Questo testo è il primo di una serie di 5 saggi scritti dal’interaction designer e teorico americano Jeremy Levine dal titolo “Products of Negotiation & Spaces of Possibility: Quantum Systems and Interactive Media Art”. Il testo (dal titolo originale “The Human Subject and the Production of Reality in Quantum Systems and Interactive Media Art) è stato tradotto in accordo con l’autore e per la prima volta pubblicato su una rivista di settore.

La separazione tra soggetto e oggetto è il risultato naturale delle nostre impressioni sul mondo esterno, che sembrano separate dai pensieri che scorrono nella nostra testa. Quando ci troviamo di fronte a un dipinto per esempio, noi lo assimiliamo come un oggetto distinto dal nostro se cosciente. Questa scissione tra il mondo “esterno” e quello nella nostra mente, è il fondamento della logica classica. La nozione di oggettività si appoggia infatti sull’idea che l’universo è costituito da soggetti in grado di rimanere separati dai loro oggetti.

Ma non è questo il caso quando prendiamo in considerazione la media art interattiva o le particelle quantiche, nessuna delle quali può essere considerata un “oggetto” nel senso comune della parola. Al contrario, in questi casi abbiamo a che fare con sistemi aperti, complessi, in cui noi stessi giochiamo un ruolo centrale. “Nel dramma dell’esistenza, noi stessi siamo sia attori che spettatori” ( Neils Bohr, “Essays, 1958-62, on Atomic Physics and Human Knowledge, (Wiley, NewYork), “Essays 1958/62 on Atomic Physics and Human Knowledge”, p.15.).

Un opera di arte interattiva, come del resto un sistema quantico, inietta le scelte fatte dagli esseri umani “direttamente in una struttura causale. Specifica gli effetti di queste azioni esplorative su sistemi stessi che devono essere esplorati” ( Jeffrey M. Schwartz, Henry P. Stapp, Mario Beauregard , “Quantum Physics in Neuroscience and Psychology: A New Model with Respect to Mind/Brain Interaction”, 30). Soggetto e oggetto sono quindi unificati in un unico ontologico. In entrambi i sistemi analizzati, le azioni dell’osservatore sono considerate parte del sistema sotto osservazione, il sistema stesso è composto da un componente invisibile, digitale o quantico, e uno umano, e inoltre siamo confrontati con un fenomeno variabile che richiede che la nostra comprensione intuitiva delle “cose” sia supportata da un modello basato su dei “sistemi”. Tutto questo richiede la logica della sintesi e della complessità, piuttosto che quella dell’analisi e della riduzione.

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“We may state as characteristic of modern science that this scheme of isolable unit acting in one way causality has proved to be insufficient. Hence the appearance in all fields of science, of notions like wholeness, holism, gestalt, etc….systems of elements in mutual interaction” ( Ludwig von Bertalanffy, “General System Theory”, (George Braziller, New York, 1969), 44).

Il progetto di media art sul web “D-Cell” di Casey Reas (http://www.singlecell.org/cr/index.html), richiede ad esempio che il visitatore “tocchi” l’arte allo scopo di portarla alla “vita”. Provate a toccare un dipinto di Rothko se ne avete la possibilità, e vi troverete immediatamente in manette. Le particelle quantiche sembrano possedere la proprietà di comunicare istantaneamente tra loro, definendo la nostra comprensione di spazio e distanza. La stessa esperienza si ottiene a partire dal senso di non-località favorito dal World Wide Web, che sembra riuscire a far collassare lo spazio nel click di un mouse e nei links.

Sebbene il limite della velocità della luce non sia spezzato nel corso delle nostre interazioni mediate dal web, noi facciamo spesso esperienza di un’immediatezza che cancella la distanza e contribuisce a creare un “confuso senso di luogo e prossimità” (Vince Dzekian, “Distributed Spatial Practice, as Applied to the Art of the Exhibition” – Invisible Culture, Vol. 11, Dec. 2007, http://www.rochester.edu/in_visible_culture/Issue_11/dziekan/Dziekan_print.pdf , 11).

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L’opera “15×15” di Richard Wickers, è una griglia di immagini catturate da web came in costante cambiamento, uploadate dai visitatori del sito web provenienti da tutto il mondo. 15×15 in sostanza esiste nel regno non-fisico del cyberspazio, così come il quanto esiste nell’universo non-reale del mondo sub-atomico. In entrambi i casi, le nostre nozioni classiche di “oggetto” sono messe in discussione dalla nostra esperienza.

“It [Net art] often deals with structural concepts: A group or an individual designs a system that can be expanded by other people. Along with that is the idea that the collaboration of a number of people will become the condition for the development of an overall system. Net art projects without the participation of external persons are perhaps interesting concepts, but they do not manifest themselves as a collective creativity in the net”

Questa nozione della realtà è, come descritto dal filosofo francese Nicholas Bourriaud, “un prodotto di negoziazione” ( Nicolas Bourriaud, “Relational Aesthetics”, (Translated by Simon Pleasance and Fronza Woods, (Les presses du reel, Dijon, France, 2002), 80). La stessa negoziazione che esiste tra le emozioni e le connotazioni in potenziale conflitto, avviene anche dentro le nostre teste quando ci troviamo di fronte a un opera d’arte. Ma nel nostro incontro con “l’arte interattiva”, questa negoziazione richiede molto più di un semplice sforzo mentale. L’arte interattiva richiede il coinvolgimento del nostro corpo, richiede di essere “toccata” anche se, nel caso dell’arte su Internet, questo contatto avviene in un cyberspazio ed è mediato dall’uso di una tastiera. “L’arte interattiva” riflette l’idea che il nostro mondo sia costituito da sistemi, piuttosto che da semplici oggetti.

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Secondo il teorico dell’arte Jack Burnham, questo porta a “rifocalizzare la consapevolezza dell’estetica, basata sul futuro dell’evoluzione scientifica e tecnologica piuttosto che sugli scambi di informazioni energetiche della materia” ( Jack Burnham, “Beyond Modern Sculpture”, (Braziller, New York, 1968), 369). La predizione di Burnham, fatta negli anni Sessanta del secolo scorso, sulla “morte dell’oggetto”, non si è verificata totalmente, ma la crescita di una pratica dialettica come la media art interattiva, che possiede sia caratteristiche di “oggetto” (l’hardware per esempio) sia di “non-oggetto” (il software), si è verificata in modo considerevole. Non è una coincidenza che “gli scambi di informazioni energetiche della materia” di Burnham, trovino il loro corollario nella metafora dell’informazione utilizzata dalla stessa teoria quantica.

La variabile estetica della media art interattiva in risposta a un’interazione umana, è una metafora utile per afferrare la qualità elusiva della mitica “funzione d’onda” della teoria meccanica quantica. La “funzione d’onda” è un modello del comportamento incerto e complesso delle particelle sub-atomiche in risposta alla nostra interazione con esse. Quando una particella quantica viene sondata, la sua “funzione d’onda” collassa per tutta risposta, offrendo quindi un nuovo “campo di possibilità” che sono ovviamente rappresentate da una nuova funzione d’onda. Adottando quindi questa metafora, possiamo dire che l’arte basata sull’oggetto è simile alle particelle classiche, mentre l’arte interattiva è più come la funzione d’onda quantica che produce uno “spazio di possibilità” in evoluzione.

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Le connessioni possibili tra la media art interattiva e il mondo dei quanti invisibili non richiede alcuna metafora. Le similitudini sono troppo evidenti per essere ignorate.