Si è svolto nelle scorse settimane a Tunisi il World Summit on Information Society, che a distanza di due anni dal precedente summit di Ginevra, aveva il compito di occuparsi di strategie globali per affrontare il problema del digital divide.
Di fatto il tema più discusso nel grande carrozzone mediatico è stato invece quello, molto più interessante evidentemente sia da un punto di vista dei ritorni economici che del controllo sociale, della Internet Governance. Chi detiene quindi il controllo su internet? Chi governa la maniera in cui si sviluppa la nuova frontiera elettronica? Il Il risultato di uno dei più discussi summit internazionali degli ultimi anni (forte è l’anacronismo tra il democratico messaggio di benvenuto del presidente Ben Alì e la scelta di far svolgere questo summit in uno degli stati in cui esiste il maggiore controllo sulle informazioni in Internet al mondo grazie alle azioni di censura e repressione della libertà di espressione nei blog attivisti e di denuncia dei giovani tunisini, presenti in patria e all’estero) è che ancora una volta, nei territori virtuali, si sviluppano dinamiche e conflitti che replicano in parte la politica dei territori geografici.
La questione verte intorno al monopolio che gli Stai Uniti detengono sulla struttura di attribuzione degli indirizzi, il domain name system (DNS). Attualmente il sistema è gestito da una entità not-for-profit con sede in California , la Internet Corporation for Assigned Name and Numbers (ICANN), che riceve l’incarico dal dipartimento per il commercio americano. Una riunione preparatoria tenutasi a Ginevra negli scorsi mesi aveva messo in agenda l’individuazione di modalità di gestione della rete più condivisa a livello internazionale. Istanza legittima che però di fatto si è scontrata con l’opposizione piuttosto netta degli Stati Uniti.
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Ad essere particolarmente critiche sulla attuale forma di gestione sono soprattutto nazioni non allineate come Cina, Iran, Pakistan, Brasile, che imputano agli USA un atteggiamento accentratore ed “imperialista’ anche su internet. Anche l’Europa ha un atteggiamento di moderata critica rispetto al dominio americano, pur con toni molto più accomodanti e sfumati. Il rischio ventilato è addirittura quello di una “spaccatura” del World Wide Web, con la nascita di diverse internet gestite e dominate da singole nazioni. Un paradossale passo indietro, con la conseguente perdita di quello che è l’aspetto più rivoluzionario della rete: il fatto cioè di essere un ambiente globale, accessibile a tutti e senza confini che non siano quelli posti dalle lingue.
La questione è complessa e tutt’altro che scontata. Se da una parte è indubbio che il governo degli Stati Uniti controlla d’autorità l’attribuzione di nomi ed indirizzi di internet, e nel complesso i processi di strutturazione della rete (il cui sviluppo iniziale è stato finanziato proprio dal governo Americano), d’altra parte è vero che i paesi che criticano in maniera più violenta lo status lo fanno proprio in nome di un maggiore controllo statale. Nazioni come Iran, Pakistan e Cina sono preoccupate soprattutto di poter esercitare controllo e censura sui contenuti di Internet. E’ innegabile altresì che gli USA professino un approccio liberista ad internet basato in gran parte su calcoli di mercato, e quindi incentrato sulla necessità di mantenere il primato sulla E-economy.
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Ma è anche vero che allo stato attuale, rispetto all’attitudine totalitaria di molti stati che contestano il controllo Americano, esso è quello che sembra garantire meglio la sopravvivenza della filosofia libertaria che ha sempre animato i pionieri della rete e che ne ha fatto anche un territorio unico di sperimentazione sull’autorganizzazione orizzontale. In questo caso quindi le preoccupazioni americane per le istanze della libertà di parola non sono solo propaganda, anche se ancora una volta è nel nome della libertà che si prendono fin troppa libertà. La compartecipazione alla governance di internet è una necessità fondamentale, che deve essere tenuta al riparo il più possible dalla lotta per il predominio politico degli stati.
Ma purtroppo su questi temi il Forum di Tunisi ha visto lo scontro di posizioni irrigidite che non hanno portato a sostanziali svolte, e, come spesso avviene in questi casi, ha partorito nuovi piccoli forum. La creatura nata da questa esperienza si chiama IGF – Internet Governance Forum, che dovrebbe aver luogo nel prossimo semestre in Grecia, e che chiamerà rappresentanti di governi, industria, società civile e autonomie locali a immaginare una gestione maggiormente condivisa ma altrettanbto democratica di internet. Staremo a vedere.