Il comune denominatore dei lavori dell’artista inglese Mark Leckey è l’attenzione verso la cultura giovanile, in particolare quella legata alla musica dance e al clubbing Leckey attinge a piene mani dai frammenti che circondano la nostra quotidianità per farli suoi. Un campionamento della realtà.
Il video che lo ha fatto notare alla platea internazionale è stato Fiorucci made me hardcore, del 1999. E’ una sorta di documentario sulla club culture inglese, dagli anni ’70 fino alla scena rave dei primi anni ’90. Usando immagini di repertorio della tv britannica e musica prodotta da lui stesso, ha raccontato circa trent’anni di cultura dance inglese. La particolarità, e la bellezza del suo lavoro, sta nel fatto che il suo è uno sguardo dall’interno, da chi ha vissuto in prima persona l’esperienza. Non è un tentativo di spiegare il perché della nascita di questo fenomeno, ma più “semplicemente”, voler mostrare cosa è stato per lui. Leckey è riuscito a fondere l’euforia del ballo e della musica, con il senso di malinconia e nostalgia che ne deriva. Se da una parte “Fiorucci” risulta celebrativo, dall’altra fa anche emergere come vivere nel presente continuo del club sia una fuga dalla realtà quotidiana.
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We are (Untitled), l’opera successiva a “Fiorucci made me hardcore” ha quasi l’aspetto di un sequel. E’ sempre un video e mostra un gruppo di ragazzi che si ritrovano in casa dopo una notte passata in giro. Pieno di riferimenti alla cultura pop e alla moda, sembra che ne tracci, anche qua, una storia. I ragazzi si ritrovano per concludere la serata, ballare ancora un po’, bere l’ultima birra. Ma ormai è arrivata l’ora di tornare a casa, la notte si conclude così e il senso di nostalgia prende il sopravvento.
I suoi lavori successivi sono dei veri e propri soundsystem. Dubplate, uno di questi soundsystem, riproduce un dubplate appunto, sul quale sono incisi i rumori delle strade di Soho, Londra (dal rumore delle auto a brani di conversazioni) dove lo stesso Leckey vive, e campioni di musica anni 80. Il suondsystem inserito nel contesto della galleria d’arte diventa uno strumento molto potente che permette a Leckey di coinvolgere totalmente lo spettatore e farlo “immergere” nell’opera.
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La musica, ha quindi un ruolo fondamentale per Leckey. Un altro suo progetto, insieme a Ed Laliq e Bonnie Camplin, è infatti il collettivo DonAteller (il nome fa riferimento a Donatella Versace) con il quale produce musica. La loro musica è un “rimpasto” di brani di musica pop che si mescolano insieme per creare qualcosa di nuovo. Sono una vera e propria band che si esibisce dal vivo e, nel 2001, hanno realizzato il loro primo album, Radiohead.
Guardando le opere di Leckey sembra in conclusione che lo stesso artista si ponga come una sorta di osservatore della realtà che ci circonda, della contemporaneità. Un “flaneur” investito dalla cultura pop che non esita però a rimasticarla a suo piacimento. Le opere di Mark Leckey sembrano, in altre parole, muoversi su quella sottile linea che fa coincidere l’arte con la vita.