In principio fu The Web Stalker: il primo browser capace di mettere radicalmente in discussione le regole della navigazione in Rete. Il software, messo a punto dal collettivo inglese I/O/D nel 1997, costringeva l’utente a guardare aldilà dell’interfaccia, ormai standardizzata, dei programmi di navigazione, mostrando i siti web nella loro nuda struttura: scarne mappe fatte di nodi e collegamenti. Da allora il browser è stato il software più manipolato, discusso, stravolto e modificato dagli artisti della programmazione.

L’esplorazione del web è stata spogliata del suo mero valore utilitario (la ricerca di informazioni) e trasformata in un’esperienza di volta in volta differente: creativa, visuale, poetica, straniante, snervante. Ed ecco allora browser che visualizzano solo testo, oppure solo immagini, oppure solo la struttura, ormai vuota e inservibile, di tabelle e frame. C’è persino chi ha mescolato le traiettorie, rendendo la navigazione attraverso i dati un’esperienza sociale. Pensiamo a Mark Napier, autore di diversi browser, che con Riot (2000) permetteva agli utenti di navigare collettivamente, visualizzando, come in un enorme collage, i risultati su un’unica schermata. O a Babel, di Simon Biggs (2001), un’interfaccia multiutente basata sul sistema di catalogazione più usato dalle biblioteche di tutto il mondo, il metodo Dewey (DDC), incentrato sulla suddivisione di tutto lo scibile umano in dieci classi. Con chiaro riferimento alla biblioteca borgesiana, l’artista americano ha creato un ambiente di navigazione tridimensionale, un’interfaccia dinamica che muta grazie all’interazione di ogni singolo navigatore.

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Riallacciandosi ancora una volta a una tradizione assai consolidata nel campo della new media art, quella della decostruzione, dell’uso imprevisto, dell’errore creativo, gli artisti hanno immaginato in questi anni innumerevoli esempi di “misuse” della rete (come l’ha brillantemente definito John Ippolito). Tra i browser no content, che restituiscono solo immagini, forme e colori, un posto d’eccezione se lo guadagna di sicuro l’ironico Boxplorer (2003) di Andy Deck, programma che a detta dell’autore “purifica il web”, trasformandolo in una bizzarra galleria di quadri digitali astratti in stile neoplastico. Liberando così il navigatore anche dal rischio di imbattersi in contenuti scadenti o pericolosi, come pubblicità, immagini violente o troppo esplicite. Simile ma forse più scanzonato, l’esperimento di Lew Baldwin, che con Good World (2002) cerca di rendere le pagine web più “allegre” ed ottimiste, inserendo colori vivaci ed emoticon sorridenti.

Sempre sul versante della sperimentazione visiva, vale la pena di dare un’occhiata al nuovo progetto di TextOne, Tree (2005), presentato all’ultima edizione di Transmediale. Il software, costruito con Proce55ing (famoso programma messo a punto da Ben Fry e Casey Reas), visualizza il sito web scelto come una vera e propria foresta. Sapevamo che ogni sito web ha un suo “albero”, (la struttura logica con la quale le informazioni ipertestuali vengono connesse), ma non immaginavamo potesse generare un bosco digitale così affascinante.

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The Web Stalker – http://bak.spc.org/iod/iod4.html

Riot – www.potatoland.com/riot/

Babel – www.babel.uk.net/

Boxplorer – http://artcontext.org/act/02/box/

Good World – http://goodworld.ws

Tree – www.texone.org/tree