinchiuso nella sua camera-cubo isolato da tutto. Il mondo intorno a lui va avanti, con i perché e le sofferenze di suo padre, di sua madre, della sorella e dei suoi amici impossibilitati a risolvere il problema. Ma quale problema poi? Tutto l’opera gira intorno a questa condizione vulnerabile, da manicomio o solamente normalissima che ci rispecchia soffocata dall’apparire quotidiano. Un figlio che non viene più riconosciuto come tale, che fa paura, silenzioso e nudo, guardingo e sporco, un insetto insomma come il commerciante di tessuti nel celebre testo di Kafka. L’interesse si sposta sulla vita di tutti i giorni della famiglia media intervallata dai video che ripercorrono adesso l’esistenza adolescenziale del protagonista, adesso il suo percorso pre-insetto fino a visioni oniriche sui temi della sopravvivenza e della vergogna.
Al centro della scena il cubo trasparente; casa e Chiesa, realtà e sogno, vita e pensieri. Metafora dello stato del protagonista che rappresenta anche una protezione dall’esterno, la corazza dell’insetto (duro fuori e debole dentro).
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La Fura in questo caso ha adottato la forza del testo, (lasciandosi alle spalle l’etichetta della “drammaturgia collettiva ipermediale”) della parola, che viene utilizzata dai diversi personaggi in scena “contro” l’apatia e il no-logos dell’elemento ibrido, del corpo psichico claustrofobico.
Siamo lontani dalle nuove percezioni create dalla Compagnia negli anni passati come MUGRA o B.O.M., dalle azioni sceniche di DADLE CAFE o XXX dalle installazioni come EL CAGANER; questa volta sono in ballo altre qualità accanto a quella multimedialità utilizzata già dai primi anni ottanta. Recitazione, sensibilizzazione e socializzazione. La vita entra di prepotenza dalla porta principale con le proprie inquietudini e gli entusiasmi, con le depressioni e le eccitazioni giovanili sempre intrecciate ad un mondo, quello della famiglia, che viene posto comunque in cima ai doveri e alle ambizioni che devono avere gli uomini, da sempre. L’unica “colpa” del protagonista è forse quella di essere fin troppo normale in questo mondo che velocizza tutto e non lascia il tempo neanche per ascoltare qualcuno, qualcuno come un figlio.
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La macchina maestosa corporea-multivisionaria, marchio sacrosanto della Fura in tutto il mondo, ha cambiato direzione o solamente visione, forse la propria concezione teatrale sta facendo i conti con l’altro lato della medaglia sempre più protagonista: il pubblico. Più informato, più critico, più pretenzioso, più difficile da sfamare ma ora più intelligente che mai e capace di comprendere tutte le sfaccettature che gli vengono proposte nei vari spettacoli. Più il tempo passa e più si alza il tasso di cultura delle persone e questo rende indispensabile una sempre crescente qualità; qualità che è sempre stata la forza della Compagnia. Costante professionalità legata ovviamente a creatività, istinto, fantasia e cultura artistica sia storica che moderna, quindi tutto questo ha influito sui consensi positivi ottenuti dinanzi a qualsiasi platea in ogni angolo del mondo.
Un plauso quindi per la molteplicità delle sollecitazioni nonostante i pochi mezzi tecnologici, per la carica eversiva nonostante la narrante fluidità, per le percezioni visive spontanee e simultanee, per la stimolazione-immersione continua del fruitore, per la recitazione supercontrollata di “routine” ma drammaticamente reale e per l’estetica perturbante ed elegantemente underground mai boderline . La trasformazione è avvenuta, e, come ci insegna la vita, aspettiamocene altre perché sono sempre e comunque evoluzioni.