La storia del rapporto tra suono e luce in chiave artistica è un racconto lungo quasi tre secoli, un percorso complesso e labirintico, ricco di personaggi e di momenti chiave per la storia dell’arte audiovisiva così come la conosciamo oggi.
Dal primissimo clavecin ocualire (1740) del gesuita, fisico e matematico, Louis-Bertrand Castel agli organi a colore (1895) di Wallace Rimington, alle tastiere per luce (1910) di Aleksandr Skrjabin, al Clavilux di Thomas Wilfred (1920), al Piano ortofonico (1920) del pittore Russo futurista Vladimir Baranoff Rossiné, fino ai fantasmagorici Joshua Light Show di metà anni Settanta in chiave pop e alle avanguardie Futuriste e Cinetiche (perdonate il salto temporale, ma film e video dominarono per anni la scena artistica sperimentale audiovisiva)
Dedicare quindi una sezione di un festival a questo tema, non è quindi impresa semplice, lo converrete. Soprattutto nel momento in cui si dovrebbe cercare di uscire da una logica “semplicemente” espositiva per aggiungere un elemento di “storcizzazione”, quanto mai importante in questo momento storico (un po’ come ha cercato di fare, in modo ammirevole, a inizio anno il Sonic Acts di Amsterdam). In altri termini, a differenza della parte espositiva del festival (Sonarmatica, leggetevi in questo senso l’efficace analisi critica di Claudia D’Alonzo), il Sonarama ha semplicemente evitato questo tipo di confronto, per dedicarsi alla presentazione di alcuni progetti incentrati sull’utilizzo della luce come controparte percettiva del dialogo audio-visivo.
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Light&Sound è il titolo della rassegna al Centre D’Art Santa Monica, curata da Oscar Abril Ascaso, Roc Jimenez de Cisneros, Anna Ramos e Advanced Music. Un titolo che suggerisce quindi, in modo fin troppo eloquente, la volontà dei curatori di evidenziare l’importanza della luce nella storia dell’arte cinematica: tutto molto giusto in linea di principio, ma con un risultato forse non totalmente efficace, a mio avviso nel momento in cui Sonarama e Sonarmatica non sono stati “curati” con lo stesso tipo di approccio (e di disponibilità economica e di spazi). Era questo il primo anno in cui tutte le parti espositive del Sonar erano dedicate a un unico tema forte: l’esperienza cinematica, il cinema oltre il cinema.
Ma la tendenza del Sonar a considerare Sonarmatica la parte espositiva del festival, ha fatto sì che soprattutto Sonarama (meno per quanto riguarda Sonarcinema e Sonar a la carte), storicamente dedicata alla componente audiovisiva, non riuscisse a esprimere completamente le potenzialità del suo concept. Auspico quindi un ritorno alla divisione degli spazi e delle idee: in una rassegna ampia e complessa come quella del Sonar, c’è posto per idee e progetti, misurando con il giusto equilibrio spazi e disponibilità, progetti e artisti.
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Sonarama ha quindi visto la partecipazione di un ospite d’eccezione, quel Edwin van Der Heide che tutti conosciamo. Indovinate un po’? Ma certo, con il progetto Laser Sound Performance. Francamente ho visto Edwin molte volte nel corso degli ultimi anni: mi ricordo ancora con intensità, una delle sue prime uscite al Transmediale di qualche anno fa, nella stanza piccola del Maria am Ostbahnof. Devo ammettere che, sebbene ammiri l’intelligenza e la sensibilità dell’artista, dimostrata anche in altri progetti incentrati sulla “visualizzazione” fisica del suono, LSP ha perso inevitabilmente molto della sua efficacia immersiva e sinestetica degli esordi. Anche rispetto al 2006 in cui lo invitai direttamente a esibirsi di fronte alle Torri di Kiefer all’interno dell’Hangar Bicocca per il festival Mixed Media, Edwin van Der Heide ha forse abbandonato, paradossalmente per il Sonarama, la componente esperenziale, cinematica appunto, del suo progetto (legata di base al mancato utilizzo della nebbia, elemento che consente la creazione di architetture di luce come momento immersivo per il pubblico), per dedicarsi in modo quasi chirurgico allo studio delle possibili variazioni matematiche nella visualizzazione gaussiana del suono elettronico (attenzione, ho detto elettronico, non digitale, quindi fisico).
n una delle stanze superiori del Centre D’Art Santa Monica, il pubblico del Sonar ha quindi assistito a un progetto che ha fatto la storia dell’Arte Audiovisiva contemporanea, che sicuramente ben si colloca in un percorso artistico più ampio, ma che a mio avviso (si sa, in genere i critici si innamorano spesso del rigore dell’efficacia) inizia a mostrare i primi segni di stanchezza.
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Sonarama ha presentato poi un altro artista, che da sempre incentra il suo lavoro artistico sulla percezione sinestetica audiovisiva. Di nuovo la dinamica percettiva quindi, che non necessariamente si ritrova sempre nella storia del dialogo tra suono e luce, elemento questo complementare ma non portante di un tema come può essere Light&Sound. Mark Fell quindi, sound artist e artista audiovisivo inglese, che qui al Sonar presenta il progetto 8 Square Waves and Phase Locked Blue Light.
Nella sala centrale del Centre D’Art Santa Monica, un elemento architettonico circolare fatto di 8 speaker spazializzati e altrettanti elementi luminosi a led, si è proposto come entità percettiva latente nel corso della giornata, per accendersi a momenti prestabiliti seguendo una partitura audio-video suonata live dallo stesso Mark Fell. Incentrato sul tema forte dell’analisi e della ricongnizione degli effetti psicologici e percettivi che suoni e luci opportunamente spazializzati possono avere sull’apparato retinico-neuronale dell’uomo, il live è parso a tratti un po’ banale, sebbene condito da suoni “fisici” molto interessanti, e piuttosto ripetitivo e privo di idee forti nel suo svolgimento. Il pubblico seduto all’interno del cerchio, ha potuto comunque saggiare le potenzialità di un progetto artistico, che fa del rapporto suono-luci-spazio la sua cifra artistica
Ed è proprio questo terzo elemento, lo spazio architettonico appunto, espanso dall’utilizzo della luce come elemento di indagine spaziale, che rappresenta a mio avviso l’elemento critico più interessante della rassegna Sound&Light. Forse poco evidenziato a livello di presentazione, è proprio questo l’elemento che determina l’aderenza al concept generale del Sonarmatica, l’esperienza cinematica appunto: la capacità quindi di “uscire” dallo spazio bidimensionale della proiezione su schermo, per spingersi verso un rapporto più complesso e architettonico con lo spazio che circonda pubblico e artista.
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Ed è quindi su questa traccia curatoriale che si colloca, a mio avviso, anche il progetto di Pablo Valbuena, designer e artista spagnolo, presente al Sonar con il suo Augmented Sculture Series. Intervistato proprio relativamente a questo progetto da Bertram Niessen per il numero 34 di Digimag di Aprile 2008, Pablo Valbuena conferma dal vivo l’ottima sensazione che già mi aveva lasciato vedere il suo lavoro sulla Rete, spulciando tra un video di You Tube e il materiale sul suo sito. Le sculture aumentate di Pablo Valbuena, entrano efficacemente nello spazio architettonico, pur abitandolo in maniera quasi timida, progettate come sono per essere “chiuse” in un angolo della stanza.
La procedura è semplice ma efficace, molto elegante nel suo svolgimento: un proiettore emette luce su una struttura architettonica immersa in un ambiente completamente buio, giocando sull’elemento percettivo del pubblico e sulla capacità dell’occhio di cogliere le differenze cromatiche delle diverse zone di luce e ombra. Incentrato forse su una partitura audiovisiva precisa (ma di questo non posso darvi conferma), l’installazione di Valbuena dimostra le grandi potenzialità espressive di questa disciplina a cavallo tra design, audiovideo e architettura, come dimostrato da altri progetti analoghi come Halbzeug-Surface Refinement dei Visomat (visto a Netmage e al Club Transmediale quest’anno) o il bellissimo Carillon Chandelier del nostro Claudio Sinatti.
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Chiudono la rassegna del Sonarama 2008 altri due progetti: Cube, affascinante artefatto di led luminosi capace di reagire alle musiche provenienti dal ricchissimo database dell’etichetta Minus di Richie Hawtin, e l’installazione/live Farophonia Sintetica degli spagnoli Sonom.