Dietro Irr. app. (ext.) si cela Matthew Waldron, statunitense, con un passato musicale di oltre un decennio, che inizia con la militanza nei Vacum Tree Head e prosegue con numerose collaborazioni fra cui gli islandesi Stilluppsteypa e Nurse With Wound. Nonostante la lunga storia alle spalle, soltanto due lavori escono ufficialmente: Dust Pincher Appliances (Crouton, 2003) e An Uncertain Animal, Ruptured; Tissue Expanding in Conversation (FIRE inc. 1997) mentre parecchi lavori finiti rimangono inediti o stampati in pochissime copie in cd-r.
Ozeanische Gefühle esce nel 2004 per Helen Scarsdale di San Francisco, etichetta molto attenta agli sviluppi di ambiti di ricerca radicali e teatro di riuscisitissime collaborazioni come il recentissimo Vikinga Brennivin nato dall’unione di Stilluppsteypa e Bj Nilsen, revisione dilatata dell’ottica isolazionista di fine anni 90. Ozeanische Gefühle si articola in due parti, di cui la prima sorpassa i quaranta minuti di durata e trae input iniziale da Freud e dagli studi di Wilheim Reich secondo cui ogni organismo vivente connesso con il mondo che lo circonda, espande energia dal centro verso l’esterno. E’ un ascolto atipico, un’ammaliante esperienza immersiva, della quale è improbabile riuscire a captare le infinite pieghe e punti di osservazione possibili.
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Ne abbiamo parlato direttamente con Matthew Waldron, cercando di far emergere le influenze personali e il suo particolare approccio alla materia sonora:
Simone Bertuzzi: La prima impressione che ho avuto ascoltando la prima parte di Ozeanische Gefühle è stata una particolare sensazione di ‘ampia distanza’, il suono è tanto immersivo quanto distante. Hai concepito questo album in termini di ‘relazioni spaziali’ con l’ascoltatore?
Matthew Waldron: L’album è stato concepito interamente sulla base delle mie impressioni personali. Quando assemblo una traccia audio (o visiva), non ho idea di quale tipologia di pubblico la fruirà o come esso potrà interpretare il lavoro finito, non costruisco mai secondo schemi mentali prestabiliti. Per “Ozeanische”, sono partito da field recordings (alcuni processati), ognuno dei quali comporta associazioni personali basate sulla location e le circostanze entro cui sono stati catturati: ho utilizzato questi elementi, soprattutto, per determinare la forma finale delle tracce. Dal momento che sono l’unica persona che ha avvertito queste particolari associazioni, l’effetto del lavoro avrà effetti diversi per chiunque altro. Ho provato a creare una sensazione di ‘ampiezza’ e di movimento fra differenti ambienti, ma la vera motivazione è stata accentuare e giustapporre queste impressioni personali in qualcosa che fosse prima di tutto interessante per me stesso.
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Simone Bertuzzi: Come utilizzi il field recording? Dove hai catturato i suoni principalmente?
Matthew Waldron: Utilizzo il field recording in tutti i modi possibili: a volte puro, altre leggermente alterato, e spesso in una forma completamente astratta. Le fonti sono estremamente varie. Registro nella mia abitazione, a casa di amici, nella foresta, in spazi ed edifici pubblici – ovunque trovi suoni interessanti. Porto sempre un registratore minidisc con me quando viaggio, e frequentemente anche quando esco.
Simone Bertuzzi: La tua pratica è connessa con le azioni e l’immaginario Surrealista, l’automatismo è parte della tua poetica, ma fino a che punto il tuo lavoro è da intendersi come risultato diretto di queste tecniche (mi riferisco ad esempio al gioco del ‘cadavere squisito’)? Sembra in qualche modo anche calcolato
Matthew Waldron: A proposito del Surrealismo, esso è da considerarsi solamente il ‘trampolino di lancio’ per il mio lavoro: mi è stato di grande aiuto quando ho iniziato a ragionare sulla mia produzione creativa, anche Kurt Schwitters e il suo Merzbau – e ancora maggiormente è stata (ed è) la sbalorditiva grandezza del lavoro di Steven Stapleton. Alcune tecniche Surrealiste mi sono tutt’ora utili (come ad esempio l’utilizzo di tecniche automatiche), ma non ho particolari alleanze a ‘scuole di pensiero’ – o comunque si voglia definirle. Il Cadavere Squisito che ho realizzato con OAC è stato solamente ironico, e non si riferiva a nessuno di quelli generati dal gruppo Surrealista (o ad altre versioni che visto).
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Simone Bertuzzi: Sono interessato alla tua attività performativa, o forse è meglio definirla happening. Sei coinvolto anche nelle arti visive, e le tue performance live sembrano connesse in qualche modo ai tuoi disegni e alle illustrazioni. Le tue ibridazioni animali, il mondo naturale/minerale è in continua trasformazione su se stesso. A parte il surrealismo, quali altre influenze hai avuto in questo senso?
Matthew Waldron: Come suggerisce la tua domanda, le mie influenze principali sono le forme e le texture dell’ambiente naturale. Il mio lavoro visivo si è mosso in questa direzione negli ultimi anni, e spero eventualmente di sviluppare il mio attuale approccio in qualcosa di ancor più interessante che si liberi (ma non del tutto) del mio bagaglio di influenze provenienti dalla storia dell’Arte (come Dada e Surrealismo). Le performance sono in uno stato più primitivo e attualmente mi sembrano imbarazzanti e un poco goffe. Tuttavia alcune idee e la volontà di convogliare materiale audio-visivo stanno affiorando al fine di rendere meglio fruibile l’evento per il pubblico. Ultimamente, vorrei veramente trovare il modo di creare un ambiente attorno alla performance all’interno del quale possa completamente immergermi – ma senza ricorrere ad una posizione egocentrica o essere troppo derivativo rispetto ad approcci alla performance già esistenti.
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