Questo saggio si propone di indagare il concetto di spazio interstiziale e l’interpretazione creativa che ne hanno dato pratiche artistiche site-specific basate su tecnologie digitali. Questa è l’ultima parte del saggio.
Oltrepassando i confini
Lo schermo del computer mostra un’interfaccia falsamente unificante. L’interfaccia nasconde il paradosso algoritmico che mina la regolare funzione di tale dispositivo multimediale. Il paradosso deriva dalla relazione ambigua tra la griglia operativa, in cui le informazioni vengono memorizzate ed elaborate, e la griglia metaforica visiva che può essere descritta come la visualizzazione digitale dei wireframe di superfici e oggetti, altri modelling element (elementi di modelling) e persino la loro triangolazione.
Sebbene tali “griglie” siano concepite per avere una funzione regolarizzante, esse sono incidentali e instabili in quanto multiple e multidimensionali. Un “wireframe” può essere percepito, più o meno, come una sorta di ”schizzo preliminare”. Questo stadio precede il raggiungimento del modello digitale in 3D. Ad un livello molto basilare di creazione di un modello 3D, un wireframe è la rappresentazione poligonale (mesh) delle “primitive di default” tridimensionali usate per creare il modello digitale 3D.
Si tratta di forme geometriche di base come cubi, sfere, ecc. Di solito le primitive e i loro elementi geometrici (punti, bordi, ecc) possono essere visibili e manipolati quando utilizziamo la “modalità wire”, prima di creare una scena resa o un’animazione (key-framed, endogenic high-end, interattiva, ecc.).
Questa scena, un’immagine bidimensionale, è lo stadio finale della creazione di un modello digitale 3D, in cui al modello vengono aggiunti gli elementi della trama e “dell’ambiente”. Come discusso nella prima parte di questo saggio, le somme di tutti quegli stadi e le loro traduzioni non sono affatto semplici e ineccepibili. [1] E’ possibile sviluppare nuove modalità di creazione non rappresentativa e di interattività tramite l’esplorazione del loro paradosso algoritmico.
Sebbene non direttamente collegata alla tecnologia digitale, la descrizione del progresso di Piet Mondrian fatta da Rosalind Krauss – uno degli esempi più rappresentativi della transizione modernista nella pittura – contribuisce a delucidare il ruolo della griglia matematica nella percezione dell’astratto; una specie di predecessore della matrice operativa di sistemi digitali.
L’evoluzione di Piet Mondrian da Molo e Oceano (Composizione n°10) a Composizione con Linee Grigie è un esempio particolarmente caratteristico di tale transizione. Nel primo disegno, gli elementi “plus” e “minus” sono astratti e rappresentano l’interlocation dinamica di elementi fisici. Composizione con linee grigie rappresenta una superficie piatta e non un disegno. Sebbene Mondrian non abbia utilizzato macchine per creare questa opera, la regolarità rigida e immacolata della griglia viene percepita come meccanica.
L’evoluzione di Mondrian rappresenta il passaggio dalla griglia che viene utilizzata, ad esempio, come punto di partenza “neutrale”, un grafico su cui viene creata l’illusione pittorica della prospettiva Rinascimentale, al predominio della griglia in quanto dominio autosufficiente, piatto e quindi totalmente controllabile. Seguendo la descrizione dell’evoluzione di Mondrian fatta dalla Krauss, la “… regolarità dell’ordine aritmetico” viene ora restituita attraverso la “re-invenzione della terra come figura…”.
Come descrive la Krauss: “La dispersione e i vuoti del campo naturale sarebbero infine colmati dall’ininterrotta regolarità dell’ordine aritmetico. Ora per la prima volta lui (Mondrian) incontrerebbe la visione come un qualcosa di totalmente astratto. E la griglia riuscirebbe a disegnare la continuità di questo spazio come l’acqua evaporata da un lago secco. Lasciando indietro solo i segni dell’infrastruttura del campo, cancellando e oltrepassando la sua superficie come molte riaffermazioni dei suoi dati geometrici.” [2]
La griglia è rappresentativa della razionalità del ventesimo secolo caratterizzata da immenso ottimismo e dalla dipendenza dall’information technology. La griglia matematica e la matrice computazionale dell’information technology possono essere percepiti come sistemi chiusi con un alto livello di astrazione. Operano come “veli” che nascondono i limiti e le incongruenze della conoscenza e delle sue applicazioni. L’infrastruttura algoritmica del computer, che consiste in livelli vari ed eterogenei, ad esempio binari, aritmetici, geometrici, ecc… è tutt’altro che totalmente controllabile, neutrale, semplice, regolare e saldo.
Passando ad una macro-scala ambientale (rispetto alla micro-scala delle infrastrutture algoritmiche dei sistemi di visualizzazione digitale), la relazione tra l’architettura costruita e lo spazio non è affatto semplice e stabile, in quanto lo spazio è stratificato e in evoluzione e contiene vari “flussi” informativi e di altro tipo. L’ingannevole interfaccia digitale può non solo essere “aperta” ma può anche essere messa alla prova in maniera creativa attraverso una specie di “spostamento” spaziale delle sue componenti visive, per rivelare il paradosso algoritmico.
Per rendere possibile tale sconvolgente “spostamento” possono essere sviluppate nuove modalità di disegni site-specific. L’enfasi è posta sul modo in cui gli spazi interstiziali, in termini di codice e matematica, possono essere rivelati in uno spazio fisico, dove i livelli di percezione possono essere superati. Invece di creare una singolarità, come tradurre un disegno digitale in una costruzione o creare progressioni e sequenze come nell’animazione, l’obiettivo è quello di creare dei passaggi intermedi tra gli strati interattivi multidimensionali ed eterogenei dello spazio architettonico. In questo modo, sbrogliando ciò che è osservabile, emergerebbero cose impercettibili ed intermedie.
Il disegno così come il diagramming (creazione di schemi) è un thinking-in-progress interdisciplinare i cui prodotti intermedi sono le proprie manifestazioni visive. Il potenziale di questa tipologia di arte può essere espanso attraverso l’uso di uno strumento interattivo come il computer, con il quale può essere stimolata una modalità lineare di creazione e una spectatorship (spettatorialità) basata sull’oggetto.
In questo caso, non dipenderemo né dalla presunta coerenza e stabilità dell’infrastruttura del computer, né dall’utilizzo tradizionale del diagramming sia come uno stadio preliminare di una produzione lineare sia nell’architettura convenzionale. Il disegno così come il diagramming spaziale non può realizzarsi attraverso la creazione di una nuova singolarità illusionistica o materiale come ad esempio un luogo, un oggetto, un’immagine, un intervento di costruzione esterno o interno o persino la proiezione di una sequenza trasformativa come un’animazione.
Entrando nell’opera d’arte site-specific intesa, gli osservatori non si troverebbero di fronte né un luogo fine a se stesso, né uno spazio assoluto o utopistico, ma una specie di passaggio intermedio e meta dimensionale tra condizioni reali e pensiero, in cui emerge una tipologia di esperienza spaziale senza precedenti.
Gli spazi interstiziali possono essere rivelati in modo creativo attraverso l’uso di mezzi materiali/immateriali come luce e linee e anche attraverso l’uso di processi di disegno e di diagramming. In particolare, tra gli interventi spaziali innovativi possiamo trovare a) disegno site specific su e nel sito reale e b) diagramming spaziale interattivo come realizzato in un ambiente virtuale site-specific semi immersivo.
Superficie digitale unreposing
Unreposition è un’opera d’arte site-specific che è stata ispirata da un diagramma digitale 3D la cui creazione si è basata sugli schizzi osservativi di uno spazio [3] costruito preesistente. Al posto di un oggetto prodotto, di una costruzione o di uno spazio puramente illusorio come in una proiezione cinematografica, Unreposition può essere percepito come un’attività interpretativa in corso.
Questa opera d’arte è un tentativo di interpretare in maniera creativa la configurazione spaziale virtuale di “unreposition” attraverso una nuova modalità di disegno site-specific. “unreposition” è una delle configurazioni di default (automatica e irriducibile) dello spazio digitale. Il termine “un- repose” significa consolidare tutti gli elementi spaziali insieme in un punto particolare che, nel software, è chiamato il “centro dello spazio (digitale)”. Le metafore e le astrazioni delle azioni virtuali come questa, vengono mostrate attraverso questa opera d’arte site-specific realizzata in uno spazio costruito preesistente.
Quando gli osservatori entrano in Unreposition, entrano in un diagramma in cui, come afferma Tschumi: “… la sovrapposizione di strutture coerenti (virtuali e reali)… (risulta) in qualcosa di non decidibile, qualcosa di opposto alla totalità.”[4]
Anche se la configurazione virtuale di Unreposition è basata sulle caratteristiche reali del suo referente, è un risultato realisticamente improbabile. Potrebbe esserci un tale “centro”? Se esistesse, potrebbe essere definito come un rettangolo rosso bloccato in un particolare punto su quel pavimento? Il “centro” è automaticamente definito dall’applicazione software e geometricamente descritti come il punto (0,0,0), cioè il punto intermedio di tutti gli assi cartesiani dello spazio matematico di VR, in cui questi assi si intersecano tra loro. L’asse delle Y di tutti i solidi digitali che sono stati usati per modellare i supporti verticali dello spazio particolare costruito, coincide pienamente con il “centro”.
Ciò che viene arbitrariamente definita come “modalità di visualizzazione dello spazio”, viene rivelato implicitamente in quest’opera d’arte site-specific. Lo “space viewing mode”, consente la visualizzazione di un “oggetto” digitale, simulando un “ambiente Cartesiano” apparentemente tridimensionale, dove operano una serie di coordinate fisse assolute determinate arbitrariamente x, y e z.
Contrariamente ad un semplice “ambiente”, in Unreposition, gli spettatori si ritrovano a camminare in una vera e propria stanza rettangolare per una reale esperienza empirica. Come un intervento sullo spazio, Unreposition opera tra la fisicità e la località di spazi costruiti ed osservazioni generali e inconsistenze immateriali della sua presentazione digitale.
Mentre osservando Unreposition il movimento degli spettatori viene indirettamente influenzato dal pavimento visivamente spostato (area grigia) e da linee fisse. Questi elementi indicano visivamente l’intersezione virtuale tra piani virtuali, pavimento reale e pareti di questo particolare spazio costruito.
La più paradossale fusione tra spazio virtuale e reale è evidente, guardando l’ombra dipinta sul pavimento con vernici acriliche nere lavabili. Quest’ombra è “lontana” dalle pareti anteriori e posteriori virtualmente consolidate della stanza, posizionate sull’asse X1, e ricade sul pavimento reale e su una delle pareti dello spazio costruito. Nello stesso tempo, quest’ombra virtuale, si collega con l’angolo reale di luce che penetra dalle finestre della stanza. In Unreposition, lo spazio virtuale non predomina sullo spazio costruito e viceversa.
Gli spettatori sono consapevoli della scala di piani virtuali e solidi invisibili, in rapporto ai loro corpi e i ai confini reali della stanza. E’ opportuno svolgere una lettura fenomenologica non solo quando un osservatore s’imbatte nell’incontestabile presenza di un oggetto ma anche quando s’imbatte in un luogo. La relazione fenomenologica tra spettatore e luogo si può solitamente instaurare quando è presente un rapporto figura/suolo o similmente edificio/suolo.
Inoltre, secondo Miwon Kwon, la fenomenologia coinvolge un “intrecciarsi chiasmatico di spazi e corpi” [5]. Quest’intreccio si può raggiungere occupando un luogo, anzichè vivere l’esperienza distaccata di osservare un edificio da semplici spettatori esterni. E’ davvero stimolante sperimentare la fenomenologia in rapporto alla “sito-specificità” nell’ambito dell’arte. Come afferma Nick Kaye: “La site-specificity nasce… nelle incertezze oltre i confini e i limiti dell’opera e del “site”…L’opera d’arte site-specific… opera in previsione o in ricordo del posto in cui si realizza” [6]
Possiamo sostenere che l’ Unreposition opera in un tipo di fenomenologia interstiziale. Unreposition non è un oggetto o un’immagine che si può “semplicemente guardare”. Può essere “occupata” ma non può essere capita a prima vista, gli spettatori devono “leggerla” lentamente. L’ Unreposition è site-specific. La sua lettura implica un’esperienza dei segni di una presenza spaziale implicata come emerge nell’ambito dell’architettura costruita.
In Unreposition, il diagramming spaziale emerge all’interno di una sorta di spazio interstiziale inquietante che deriva dall’esperienza di due realtà che si respingono reciprocamente. La virtuale configurazione spaziale della stanza è direttamente sovrapposta al suo referente effettivo. La lettura di quest’opera d’arte non è né immediata né esclusivamente visiva.
E’ possibile capire l’opera gradualmente attraverso l’esplorazione dei vari rapporti spaziali e dei vari paradossi. Unreposition è nato da un impegno creativo con le relazioni inconsistenti tra causa ed effetto che derivano in primo luogo da un “punto di partenza” multiplo non neutrale del processo di diagramming digitale. La sovrapposizioni di “realtà” rivela la casualità inconsistente che caratterizza le metafore e le astrazioni nel diagramming digitale, tramite le quali, vengono generate varie trasformazioni e interpretazioni.
Spazi di intersezione
Space Intersection è un intervento spaziale basato su una tecnica di disegno site-specific simile a quella sviluppata in Unreposition. Questo disegno in situ delle dimensioni della stanza presenta uno spostamento spaziale indefinito e realisticamente impossibile, cioè, l’intersezione tra i confini di uno spazio interno e il vuoto che contengono, spesso ignorato.
In questo modo, Space Intersection rivela le tensioni esistenti tra i diversi ordini geometrici e topologici dello spazio in modo più espansivo e meno sensibile rispetto a Unreposition.
Invece vedendo Space Intersection, le regole di percezione e l’architettura creata sono visivamente delle intruse. Si ritiene che le operazioni booleane non siano ambigue e che siano lo strumento ideale per analizzare non solo le relazioni tra le componenti binarie ben definite, ma anche le relazioni materiali.
Tuttavia, la sovrapposizione del diagramma booleano risultante sul suo referente reale (sito costruito) rivela inaspettatamente una condizione non definita. In Space Intersection, lo spazio interstiziale dell’intersezione tra i confini spaziali costruiti e il vuoto che si sposta in modo orizzontale, è evidenziato da contorni neri, che sfidano l’astrazione booleana.
Il modo di tracciare un esempio particolare di intersezione incompleta, rivela come il volume vuoto attraversi determinate aree dei confini spaziali costruito, come le linee del vuoto che si sposta appaiano in quei confini, la complessità delle diagonali che segnano la triangolazione dei volumi che si intersecano, e la pittura acrilica la ricopre evidenziando implicitamente la presenza e la scala del volume vuoto. In questo modo, vengono sfidati il primato, il contenimento e le limitazioni dei confini costruiti in relazione allo spazio vuoto contenuto.
I passaggi dallo spazio Cartesiano a quello reale vengono rivisti in modo creativo attraverso questa tecnica di disegno site-specific. I piani dello spazio, in un certo senso, “si staccano”, in modo da poter intravedere un “esempio” interstiziale di tensione, complessità e precarietà impreviste. Agli spettatori viene offerta l’esperienza alienante e destabilizzante del vedere ciò che di solito non notiamo, come “l’ indomito” volume vuoto dello spazio che è contenuto nell’architettura creata.
Passaggi intermedi verso l’interspazialità
La Virtual Reality (VR) offre l’opportunità di creare ed esperire in maniera interattiva spazi di potenziale non realizzato che talvolta sembrano spacciarsi per una vicina probabilità. Comunque, soprattutto l’uso di ambienti virtuali semi immersivi si apre alla possibilità di rivelare e/o “attivare” impercettibilmente diversi tipi di spazi intermedi tra diversi livelli di realtà. Come abbiamo visto nella cosmologia di Platone, la nascita dello spazio e del luogo implica intrinsecamente una matrice matematica, con l’aiuto della quale, diversi elementi sono “legati” gli uni agli altri attraverso l’utilizzo di analogie matematiche, cosicché, le “definizioni intermedie” siano connesse tra loro.
Una possibilità impegnativa sarebbe quella di indagare criticamente e “snodare” le qualità dei “legami” matematici, in modo da rivelare visivamente i loro difetti e l’instabilità della rete operativa della tecnologia digitale. I tipi di spazi interstiziali emergenti sfidano l’architettura creata – non solo per quanto riguarda il far esperienza dello spazio come prodotto finito, ma anche, dei processi di rilevamento e progettazione – la VR e la loro relazione.
Il disegno site- specific e il diagramma spaziale acquistano una nuova dimensione e un nuovo significato. Al posto dell’utilizzo convenzionale della tecnologia digitale per esempio la creazione di un immaginario o mondi astratti completamente immersivi, la simulazione scientifica, il miglioramento funzionale ed estetico della realtà etc, l’accento è posto sulla visualizzazione analitica degli interpassaggi tra i confini reali e quelli virtuali dello spazio architettonico può essere rivelato gradualmente durante l’elaborazione digitale di uno spazio costruito attraverso l’utilizzo del Set di Operazioni booleane all’interno di un ambiente virtuale semi-immersivo, in modo da rendere possibile il progressivo confronto visivo tra i confini spaziali creati e quelli digitali.
In questo modo, un nuovo tipo di spazialità paradossale (interspazialità) emerge attraverso la visualizzazione non solo dei processi ma anche delle incongruenze della definizione di volume, la stratificazione, la geometria e la generazione del confine che caratterizza l’elaborazione 3D dei computer.
Poiché i confini virtuali dell’architettura create si sono trasformati, gli angoli e le superfici del modello digitale 3D “aperto” per rivelare un campo di infrastrutture geometriche complesso e imprevedibile. Una moltitudine di infraspazi emerge nei labirinti intrecciati e sbrogliati di un ambiente meta dimensionale sconvolgente ed eterogeneo che si contrae e si espande a esempi particolari, oscillando tra gli spazi architettonici creati, virtuali e misti.
Compaiono diversi tipi di spazialità sconosciuti e ambigui mentre attraversiamo gli ordini spaziali e i paradossi geometrici. I confini dello spazio digitale sono pieni di incongruenze poiché minano la solidità, stabilità e continuità dello spazio creato e sfidano la percezione che solitamente abbiamo di loro. Vengono svelate le dimensioni nascoste dello spazio architettonico che rimane non regolamentato, elusivo e non edificato.
Il flusso dinamico dello spazio informativo vengono sperimentati in diretto contrasto con l’architettura create che è il “fossile” regolare di tale processo di disegno digitale nella forma ideale del cubo cartesiano. Il “fantasma” emergente dell’astrazione e incongruenza dell’ordine algoritmico non può essere eliminato. Mina la simulazione digitale, le convenzioni e la funzionalità dell’architettura creata.
La manifestazione dell’interspazialità rende possibile una nuova interpretazione filosofica, esperienza e percezione dello spazio che ispira nuovi tipi di ricerca spaziale e tecnica nell’arte, architettura e discipline correlate.
Riferimenti:
[1] – Fratzeskou, Eugenia, Operative Intersections: Between Site-Specific Drawing and Spatial Digital Diagramming, LAP – Lambert Academic Publishing, 2010.
[2] – Fratzeskou, Eugenia, “Revealing Interstitial spaces: Part 1” in Digimag, Issue 63, April 2011, http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=2040.
[3] – Krauss, Rosalind, The Optical Unconscious, MIT Press (October Book), 1998 (1993), p.16.
[4] – Tschumi, Bernard, Architecture and Disjunction, MIT Press, 1996, p.199.
[5] – Miwon Kwon in Pamela M. Lee, Object to be Destroyed: The Work of Gordon Matta-Clark, MIT Press, 2000, p.37 (see also pp. 35, 36, 38).
[6] – Kaye, Nick, Site-specific Art: Performance, Place and Documentation, Routledge, 2000, pp. 215, 220.