Marianne Weems è l’ideatrice della compagnia tecnoteatrale statunitense The Builders Association, specializzata in allestimenti teatrali riccamente dotati di tecnologia digitale interattiva e schermi panoramici e che nel 2004 ha portato a RomaEuropa il pluripremiato Alladeen, storia non così fiabesca di dipendenti di un call center di Bangalore, vincitore anche di un Obie Award.

La tecnologia è sempre presente sia materialmente sia come argomento stesso degli spettacoli: il divario tecnologico tra Paesi civilizzati e terzo mondo, lo sfruttamento dei lavoratori attraverso il metodo aziendale dell’ outsourcing , la simulazione degli eventi da parte dei media, la mediazione tecnologica che entra in ogni azione della nostra vita, il controllo elettronico. Siamo di fronte a un genuino caso di teatro politico tecnologico, giocato sempre su una scenografia straordinariamente self-evident e di notevole impatto visivo.

Supervision è la loro ultima produzione. Sono tre storie che parlano della violazione della privacy e del controllo e monitoraggio in tempo reale di liberi cittadini: vite che diventano trasparenti a cominciare dalle transazioni economiche e dagli spostamenti da loro effettuati, dallo stipendio che arriva loro in banca, dai loro incontri negli spazi pubblici sorvegliati. Marianne Weems mette in scena storie di ordinario pirataggio dati in epoca post-privata , legate al filo (o file …) comune della propria identità personale diventata informazione ramificata, incontrollabile, separata dal corpo fisico e che viaggia dentro migliaia di processori in uno spazio-dati invisibile.

Persone che vivono nel white noise della costante connessione remota, viaggiatori bloccati alla frontiera a causa di controlli che incrociano informazioni strettamente personali con quelle dell’ AIDC (Automatic Identification and Data Capture). Marianne Weems (che ha lavorato come dramaturg e assistente alla regia di Elizabeth LeCompte e Richard Foreman) ha dato visibilità e concretezza palpabile a questi databodies , a questa infosfera immateriale attraverso un’imponente architettura fatta di uno schermo panoramico, proiezioni video multiple real time, animazioni computerizzate e un sistema di motion capture.

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A.Monteverdi: Quali sono state le tappe fondamentali del vostro lavoro teatrale come gruppo: quando siete nati, quale la formazione e quali i modelli artistici di riferimento per i vostri spettacoli multimediali?

M.Weems: Abbiamo cominciato 14 anni fa allestendo una vera e propria “casa” a scala reale ma “decostruita” ispirata a Gordon Matta-Clark all’interno di un enorme spazio industriale. La casa era riempita di video e sound triggers che il performer attivava come si muoveva attraverso lo spazio interpretando il dramma di Ibsen “The Master Builder“. Era un momento utopico –lo spettacolo, la casa, e così la compagnia è emersa in quegli otto mesi di collaborazione che hanno coinvolto architetti, progettisti di software, video maker, musicisti, progettisti di luci, sound designer e certamente attori.

Creo e dirigo produzioni basate su storie reali prese dalla vita contemporanea — storie che hanno un contenuto accessibile, attuale, pregnante e che riflettono la moderna esperienza umana. Durante gli ultimi 14 anni con la mia compagnia The Builders Association ho fatto performance sul furto di dati, outsourcing e perfino sul jet lag. Suona un po’ sterile, in qualche modo, ma le produzioni sono colossali, colorate, a volte divertenti. Mi sono detta che queste storie dovevano parlare ad una vasta tipologia di persone fuori del mondo del teatro sperimentale: agli artisti che lavorano con molti altri media e persino ai membri più giovani del pubblico come pure a quelli più anziani. In questo tentativo di fare del teatro uno specchio del nostro caotico mondo contemporaneo, lavoro con attori e progettisti tradizionali del teatro ma anche con collaboratori meno tradizionali quali video designer, sound designer, progettisti di software, architetti e altri ancora. Queste produzioni hanno girato in tournée in tutto il mondo — da BAM a Bogotá, da Singapore a Melbourne, a Minneapolis ed a Los Angeles a Budapest.

Queste produzioni hanno generato un appassionato dibattito da parte del pubblico sull’attuale natura mutevole dell’identità, del lavoro, della vita, della velocità e del viaggiare. Desidero espandere il teatro, unire l’intrattenimento con il pensiero critico – e voglio invitare il pubblico a investigare quelle reti invisibili che ci circondano.

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A.Monteverdi: Come pensi sia possibile ottenere che la tecnologia anche quella più avanzata diventi parte integrante di un orizzonte estetico a teatro?

M.Weems: I progetti di The Builders Association installano un rapporto fruttuoso fra il liveness degli interpreti e il liveness della tecnologia, generando una sorta di “rete di media” intorno agli esecutori, che sia loro stessi che gli operatori tecnici “interpretano ed animano in ogni spettacolo.

A.Monteverdi: Steve Dixon propone una definizione per la performance digitale: “teatro aumentato”, altri parlano di teatro postdrammatico; quale definizione ritieni più opportuna per il tuo teatro?

M.Weems: Creiamo produzioni originali basate su storie tratte dalla vita quotidiana. La compagnia usa la ricchezza dei vecchi e nuovi strumenti tecnologici per estendere i confini del teatro.

A.Monteverdi: Puoi parlarci del processo creativo comune a tutte le vostre produzioni?

M.Weems: I nostri progetti sono sviluppati in un modo molto inclusivo – tutta la tecnologia, i progettisti, i produttori e gli interpreti sono presenti sin dalle primissime prove iniziali. Questa pratica ha fatto sì che sviluppassimo progetti in cui la tecnologia sia davvero integrata nelle produzioni – il contenuto e la forma sono interconnesse ad un livello drammaturgico profondo.

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A.Monteverdi: Sono rimasta molto colpita dai temi dei vostri lavori, una critica davvero dura alle multinazionali che detengono il potere economico anche grazie alle tecnologie, allo sfruttamento del lavoro, al pirateggio dati, alla sorveglianza, all’uso distorto dei media per generare consenso, e in generale alla società del controllo. Ma qual è il punto di partenza per i vostri lavori e quale l’obiettivo reale?

M.Weems: I nostri progetti fanno da trasmpolino per l’osservazione e la discussione politica in ogni sede in cui sono presentati. Per esempio, quando abbiamo portato Alladeen al Barbican a Londra ci sono stati tumulti poiché British Telecom aveva appena trasferito migliaia dei lavori in India e ci sono state dimostrazioni simili a Seattle (contro Microsoft) e perfino a Bogota, quando eravamo là a presentare lo spettacolo.

Supervision ha uno scenografia potente ed il messaggio è immediato: l’uso negativo della tecnologia contro l’individuo, contro la sua stessa libertà; un uso distorto e manipolato dai governi ma anche da noi stessi dal momento che preferiamo sempre più rapporti tecnologicamente mediati e sempre meno contatti umani.

A.Monteverdi: Pensi che la gente abbia coscienza di questo abuso, di questo eccesso, del digital divide presente in tutto il mondo?

M. Weems: Tutti i nostri progetti hanno a che fare con l’uso della tecnologia per raccontare storie sulla tecnologia ma anche sulle complicazioni dell’identità – storie ricche, reali tratte dagli eventi contemporanei. Ogni progetto guarda alle produzioni culturali e agli effetti della mediatizzazione; attraverso questa lente ci siamo impegnati a parlare di temi più disparati, come il viaggiare (Jet Lag, che abbiamo sviluppato con gli architetti Diller + Scofidio), dell’ outsourcing ( Alladeen, sviluppato con la compagnia dell’Asia del Sud MOTIROTI) e naturalmente della data sphere in Supervision che abbiamo sviluppato con il gruppo dbox.

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A.Monteverdi: Qual è il contributo del web alla diffusione del vostro lavoro?

M.Weems: Più recentemente ho cercato di raggiungere lo spazio fuori dal teatro per arrivare a coloro che non hanno interesse o accesso a teatro. Ci sono siti web che accompagnano queste produzioni e in cui migliaia di persone hanno condiviso i loro pensieri ed auguri. Il mio prossimo show Continuous City richiede al pubblico di creare materiale che sarà integrato dentro lo spettacolo ogni sera. Per me questo è evidentemente un grande rischio, producendo uno spettacolo con tecnologia high tech e a grande scala che cambia sera per sera e che deve rispondere alle diverse location, ai diversi modi di partecipazione e preoccupazione del pubblico.

Ho inoltre iniziato a lavorare con studenti “a rischio” a Brooklyn, su una produzione a lungo termine chiamata Invisible Cities. Sento che ognuno delle mie forme di spettacolo regge su prospettive più ampie, sia che siano implicati i licei di Brooklyn, o i call center dell’ Asia meridionale, o le reti delle città globali. Ho creato dei lavori teatrali per me e per i miei collaboratori più stretti con l’obiettivo di abbracciare ed evocare un mondo molto più grande.

A.Monteverdi: La maggior parte dei progetti di teatro multimediale si sviluppano su un periodo piuttosto lungo di tempo sia per effettuare test tecnici di sperimentazione sia per i costi elevati (dunque il lungo tempo di realizzazione dipende dalla ricerca di sponsor o coproduzioni); in alcuni casi lo spettacolo viene presentato in forma di work in progress, che corrisponde poi ai diversi step di lavoro e talvolta i singoli elementi (video, suono) prendono autonomia nel corso dell’allestimento diventando concerti, istallazioni, videocreazioni.Usate anche voi questa modalità intermediale di work in progress?

M.Weems: Occorre tempo per trovare fondi e letteralmente per costruire questi spettacoli- ci sono parecchie persone coinvolte e molte sono le fasi di sviluppo. Certamente se i fondi ci fossero subito sarebbe possibile avanzare più velocemente… Devo aggiungere però che ogni spettacolo resta in tournée almeno due anni dopo la premiere così questa è anche una giustificazione che bilancia il lungo tempo dedicato alla creazione.

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A.Monteverdi: Pensi che il pubblico abbia gli strumenti adatti per una corretta comprensione di un teatro di questo genere?

M.Weems: In Europa si. Negli Stati Uniti questa capacità di comprensione sta crescendo giorno per giorno

A.Monteverdi: Chi conosci tra gli artisti italiani che usano tecnologia in scena?

M.Weems: Romeo Castellucci è il mio “eroe”

A.Monteverdi: Avete progetti di tournée in Italia?

M.Weems: Ci piacerebbe tornare al Festival RomaEuropa, lì abbiamo presentato Alladeen nel 2004 e siamo stati bene.


http://it.youtube.com/watch?v=jlTpsTAKDGY