Ripensare il contesto urbano e gli spazi architettonici di una città ricca di storia e tradizione come Roma è impresa avventurosa e disseminata di trappole e pericoli. Soprattutto se questa spinta innovativa e visionaria prende corpo da un contesto, quella della musica elettronica e dei suoi derivati, spesso troppo chiuso in se stesso, auto referenziale e quasi infastidito da un possibile confronto con mondi altri come l’arte e l’architettura.
Sebbene con molte difficoltà e grazie all’aiuto di una giunta comunale e di un Assessorato alle politiche culturali sempre attenti alla valorizzazione, anche a livello internazionale, di Roma e dei suoi eventi culturali, il festival Dissonanze riesce a coniugare, soprattutto da questa quinta bellissima edizione, le sue pulsioni avanguardiste con quelle più pop, dance, club che ne costituiscono il Dna formante. Inutile negare, ma questo lo sa bene Giorgio Mortari, direttore artistico e tutti i professionisti che hanno lavorato al Dissonanze 05, che la location di questa quinta edizione del festival italiano di musica elettronica e arti digitali, sia stata la vera chiave di volta in grado di garantire un’identificazione collettiva del concetto di festival. Il Palazzo dei Congressi del maestro razionalista Adalberto Libera, gioiello architettonico incastonato tra i vuoti e le geometrie del quartiere Eur, si è rivelato, con le sue forme rigorose e imponenti, una venue ideale per una rassegna che fa dell’estetica digitale e del rapporto sinergico con le macchine il suo motore pulsante.
E sebbene l’arte digitale sia qualcosa di molto più complesso e articolato di ciò che la proposta artistica del Dissonanze 05 vuole far credere, rimane la sensazione, personale e collettiva, di aver contribuito alla realizzazione di un evento che, grazie alla professionalità della sua organizzazione, ai contributi economici di cui gode e alla attenta scelta curatoriale, si pone come il primo vero festival di musica elettronica e audiovisivi di livello internazionale assoluto.
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Dal 19 al 21 Maggio, tre giorni di performance, concerti, live media, dj set, vjing e conferenze hanno proposto al pubblico italiano alcune prime assolute e alcuni tra i migliori artisti che popolano il circuito dell’arte elettronica performativa. Muovendosi in modo fluido e organico attraverso i 3 spazi-contenitore del Palazzo dei Congressi (la magnificente sala centrale per dj set e concerti, l’Auditorium per i live cinema e la bellissima terrazza per performance audiovisive e djset minori), una massa informe e festante di giovani e meno giovani ha goduto di una varietà di proposte organica e mai banale, sebbene non sempre corroborata dal giusto spirito di ricerca di realtà poco note, ma attenta a valorizzare al contempo alcuni progetti italici di indubbio valore.
Se quindi nella prima giornata è stato possibile assaggiare l’anteprima italiana di Pranam, produzione audio-video commissionata da Dissonanze tra Matmos, Alter Ego e l’italiano Mauro Masotti in onore del centenario della nascita del maestro Giacinto Scelsi, è soprattutto nelle giornate di venerdì e sabato che Dissonanze 05 ha vissuto il suo momento topico. Il festival ha regalato momenti di profonda immersività tecno-emotiva grazie ai live di altissimi esponenti della spettacolarizzazione audiovisiva come gli austriaci Granular Synthesis, il giapponese Roiji Ikeda e il tedesco Thomas Koner. Soprattutto i Granular Synthesis (di cui Digicult ha parlato nella #Issue03 di Aprile) si sono rivelati una delle realtà artistiche più efficaci nel declinare efficacemente una nuova estetica immersiva per suoni e immagini, spesso violenta e difficilmente assimilabile, ma certo affascinante e rappresentativa, insieme ai lavori di Ikeda e Koner, di quella corrente artistica elettronica che strizza l’occhio all’arte contemporanea e ai suoi luoghi museali di fruizione.
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Altrettanto coinvolgenti si sono rivelate le performance audiovisive sulla terrazza del Palazzo dei Congressi, dal progetto RGB del maestro olandese Bas van Koolwijk, alla prima italiana del virtuoso Speedy J per arrivare alla performance per droni e laser di Edwin van der Heide, autentica esperienza multisensoriale giocata sul totale annullamento del rapporto performer spettatore e sulla spettacolarizzazione dell’esperienza immersiva in un gioco architettonico e trasmigrante di laser colorati e fumo.
E se la platea più desiderosa di sonorità e ambientazioni visuali da club ha potuto godere della generosa e coinvolgente performance dell’Otis Redding dell’elettronica Jamie Lidell, del live (un po’ stanco e statico per la verità) dell’icona ex Kraftwerk Karl Bartos, dei dj internazionali Tiga, Ritchie Hawtin e Ricardo Villalobos (tanto scostante e sporco il primo quanto fluidi e omogenei i secondi nel loro incidere alternato in back to back tra frame minimali e cadenze sinth), è nella lunga carrellata dei lavori audiovisivi degli inglesi Light Surgeon che il concetto di musica elettronica da club si fonde con un immaginario visivo fatto di narrazioni urbane, alienanti estetiche visuali e consapevolezza politico-sociale distribuita in chiave ludica a una massa di pubblico potenzialmente infinita.
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Per chiudere una citazione agli artisti italiani presenti: da Wang Inc. e Sauls a Xcoast, da Eclat alla DDg crew, da Claudio de Tommasi a Radiodd, Dissonanze 05 dimostra, per chi non lo sapesse, che anche nel nostro paese esistono e respirano progetti interessanti in chiave elettronica che aspettano solo una piattaforma in grado di valorizzarli a livello internazionale. All’estero lo fanno da anni, complimenti a Dissonanze.