“Carta resistenza spazio chiuso rinchiuso teso sotteso peso leso. qui nessuno bara con le parole le parole sono chiare. chiara divisa lisa lesa tesa punto a capo. dentro questa stanza questo luogo d’immagine e somiglianza due punti aperta parentesi carta e resistenza inventa cose già inventate dando loro senso compiuto e nuovo senso contestuale e significato contemporaneo. chiusa la parentesi“.
Leggendo tutto d’un fiato – come imposto dall’assenza di punteggiatura – questa lunga perifrasi, si assiste ad una sovrapposizione di immagini, concetti, idee che lampeggiano nella mente come nei disegni di Paper Resistance. Il suo lavoro di contrappunto, di giustapposizione ossimorica di figure e simboli della contemporaneità, delinea con piglio graffiante contraddizioni e storture del presente. Attraverso un segno preciso, limpido e netto le sue composizioni si stagliano “pulite”, nelle cornici come sui poster, ricche di associazioni stranianti e imprevedibili.
Da poco reduce dalla partecipazione alla quinta edizione del BilBolBul Festival dove, oltre a firmare l’immagine guida ha presentato un progetto ai limiti tra disegno e partecipazione, Paper Resistance è un nome noto nel mondo dell’illustrazione oltre che un punto di riferimento nell’area della grafica underground e dell’autoproduzione. L’ultimo suo album, Vertigo, esce proprio per quella Zooo Press che ha contribuito a fondare e dove militano nomi di tutto rispetto del panorama urban e drawing italiano: Blu, Ericailcane, Dem, Ratigher e altri.
Si diceva delle recenti uscite e dei progetti di fresca data tra i quali spicca Io sono qui!. L’attestato di presenza affermato in prima persona e rafforzato dal punto esclamativo nasconde un incontro diretto tra l’artista e i giovani inquilini di un carcere minorile. Da un lato un workshop per avvicinare i ragazzi al fumetto, ad un mezzo di espressione orizzontale e autoprodotta capace di veicolare svariati messaggi, dall’altro un’installazione che crea trasparenza tra l’interno della struttura detentiva e il mondo esterno.
Del resto anche in passato l’artista si è interessato a quella che possiamo definire “estetica della sorveglianza” attraverso pubblicazioni, esperienze espositive o editoriali. Da Handcuffs, catalogo ragionato e diacronico di manette, a Security First, personale dal titolo ironico, fino alle serie e ai singoli disegni in cui divise d’ordinanza, strumenti repressivi (manganelli, scudi), oggetti di protezione e autodifesa (maschere antigas, caschi) fanno bella mostra.
L’attività di Paper Resistence si adatta perfettamente anche alla street culture, non è raro, ritrovarlo dentro festival e libri sull’argomento a testimonianza del fatto che il supporto cartaceo per quanto fondamentale non è e non resta l’unico terreno di lotta del segno. Per l’occhio più allenato infine c’è ancora almeno un aspetto della sua produzione che è possibile scovare per le strade o nei negozi di dischi, la realizzazione di copertine e manifesti dal tratto inconfondibile che accompagnano la discografia e i concerti di Pan Sonic, Comaneci, Father Murphy, Sonic Belligeranza.
Claudio Musso: Adoro la lingua e soprattutto le concessioni ludiche che offre. Il nome che ti sei scelto da luogo ad una serie di ambiguità che stimolano alcune riflessioni. “Resistenza di carta” come resistenza fragile, debole, vulnerabile. “Resistenza di carta” in cui la carta è l’unico (e ultimo) mezzo in cui rifugiarsi. O “Carta di resistenza”, arma di protezione dalla massa, manifesto di guerriglia disegnata.
Paper Resistance: Le varianti ludiche che vengono fuori dal nome che ho deciso di darmi quando disegno, in realtà non sono state pensate preventivamente, nel senso il nome è venuto in maniera abbastanza istintiva e rapida. Io ho iniziato a lavorare con le illustrazioni più per un’urgenza comunicativa che altro, visto che le prime cose che facevo erano degli sticker che producevo per poi attaccare in giro. Questo avveniva una decina di anni fa ormai. I contenuti erano molto politicizzati. Paper Resistance era un po’ come fare 1+1=2.
Claudio Musso: C’è un’estrema coerenza nei progetti e nei disegni che realizzi. Pur nella loro apparente distanza tematica, è possibile ricondurre la tua ricerca ad una sorta di “poetica del controllo”. I titoli delle tue opere e gli argomenti trattati ruotano intorno al concetto di libertà, o di privazione della libertà, se vogliamo. Come nasce questa ossessione?
Paper Resistance: Nel mio lavoro, preferisco trattare argomenti, tematiche e sensazioni che realmente vivo, vedo o percepisco, piuttosto che guardare il mio ombelico e raccontarlo attraverso i disegni. Chiaramente poi c’è una fase di elaborazione del tutto che passa attraverso l’interpretazione e la rappresentazione di quanto c’è in giro. Io il “controllo” lo sento perché esiste e lo rappresento perché probabilmente è necessario farlo. Uno degli approcci che più preferisco è un po’ quello che Milton Glaser definiva come “drawing is thinkin”.
Claudio Musso: Nella tua ultima fatica editoriale, Vertigo, l’utilizzo della bicromia struttura la visione su due piani distinti e complementari allo stesso tempo. L’immagine in primo piano e quella sullo sfondo (interscambiabili come in un gioco di psicologia cognitiva) si uniscono a formare una sola figura paradossale che si nutre, a seconda dei casi, di polarità oppositive come natura/artificio, umano/inumano, aperto/chiuso…
Paper Resistance: Esattamente. Vertigo è stato pensato e realizzato come un lavoro basato esclusivamente sul tratto. Nessun tipo di riempimento o campiture, ma solo linee e tratti. Da un certo punto di vista è un approccio nuovo rispetto a quanto fatto in precedenza, ma quando ho iniziato a lavorarci ho avuto la sensazione che ci potessero essere dei buoni margini per realizzare qualcosa di valido. L’utilizzo della bicromia poi, aiuta in questo senso, proprio perché riesce a strutturare dei piani di lettura differenti anche a livello grafico.
Claudio Musso:Il tratto sovente delicato e illustrativo dei disegni si accompagna spesso ad una cruda violenza delle scene rappresentate. I colori ben stesi, i toni sobri e gli sfondi neutri sono in rapporto ossimorico con la tragicità delle realtà descritte. Nella memoria affiorano esempi illustri che spaziano in ampio spettro cronologico: dai Tacuina medioevali alla grafica costruttivista. Chi sono i tuoi maestri? Quali le tue principali fonti dispirazione?
Paper Resistance: Le mie fonti di ispirazione, non necessariamente sono di tipo grafico. Mi faccio facilmente suggestionare da tutto quello che vedo in giro quotidianamente, poi il tutto viene rielaborato secondo un gioco di incastri e combinazioni basate sul paradosso. In qualche maniera questo tipo di approccio io lo rivedo nei lavori di gente tipo Gee Vaucher, Winston Smith, Jamie Reid o Raymond Pettibon, o prima ancora in quelli di John Heartfield.
Claudio Musso: Gli accostamenti mai casuali che proponi hanno svariati ambiti e media di provenienza. Nel caso di Handcuffs la ricerca è stata storica, come quella di un archivista. Le immagini delle manette, simbolo inequivocabile della perdita di libertà e figura allegorica di un legame forzato, appartengono a diverse epoche più o meno remote e ne tratteggiano alcune caratteristiche…
Paper Resistance:La caratteristica principale secondo me risiede proprio nell’ultima tipologia di manette che viene illustrata dentro la raccolta di Handcuffs, quella chiamata “since 1999 world wide street”. Sono i lacci in plastica, giusto per capirci. Credo che si siano viste per la prima volta in Israele, ma dal 1999 anno di Seattle, hanno iniziato anche a vedersi per le strade di tutte le manifestazioni “occidentali”. Interessante è il fatto che siano fatte in plastica e siano leggere, di modo che ogni poliziotto può portarsene dietro in dotazione un po’ quante ne vuole. Un po’ come dire che volendo ce ne sono per tutti
Claudio Musso: Parlando d’attualità la tua presenza all’ultimo BilBolBul Festival di Bologna, passa attraverso la realizzazione dell’immagine coordinata e la realizzazione di un progetto. Io sono qui! parte di un principio relazionale di rapporto diretto con i detenuti del Carcere minorile del Pratello e viene traslato in una installazione che riflette e connette l’interno all’esterno. Come è successo?
Paper Resistance: Mi è stato chiesto di realizzare l’illustrazione guida del festival dall’associazione Hamelin che organizza Bilbolbul, e come autore sono stato invitato a realizzare anche una esposizione. Io ho proposto di fare lavoro differente dalla “solita” mostra. Quella di lavorare con il carcere minorile era un’idea che avevo in mente da anni, e farla all’interno del festival poteva essere l’occasione giusta. Così insieme ad Hamelin abbiamo pensato e realizzato il progetto Io sono qui (http://www.io-sono-qui.org). Non volevamo fare un lavoro sul carcere ma un lavoro con il carcere, o meglio con chi dietro quelle mura ci vive giorno dopo giorno, aprire un varco, far vedere chi c’è dentro e com’è dentro per poi portarlo fuori.
Fondamentalmente il progetto si divideva in due fasi distinte. La prima attraverso dei laboratori di fotografia fatti con i ragazzi detenuti, lavorando sul ritratto e l’autorappresentazione, la seconda vedeva il sottoscritto riproporre in maniera illustrata i fotoritratti realizzati dagli stessi ragazzi, il tutto realizzato con stampe di grande formato esposte all’esterno delle mura del carcere. È stato un lavoro collettivo, durato un paio di mesi e articolato su diversi momenti. Per questo abbiamo poi realizzato un sito che contenesse il tutto e ne desse una forma unica.
Claudio Musso: Oltre che artista, illustratore, disegnatore e attivista, sei tra i fondatori della rivistaInguine Mah!gazine, tra gli organizzatori di Original Cultures e nelle file dellaZooo Press. Questa è la dimostrazione che oggi la diffusione delle pratiche artistiche passa attraverso l’autoproduzione e l’autogestione? La commistione di diverse figure e l’interscambiabilità di dei ruoli (dal piano educativo in Accademia a quello sperimentale in strada) quanto orienta la tua ricerca?
Paper Resistance: Quella dell’autoproduzione o di un approccio di tipo indipendente non credo riguardi solo questo momento storico preciso o solo le pratiche artistiche. Per quanto mi riguarda almeno, ho quest’attitudine rispetto al quotidiano in generale. Non amo molto delegare e delle due preferisco fare. Fare un libro, fare un evento, fare qualsiasi cosa, ma farlo a modo mio, magari rimettendoci anche dal punto di vista economico, ma comunque farlo, seguirlo, crescerlo, vederlo nascere e magari anche vederlo morire.
Non sono l’unico, né il primo, né l’ultimo a pensare in questo modo, ma se parliamo di produzione è la maniera che io prediligo. Anche se non significa che sia l’unica praticabile. Quanto all’interscambiabilità io poi sono sempre io. Solo che ricopro più figure contemporaneamente. Cerco solo di portare parte di ogni mia esperienza dentro ognuna di queste. E delle volte può tornare utile