Il mondo dei social network è vario ed esuberante. I fenomeni che prendono piede al loro interno possono produrre reazioni a catena massificate e confuse oppure creare connessioni più puntuali che, come nel caso di Co-de-iT, da “amicizia digitale” si trasformano in un legame solido, produttivo, che evolvendosi si arricchisce e struttura, consolidandosi con elementi analoghi fino a costituire un prezioso elemento locale in un firmamento globale.
Co-de-iT è un gruppo di ricerca indipendente sull’architettura digitale e scripting-based, ancorato all’Italia ma strettamente connesso con il resto del mondo. La loro attività è guidata da una missione: portare in Italia innovazioni che sinora sono state appannaggio di contesti internazionali più avanzati. La domanda di innovazione, come è emerso nell’intervista con Andrea Graziano, Alessio Erioli e Davide Del Giudice, c’è ed è palpabile. Un numero sempre crescente di studenti e professionisti si rivolge ai tre Co-de-IT, attratti dal loro ruolo seminale di hub per informazioni e progetti che fanno fatica ad affermarsi nel contesto italiano.
Il percorso di Co-de-iT, inziato in rete come appassionato scambio di informazioni sull’architettura e la fabbricazione digitale, si è strutturato in una serie di blog, per poi materializzarsi prima attraverso l’evento AAST (Advanced Architecure Settimo Tokio, conferenza, mostra e workshop sull’architertura digitale, tenuto a Torino nel 2009) e poi come rete di consulenza e didattica in un sistema in espansione continua. Il prossimo 1-3 Marzo, Co-de-It co-dirigerà, ad esempio, una serie di workshop e lecture dal titolo Intensive Aesthetics presso la Biodigital Architecture & Design Conference di Barcellona
Co-de-iT è un sistema che nasce nella complessità della rete, diviene sempre piu adattivo e resistente, generarando possibilità che, nelle loro stesse parole, eccederanno alle proprietà iniziali che l’hanno prodotto.
Sabina Barcucci: Co-de-iT si racconta: come nasce e si alimenta, come opera e si inquadra nel panorama della ricerca sul tema dell’advanced design e come ha origine la sua vasta network.
Andrea Graziano: Nel gennaio 2010 nasce il gruppo di ricerca indipendente Co-de-iT. La sua storia, strutturata da “amicizie digitali” nate sul web, mostra quanto la rete sia il nostro naturale terreno di gioco, inesauribile risorsa per i nostri interessi e per il nostro lavoro di ricerca e territorio di scambio in cui quotidianamente ci immergiamo, partecipiamo ed a cui cerchiamo di contribuire attivamente. Ognuno dei membri di Co-de-iT ha un approccio diverso e personale verso la rete ed all’uso della stessa ma ciò che ci accomuna è un condiviso approccio multidisciplinare.
Molto di ciò che sta avvenendo ultimamente nel campo del computational design e della ricerca architettonica ha radici profonde in altri campi e l’enorme mole di ricerca e sperimentazioni che ogni giorno si palesa attraverso la rete fa della multidisciplinarità e della contaminazione fra diverse aree del sapere e del saper-fare il suo punto di forza.
In generale penso che Co-de-iT possa essere descritto come un hub, tramite il quale cerchiamo di aggregare, connettere e indirizzare risorse, informazioni e competenze (quindi persone) a seconda delle opportunità e delle esigenze che si presentano. Per quanto riguarda il nostro modo di operare cerchiamo, per quanto possibile, di impegnarci su più fronti. Sicuramente uno dei principali è quello della divulgazione di informazioni. Ognuno di noi gestisce, sia tramite il sito ufficiale che tramite i vari blog personali, i social network Facebook e Twitter ed i forum a cui partecipiamo, una consistente (a volte sovrabbondante) mole di informazioni.
Crediamo fortemente che per rendere maggiormente comprensibile ciò che stiamo facendo e per dare valore alle tematiche che stiamo trattando sia necessario, per non dire strategico, fornirne anche gli strumenti per comprenderne la cultura, la teoria e i processi che ne soggiaciono. Per questo reputiamo che il fatto di reperire e rendere facilmente accessibili tramite i nostri canali tali informazioni sia uno degli strumenti più efficaci che abbiamo a disposizione per cambiare (nel nostro piccolo) la realtà delle cose.
Un altro fronte su cui ultimamente siamo molto attivi è quello dell’educazione attraverso l’organizzazione di numerosi workshop sia dedicati all’uso di strumenti e tecniche per il generative design che introduttivi all’uso di macchinari per la digital fabrication. Cerchiamo anche in questo caso di dare molto valore al contesto culturale attinente trasmettendo non solo mere nozioni tecniche ma anche parte del patrimonio di risorse che vi gravitano attorno e di cui siamo parte e testimoni.
Ovviamente essendo Co-de-iT un team di ricerca il grosso degli sforzi è dedicato alla sperimentazione stessa ma ciò che mi preme sottolineare è che il nostro interesse non è solamente focalizzato sulle tematiche del design o della produzione e progettazione architettonica quanto piuttosto sia attento a uno spettro più ampio di fenomeni. Le nostre energie sono rivolte anche a sperimentare nuovi modelli di comunicazione ed educazione, di gestione delle informazioni, di data visualization, di produzione. Insomma cerchiamo di fare della contaminazione e della varietà di interessi uno degli strumenti più validi per condurre le nostre ricerche.
Sabina Barcucci: Esiste un dibattito di anno in anno crescente rispetto agli ambienti reattivi e alla necessità di studiare architetture e spazi che rispondano agli stimoli esterni, dagli agenti atmosferici a – estremizzando – le inflessioni del mercato. Questo ambito di ricerca presenta un range di applicabilità molto ampio. Quali sono le vostre esperienze in materia e quali i valori più importanti che la ricerca sui responsive environment può perseguire rispetto alle migliore che una tecnologia così avanzata può restituire? In parole povere, siamo già pronti per questo tipo di futuro?
Alessio Erioli: l mondo in cui viviamo, ci muoviamo ed operiamo è un sistema adattativo complesso, ovvero un sistema che ridefinisce continuamente i propri confini e i propri limiti: i concetti stessi di soggetto e ambiente sono relativi (la distinzione stessa appartiene ad una logica ormai obsoleta) e i confini che li separano sono fortemente sfumati.
L’architettura, nel suo aspetto di artefatto prodotto da una specie che vive collettivamente, ha da sempre il ruolo di mediatore tra sistemi materiali, pressioni fisico-ambientali, forze culturali, economiche, politiche, sociali. Il punto è che i tempi di adattamento ai cambiamenti, che in passato avevano ordini di grandezza differenti tra opere architettoniche e cicli di vita dell’uomo, si sono man mano sempre più avvicinati fino a rivelare il cambiamento come condizione percepibile e che necessita di risposte e adattamenti altrettanto rapidi.
Organismi e ambienti sono in perpetua comunicazione, esiste un continuo scambio di informazioni (sotto forma di linguaggio, materia, energia) del quale siamo in grado di avvertire solo una minima parte, per nostro limite che è anche necessità operativa (esiste un limite alla quantità di informazioni che siamo in grado di gestire – limite che si ricombina in continuazione ma che è sempre percepibile). La tecnologia è uno solo degli aspetti che influenzano l’evoluzione e la ricerca delle nuove soluzioni e spesso viene confusa con i suoi prodotti.
Troviamo molto interessante a questo proposito la visione che ne dà Kevin Kelly: non un cumulo di cavi e metallo ma un vero e proprio organismo dotato di necessità e tendenze che vive in simbiosi con noi, influenza la nostra esistenza e del quale al momento noi siamo gli organi riproduttivi.
Spesso si individua come tecnologia solo ciò che è ben visibile e distinguibile (e vagamente alieno), in molti casi come qualcosa di contrapposto al “naturale”, mentre – ad esempio – si dà per scontata la ormai irreversibile influenza che una tecnologia come il web ha sul nostro modo di pensare ed agire (ma anche qualcosa di più semplice come una calcolatrice; in generale ogni tecnologia alla quale deleghiamo funzioni per permetterci di impegnare le nostre energie su altro).
Uno degli obiettivi che ci poniamo a livello di ecologia del design (che si tratti di ricerca, insegnamento o progetto) è incorporare ed estendere lo studio di sistemi (con un range di scale differenti in dipendenza dalla complessità ed estensione del sistema) che gestiscano questi scambi di informazioni incorporando una complessità crescente in modo da aumentare la resilienza. Con questo termine si indica la capacità di un sistema di assorbire traumi causati da cambiamenti violenti adattandosi o autoriparandosi.
Esistono proprietà e strategie che si possono riscontrare negli ecosistemi e che ne aumentano la resilienza, quali ad esempio eterogeneità, alto numero di parti costituenti, ridondanza e continua comunicazione tra elementi del sistema (per citare le più interessanti). Riteniamo possibile esplorare queste strategie in architettura (nel prodotto, nel processo formativo e anche nel nostro work-flow) per un migliore adattamento o risposta efficiente, tendendo ad un metabolismo delle informazioni, un metabolismo digitale.
Da un certo punto di vista, se ci aggrappiamo alla sola previsione degli effetti, non saremo mai pronti per il futuro, ma possiamo renderci più adattabili al cambiamento.
Sabina Barcucci: In tutte le aree del design, la ricerca si realizza nella forma della sperimentazione e della condivisione delle tecnologie, in modo da integrare le conoscenze del design ai concetti contemporanei. Gyorgy Kepes, fondatore del Centre for Advanced Visual Studies (CAVS) al MIT, dedicò la struttra alla collaborazione creativa tra artisti e scienziati. Attualmente possiamo cogliere in fenomeni come la diffusione della digital fabrication i frutti di fortunati connubi e in generale degli incroci disciplinari; approcci sempre più necessari per poter “inventare” e rispondere alla complessità dentro cui viviamo in maniera sempre più cosciente.
Grazie alla digital fabrication applicata all’architettura, le potenzialità dell’arte sono parte strutturale della solidità e della performance scientifico-tecnologica. Parliamo di questo connubio arte-scienza nell’esperienza di cad-cam legata a Co-de-iT.
Alessio Erioli: Protrude, Flow e Morpho Towers sono due installazioni di Sachiko Kodama e Minako Takeno che utilizzano il ferrofluido e campi magnetici per produrre formazioni dinamiche di grande impatto emotivo. Esistono anche artisti che lavorano interamente su codici digitali (Jared Tarbell, Casey Reas e molti altri). E’ mai realmente esistita una distinzione netta tra due campi così complessi come arte e scienza?
A nostro parere i termini che le definiscono indicano punti di riferimento in un campo di turbolenze più che classificazioni rigide ed esclusive: ogni forma d’arte ha prosperato su innovazioni scientifico-tecnologiche (spesso dando loro scopo e funzione) così come ogni tecnologia produce la propria estetica (la quale altera, ibrida o sostituisce quelle esistenti), per non parlare dell’importanza dell’approccio creativo nelle scienze e del rigore disciplinare nella ricerca artistica.
Il territorio di intermediazione è quello più fertile e pregno di patterns (intesi genericamente come sequenze nello spazio tempo, ovvero forme riconoscibili di ordine, dalle più basilari a quelle di grande sofisticazione) di interazione che sono percorsi e direzioni di esplorazione feconda.
Più che partire da categorie distinte tra le quali ricercare eventuali punti di contatto (metodo che appartiene ad un paradigma ormai obsoleto) preferiamo quindi definirci pattern seekers: cerchiamo di estendere le declinazioni possibili dei processi che esploriamo senza preoccuparci inizialmente della loro eventuale classificazione o ricaduta disciplinare, quanto piuttosto valutarne le potenzialità e performances via via che il processo e la ricerca si dipanano. Il “segreto” del MIT è una mentalità in cui i vincoli servono ad indicare sentieri esplorativi in cui, come regole di un gioco che danno origine a schemi e strategie, il background formativo dei singoli è visto come un bacino di specificità la cui diversità è il motore della ricchezza delle soluzioni.
Nei nostri esperimenti e lavori di fabrication l’obiettivo non è solamente uno specifico oggetto quanto l’esplorazione e il reperimento di strumenti di mediazione che dischiudano o abilitino possibilità di interazione complessa; tornando come riferimento al “territorio di intermediazione”, ci interessa esplorare i “paesaggi di sviluppo” (l’espressione è di Sanford Kwinter con riferimento al codice) che gli strumenti generano.
L’occasione unica che stiamo vivendo dal punto di vista specifico della fabbricazione, è la progressiva democratizzazione delle tecnologie e della rapida diffusione e condivisione di strategie, metodi, progetti. Semplicemente, è uno straordinario strumento creativo sempre più alla portata di tutti e tutti ne fanno uso, chi inquadrandola in specifici canali disciplinari e chi esplorando liberamente un terreno che deve ancora sfruttare molte delle sue potenzialità.
Sabina Barcucci- La “Conoscenza” in senso lato ha preso una forma diversa. Grandi sistemi gnoseologici dai più tradizionali ai più sperimentali sono distribuiti liberamente in rete sotto diverse forme e con differenti livelli di fruibilità. La libertà di accesso unita alla combinabilità interattiva, crea un qualcosa di simile alla knowledge mass-customization orientatae generata da un collaborative thinking che spesso ha origine proprio nei social network. Prendendo a prestito un concetto di Zigmut Bauman, sembra come se anche il pilastro della conoscenza si stia liquefacendo per spalmarsi ovunque e fare posto a nuove forme cognitive, di apprendimento e di didattica. Parliamo di questo.
Alessio Erioli: Anzitutto pensiamo che la conoscenza, in quanto non solo prodotto ma soprattutto processo intrinsecamente connesso con quelli vitali, si crei continuamente, e non solo nelle sedi istituzionalmente concepite allo scopo di trasmetterla e, contemporaneamente, i mezzi attraverso cui la creiamo o trasmettiamo interagiscono con il nostro modo di concepire i modelli stessi che la producono.
Certamente è vero che stanno nascendo e sviluppandosi forme di conoscenza alternative alla formazione istituzionalizzata e che, per la loro snellezza, sono competitors agguerriti nella lotta alle risorse per la propria sopravvivenza. Non condividiamo però il tono pessimistico di Bauman nè la semplificazione della metafora della liquidità per descrivere la società. Quanto detto nella risposta precedente circa la diffusione della digital fabrication implica che ogni individuo è potenzialmente non solo consumatore o produttore ma anche creatore delle proprie risorse.
In questo senso, non sappiamo se la liquefazione sia un concetto adatto ad esprimere quanto sta succedendo alla conoscenza, in quanto lo spalmarsi implica, in ultima analisi, una distribuzione omogenea e sostanzialmente inerte; ci pare più pertinente raccontare il fenomeno come una forma di distribuzione differenziata della conoscenza che utilizza il modello del network (con nodi che differiscono per qualità, importanza gerarchica e funzione) e dell’ecosistema di informazioni, in cui il brulicare dello scambio continuo crea patterns di implicazioni inattese ed emergenti, oltre a favorire l’interscambio e la comunicazione continui.
Come accennato poco fa, la comunicazione continua è uno degli aspetti fondamentali per la resilienza di un sistema anche se i sistemi più connessi sono anche i più sensibili alle perturbazioni e quindi maggiormente soggetti a risposte violente – ed eventualmente rapidi collassi. Sarebbe grave però cadere nella tentazione del ragionamento sostitutivo: il fatto che la conoscenza sia in rete non esclude o nega a priori un ruolo importante a scuole e università; se fosse solo per questo, le università potrebbero già chiudere i battenti dato che on-line esiste materiale per costruirsi un PhD senza passare attraverso il loro filtro.
E’ indubbio che in forza di una nuova modalità di distribuzione e trasmissione della conoscenza cambia completamente la scala di valori e il tipo di qualità con le quali queste vengono classificate. Ad esempio, poiché internet è una copy-machine, ogni cosa che possa essere riprodotta su internet assume un valore tendente allo zero: unicità, originalità, capacità di improvvisazione assumono quindi un nuovo valore, riconfigurandosi per integrare le qualità che i nuovi mezzi possono dare.
Escludendo facoltà come sociologia, che studiano a livello fenomenologico le espressioni di massa legate ai media, quante sono al momento le istituzioni che danno istruzione che si occupano attivamente di riconoscere il ruolo dei social network nella gestione delle informazioni e della loro influenza sulla conoscenza? A nostro avviso saper organizzare la conoscenza è importante tanto quanto i suoi contenuti.
Circa il collaborative thinking e riguardo ai tentativi di controllo etico dei sistemi di interazione è bene ricordare una legge fondamentale che vale sia nella genetica che nella memetica: la sopravvivenza è di chi è in grado di riprodursi, e cioè creare copie feconde di sé, più facilmente. In altre parole, se un organismo, una tecnologia o un’idea è in grado di riprodursi più facilmente lo farà, indipendentemente dalle conseguenze.
Considerando anche le caratteristiche delle proprietà emergenti dei sistemi complessi, qualunque azione, a qualunque scala, genera, in definitiva, effetti che eccedono le proprietà iniziali del sistema che l’ha prodotta.
Sabina Barcucci: Riguardo al contesto più locale in cui si muove Co-de-iT, qual’è l’atteggiamento nei confronti della diffusione di pratiche didattiche innovative all’interno degli atenei italiani?
Andrea Graziano: ll contesto accademico italiano rispecchia ovviamente il contesto culturale del paese, sia nel bene che nel male, con tutte le sue contraddizioni e peculiarità. In generale credo si possa dire che soffriamo di un certo isolamento, anche culturale, rispetto al contesto accademico internazionale. Per quanto concerne poi le tematiche del computational design, advanced architecture e digital fabrication, difficilmente sono affrontate all’interno di corsi specifici nei vari atenei se non in casi sporadici dove le nuove e precarie leve dell’insegnamento tentano di apportare contributi autonomamente.
Ovviamente tali considerazioni devono tener conto dello stato della ricerca e delle università in Italia, dove l’endemica mancanza di fondi influisce pesantemente sulle opportunità di sviluppo anche all’interno dell’accademia. A maggior ragione riteniamo ancor più grave il fatto che poco si stia puntando, sia a livello politico che in generale, sulla ricerca e sull’educazione come risorse fondamentali per affrontare il periodo di crisi attuale ed i rapidi cambiamenti che facilmente vedremo affacciarsi nell’immediato futuro.
Siamo comunque dell’idea che il confronto sarà, o meglio, è già inevitabile, sia esso attinente alle tematiche prettamente architettoniche che a livello culturale in generale e questo prolungato e caparbio isolamento non fa che acuire un divario che ogni giorno diventa sempre più palese, pressante e scomodo. Sintomo evidente di tutto ciò è il massiccio e manifesto interessamento da parte di studenti ai flussi di informazioni, workshop e lavori promossi da noi e dalla network in generale e alle continue e gradite richieste che ci vengono inoltrate per quanto concerne riferimenti bibliografici, link o percorsi accademici dedicati quali master o dottorati.
Dietro questa “fame”, che definiremmo più di adeguatezza che di novità, da parte degli studenti si cela l’evidente spaesamento a cui sono sottoposti vivendo la contraddizione tra ciò che la cultura della rete mostra e svela quotidianamente e ciò che l’accademia ostinatamente propina loro.
Questo divario crescente è anche foriero di enormi potenzialità in quanto sicuramente le energie represse, la curiosità e la voglia di emergere saranno la base per inedite e quantomai peculiari esplorazioni, ricerche e soluzioni. Mai come ora crediamo che il momento di crisi che stiamo attraversando metterà in luce le migliori persone, risorse, strategie e strumenti per uscirne.