Kinetic, parola che deriva dal greco kinetikos, da kinetos, sta per movimento o moto. In senso ampio la parola concerne tutto cio’ che riguarda o viene prodotto dal movimento. L’Arte Cineticadunque è relativa a tutti quelle opere d’arte che prevedono movimento delle parti, o dipendono dal moto per la loro esplicitazione.
Dagli inizi del XX secolo ad oggi, l’Arte Cinetica ha continuato ad esplorare nuovi modalità espressive giungendo negli ultimi anni ad un passaggio importante: l’apertura verso le sperimentazioni del digitale, delle nano-tecnologie, le onde di luce e suono.
Ultimamente la mia curiosita’ e’ stata attratta in maniera sempre piu’ frequente da questo tipo di ricerche. Lo scorso anno ho avuto il piacere di scoprire un fantastico artista/inventore/compositore, Trimpin, attraverso il film di Peter Esmonde, Trimpin, the Sound of Invention. A gennaio ho visitato la mostra su Alexander Calder al palazzo delle Esposizioni di Roma. Infine un’intera fiera d’arte dedicata all’arte cinetica: la Kinetica Art Fair, a Londra dal 4 al 7 febbraio 2010, evento giunto alla sua seconda edizione, prodotto e realizzato dal Kinetica Museum.
Il programma della fiera e’ stato esausitivo e ricco: una mostra, dedicata ai pionieri dell’arte cinetica, nonchè una serie mai vista di espositori internazionali, incontri, conferenze, esibizioni dal vivo e dimostrazioni pratiche. Il tutto all’interno di uno spazio di 14,000 mq, chiamato Ambika P3, su Marylebone Rd. Le dimensioni e il successo della fiera, sono state certamente un segnale forte dell’interesse crescente da parte del mondo dell’arte nochè del pubblico, attorno all’arte cinetica.
Riuscire a fare quindi un report dettagliato di tutta la fiera è impresa quasi impossibile e probabilmente destinata al fallimento o quanto meno alla superficialità. Per questo motivo, abbiamo preferito raccontare l’evento attraverso le parole dei suoi diretti protagonisti: il direttore artistico del Kinetica Art Fair, Dianne Harris, e alcuni degli artisti e designer che mi hanno particolarmente incuriosito e con cui ho intrattenuto piacevoli conversazioni: il collettivo Squidsoup, il Jason Bruges studio e infine il gruppo Arthertz. Il risultato è un patchwork dinamico, cinetico potremmo quasi dire, che riflette a pieno l’atmosfera di questo evento del tutto unico. Buona lettura…
1 – Intervista all’art director del Kinetica Art Museum: Diane Harris
Alessandra Migani:Può parlarmi della sua formazione e come e’ nata l’idea di organizzare Kinetica Art Fair?
Dianne Harris: Nel 2004 ho aperto una piccola galleria chiamata The Luminaries nella zona ovest di Londra, per mostrare i miei progetti di quel periodo e per invitare altri artisti ad esibire i propri lavori, che spaziavano nel campo della cinetica, dell’elettronica e dell’interattività. Avendo lavorato come artista a Londra per 12 anni, ero disillusa rispetto alla scena artistica, sempre focalizzata sul fenomeno YBA (Young British Artists), che includeva solo un ristretto gruppo di artisti. Così ho pensato di iniziare qualcosa che fosse quasi una reazione opposta alla direzione generale.
Ho mostrato artisti come Tim Lewis, Sam Buxton, Robert Pepperell ed Hexstatic. La risposta e’ stata così buona che ho pensato ci fosse una necessita’ concreta ed un interesse verso questo tipo di arte nel Regno Unito. Tony Langford ha partecipato come artista all’ultima mostra al The Luminaries e quando abbiamo finito i finanziamenti per lo spazio, ho pensato che sarebbe stato bello creare la stessa cosa, ma in scala piu’ grande.
Tony decise di unirsi a me in questa avventura ed, insieme ad un terzo socio, Charlotte Dillon, abbiamo creato Kinetica Museum. Nel 2006 abbiamo ricevuto dei finanziamenti dall’Arts Council e sponsorizzazioni per uno spazio di 14,000mq all’interno di Spitalfields Market (zona est di Londra), dove abbiamo ospitato 7 mostre di livello internazionale di arte cinetica, elettronica e nuovi media. Kinetica Museum continua oggi a partecipare a mostre nazionali e internazionali e negli ultimi due anni ha prodotto Kinetica Art Fair.
Alessandra Migani: Parlami della tua esperienza personale con la fiera. Sono nati possibili nuovi progetti o collaborazioni per il futuro?
Dianne Harris:La fiera e’ un’esperienza che comprende un po’ di tutto. Ci sono talmente tanti fili da legare insieme: le esigenze degli espositori ed i loro lavori, gli accordi ed il coordinamento degli spazi, la logistica dei trasporti, le istallazioni e costruzioni, il programma degli eventi e conferenze, le rappresentazioni, gli eventi dal vivo, il catalogo, la stampa, il marketing, la pubblicita’, la merce, il catering, gli inviti .e la lista potrebbe continuare all’infinito.
Il momento piu’ eccitante e’ vedere la fiera prendere forma nel giro di poche ore. L’istallazione avviene in 3 giorni, con tutti che lavorano assieme prima dell’apertura. Oltre i mille altri lavori nella mia lista, ho curato le aree di Kinetica, che quest’anno erano 10 in tutto. Abbiamo esibito 11 artisti e sono stata anche coinvolta nella co-curatela della mostra Kinetic Masters con Jasia Reichardt (Curatore di Cybernetic Serendipity all’ICA di Londra nel 1968) e John Dunbar (Responsabile di Indica Gallery 1966).
Abbiamo preso in prestito lavori da numerose collezioni private di maestri d’Arte Cinetica e Cibernetica, fra la fine degli anni ’50 ed inizi ’80. Per cui questa mostra ha dato solidita’ ai lavori contemporanei presenti nella fiera e li ha posizionati all’interno di un contesto storico. E’ stata una bella esperienza realizzare tutto questo. La fiera di quest’anno ha ricevuto un ottimo responso.
Abbiamo avuto espositori provenienti da 11 paesi diversi e ricevuto oltre 10,000 visitatori nei 4 giorni di fiera, con una copertura di stampa e tv nazionale e internazionale, comprese Cina e Russia. Quest’anno inoltre, la fiera ha garantito vendite maggiori dello scorso anno. Questo e’ molto positivo, anche perche’ il punto fondamentale della fiera è rendere popolari artisti e organizzazioni che lavorano in questo settore e procurare, allo stesso tempo, una piattaforma per l’impresa commerciale.
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Alessandra Migani:Ho notato come Kinetica Art Fair evidenzi perfettamente come, al giorno d’oggi, gli artisti tendano a supere quella linea sottile che divide le “discipline delle belle arti” ed i “new media”. Pensi che la tecnologia sia solamente uno strumento che il nuovo artista contemporaneo usa? Oppure, dove individui i confini tra arte tradizionale e new media art?
Dianne Harris: Assolutamente, la tecnologia non e’ uno strumento che i nuovi artisti contemporanei usano. Gli ultimi sistemi di interfaccia, gli apparecchi tecnologici ed i nuovi materiali, hanno aiutato a portare i lavori artistici verso nuovi regni: questi d’altronde sono i nuovi pennelli, anche se contare troppo su di loro, sulle le loro abilita’ tecniche. Il rischio è che la tecnologia stessa diventi la forma d’arte, non bisogna rischiare che la tecnologia si trasformi da strumento a concept del lavoro. Cerchiamo qualcosa nelle opere d’arte al disopra di quello che Roy Ascott ha chiamato, la ‘dimostrazione’ della scienza cruda o della tecnologia.
La giornata di sabato alla fiera e’ stata, ad esempio, ricca di avvenimenti. Patrick Tresset e Frederic Fol Leymarie – The Aikon Project hanno presentato un software che genera disegni e ritratti di volti. L’indagine di Patrick Tresset è rivolta a sviluppare un’idea di arte come forma di percezione. I disegni funzionano come memoria attiva e in movimento. Vincent Leclerc, parte della mostra di Kinetica Museum, ha presentato il lavoro di Eski studio, con sede a Montréal. Revolver e’ il loro show realizzato a New York: lo studio ha creato un ambiente tridimensionale, usando un programma sul quale Leclerc aveva lavorato 10 anni prima per un museo in Quebec.
Musion e’ invece una piattaforma libera per artisti, per esibire lavori che spaziano nella tridimensionalita’, proiezioni oleografiche ed Illusioni ottiche. Nasce nel 2003 e da allora hanno partecipato a show in ogni parte del mondo. Le proiezioni sono sospese in mezzo al palco, sembrano reali. Hanno realizzato live performance per il tour di Madonna e collaborato con numerosi artisti. E’ intervenuto anche Stuart Warren Hill degli Hexstatic, il quale ha vinto quest’anno il premio per le migliori proiezioni oleografiche al The Musion Academy Media Awards (MAMAs).
2 – Intervista al collettivo Squidsoup
Alessandra Migani: Anthony, vorresti presentarmi il collettivo Squidsoup?
Anthony Rowe: Squidsoup e’ un gruppo di avventurieri dalle idee simili, che si muovono all’interno delle zone sperdute delle arti mediatiche digitali. Abbiamo iniziato nel 1997 e, nel corso degli anni, ci siamo trasformati alcune volte, ma il nostro intento e’ di creare spazi mentali immersivi e creativi, usando la tecnologia in maniera discreta. Sin dal 2000, la nostra maggiore area di esplorazione e’ stata la sovrapposizione dello spazio fisico con quello virtuale, il suono con l’interazione. Abbiamo prodotto una serie di installazioni digitali, che usano vari strumenti e tecnologie per creare ambienti astratti, immersivi e reattivi.
Alessandra Migani: Ocean of Light e’ il progetto che avete presentato a Kinetica Art Fair. Devo ammettere che, dopo aver passato un po’ di tempo immersa nelle particelle/onde di luce, mi sono sentita cosi’ in sintonia con l’istallazione che ho dovuto costringere me stessa a lasciare la stanza. Potresti raccontarmi la storia dietro questo progetto? Quali sono le sensazioni che vuoi che la gente esplori?
Anthony Rowe: Questa sensazione di immersione, grazie alla quale dimentichi dove ti trovi e ti lasci andare dentro lo spazio, e’ esattamente quello che stiamo cercando. L’idea di usare una griglia 3D di luci controllate individualmente, che è il centro tecnico di Ocean of Light, l’abbiamo avuta circa 2 anni fa, unendo due idee differenti. La prima e’ nata prendendo spunto dal lavoro di Jim Campbell, che utilizza una griglia 2D di luci ad una risoluzione molto bassa per presentare dei video ed ha scoperto che i risultati sono molto piu’ interessanti della fonte video originaria.
Ho voluto vedere se fosse stato possibile fare qualcosa di simile in 3D visto che, dopo tutto, i nostri lavori visivi sono spesso astratti e al limite dell’indecifrabilita’. Abbiamo voluto lasciare le persone libere di attribuire le proprie interpretazioni e il proprio significato a ciò che accade nell’ambiente intorno. E, come nel lavoro di Campbell, il nostro lavoro prende vita attraverso il movimento.
La seconda idea era più una ricerca, cioè quella di sperimentare modi per produrre lavori visivi realistici in 3D. Abbiamo usato gli occhiali sereofonici in diversi progetti, come Closer, Dandelions e Driftnet , dando un’illusione di profondita’ che di sicuro aiuta la sensazione di immersione e perdita che cerchiamo di ottenere.
Abbiamo usato schermi autostereoscopici [1] (superfici che utilizzano una tecnica simile alle cartoline 3D), ma questi strumenti non riescono a sovrapporre accuratamente uno strato virtuale allo spazio reale. La nostra griglia di LED invece si inserisce perfettamente nello spazio fisico: non si tratta di un effetto ottico, anche se e’ ad una risoluzione molto bassa.
Avevamo già lavorato con una griglia 3D nei progetti Stealth e Discontinuum, utilizzando NOVA, una bellissima griglia di LED 3D prodotta dall’istituto federale svizzero di tecnologia. Ma per Ocean of Light, stavamo cercando un’esperienza che creasse un ambiente, qualcosa che permettesse alle persone di entrare in uno spazio visivo, piuttosto che veder proiettato un oggetto dall’esterno.
Del resto l’idea di usare una griglia di luci 3D per creare delle visualizzazioni non e’ nuova. Ci sono numerosi esempi che puoi trovare anche solo cercando “LED cube” su Youtube. La potenza però risiede nel dettaglio. Abbiamo ricercato le diverse possibilità visive: quali tecniche sono piu’ efficaci per suggerire il movimento, la presenza, l’energia, per cui il nostro lavoro e’ proprio il risultato pratico di questa ricerca. Il pezzo si chiama in realta’ Ocean of Light: Surface, ed e’ un ambiente dinamico che e’ connesso in molti modi allo spazio fisico in cui risiede. Esso consiste in una superficie e in numerose creature astratte. Le creature sono agenti autonomi che navigano attraverso lo spazio e la superficie. La superficie e’ come un confine fra due fluidi virtuali.
Ocean of Light subisce l’influenza del suono: il rumore dell’ambiente e persino il gridare nello spazio virtuale crea delle onde che viaggiano lungo la superficie. L’ambiente e’ qualcosa di instabile che, occasionalmente, scatena reazioni come fuochi d’artificio, non appena le creature si muovono. In ogni punto si può potenzialmente creare un intero ecosistema astratto, dove tutto e’ vagamente connesso e consapevole di tutto il resto, incluso lo spazio fisico e le persone reali che interagiscono con l’istallazione.
3 – Intervista al Jason Bruges Studio
Alessandra Migani: Jason, potresti presentarmi il tuo studio ed il lavoro che hai mostrato alla fiera?
Jason Bruges: Jason Bruges Studio e’ stato creato nel 2002. Da allora, lo studio e’ cresciuto fino a comprendere 16 persone, provenienti da esperienze diverse: architettura, progetti di illuminazione, design interattivo e project management. Lo studio esegue opere d’arte iconiche nel campo pubblico e realizza lavori tecnologicamente avanzati. A Kinetica abbiamo portato due pezzi: il primo è Reflex Portraits, una serie di 6 diversi ritratti digitali animati, che esplorano le reazioni esterne.
La serie e’ una messa a punto del Mirror, un pezzo dello studio che e’ attualmente in mostra al museo V&A[2]. Il secondo pezzo, Screen Cloud, e’ un esempio perfetto dell’esplorazione continua dello studio, cioe’ la visualizzazione dell’invisibile. In questo caso gli elementi invisibili sono le leggere correnti d’aria che si muovono all’interno e attorno al pezzo.
L’istallazione comprende 30 schermi minuscoli, disposti su una struttura mobile, un omaggio esplicito al lavoro di Calder. Ogni schermo espone la propriocezione[3], la conoscenza della propria posizione in relazione al resto dell’assemblaggio, derivante dai sensori all’interno del lavoro stesso. Gli schermi mostrano una risposta animata alla percezione inconscia del loro orientamento nello spazio.
Alessandra Migani:La maggior parte delle tue installazione interattive esplorano la relazione fra fisico e digitale, tra lo spazio e la superficie, cercando di “visualizzare l’invisibile”. Da dove prendi ispirazione?
Jason Bruges: L’ispirazione viene da un’infinita varieta’ di fonti: artisti cinetici, scienziati e un vasto gruppo di designers. Punti di riferimento sono l’artista austriaco Bernhard Leitner, l’artista contemporaneo Christian Moeller, artisti come Moholy-Nagy e Iannis Xenakis.
Alessandra Migani:Uno dei tuoi ultimi progetti, Panda eyes, e’ al momento in mostra al Design Museum, come parte dell’esposizione del Brit Insurance Designs of the Year 2010. Potresti dirmi un po’ di piu’ su questo lavoro?
Jason Bruges: Originariamente commissionato dal WWF come parte di Pandamonium e poi venduto all’asta da Christie’s, lo studio ha creato un’opera d’arte costituita di 100 panda rotanti, posizionati su un piedistallo di 2×2 m. Allineati in una configurazione di 10×10, i piccoli panda individuano la presenza dello spettatore, e tracciano il movimento umano. Ruotando verso lo spettatore, il loro fissare provocatorio risulta essere leggermente inquietante e costringe gli spettatori a prendere in considerazione il proprio impatto sull’ambiente.
Per accattivare il pensiero del pubblico in maniera astratta, i panda sono controllati da servomotori, che ruotano ad incrementi precisi. Uniti ad un microprocessore ARM[4], la loro posizione cambia in accordo ad un’impulso di un’immagine dinamica alimentata da una camera termica, montata sopra la testa.
4 – Intervista ad ArtHertz
Alessandra Migani: Dennis, potresti dirmi qualcosa di piu’ sulla tua organizzazione e cosa ti ha spinto ad iniziare ArtHertz?
Dennis Da Silva: ArtHertz si è costituito nel 2006 per lavorare nell’ambito dell’arte contemporanea e degli eventi musicali, in particolare usando video proiezioni su larga scala, allestite in spazi poco convenzionali, in genere di una certa importanza storica o architettonica (Fulham Palace, prima residenza del vescovo di Londra, Durham Castle ed ora Battersea Power Station). Abbiamo anche svolto un ruolo importante nel Rushes Soho Shorts Festival, diventato oggi, una delle principali piattaforme internazionali per cortometraggi. Per oltre due anni abbiamo presentato in anteprima i nuovi lavori del pioniere della musica elettronica John Foxx, durante festival e proiezioni speciali, come nelle collaborazioni con i registi Alex Proyas (I Robot, Knowing), Ian Emes (il regista di Dark Side of the Moon dei Pink Floyd) e Macoto Tezka.
La nostra ultima mostra DNA (luglio 2009) includeva il primo sintetizzatore di Gary Numan e due stampe digitali di Nick Rhodes. La mostra includeva inoltre alcuni lavori ‘cinetici’ di due assidui collaboratori di ArtHertz, Adrian Lee e Andrew Back. Io e il direttore creativo, Beverley Bennett, amiamo lanciarci in territori sconosciuti per esplorare nuove possibilita’ nei cross-media. Siamo una piccola organizzazione ma con un grande spazio mentale.
Alessandra Migani:Al Kinetica Art Fair, stavi presentando un’anteprima di quello che sembra gia’ un evento imperdibile, Electricity and Ghosts, pianificato per il prossimo giugno alla Battersea Power Station. Potresti darci maggiori dettagli su questo progetto?
Dennis Da Silva: Electricity and Ghosts e’ un progetto di gruppo ispirato alla Battersea Power Station. L’evento avverra’ in due parti: un evento dal vivo che si svolgera’ alla Power Station e una mostra di due settimane nel quartiere di zona, Wandsworth, che trattera’ temi inerenti l’elettricità, l’energia rinnovabile e la memoria. E’ il nostro progetto piu’ ambizioso ed anche il piu’ importante da un punto di vista locale, nazionale e storico.
L’evento includera’ inoltre un nuovo film, Volt Electra, un omaggio a Frankenstein di Ian Emes, ed un lavoro del fotografo scozzese, Alex Boyd, insieme al pianista Mike Garson. Kinetica 2010 e’ stata un’anticipazione di due pezzi che saranno a Battersea, uno dei quali, Lumen Spiritus Sancti, di Andrew Back, e’ stato il risultato di una seduta spiritica tenuta nella stanza dei controlli della Power Station, lo scorso dicembre 2009!
Note:
[1]Definizione su wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/Autostereoscopy
[2]NdA. Il Victoria and Albert Museum di South Kensington e’ il piu’ importante museo al mondo per l’arte ed il design, che comprende una collezione impareggiabile per portata e varieta’.
[3]Dal dizionario medico – Tipo di sensazione da cui dipende la percezione della posizione del corpo nello spazio. Essa dipende dall’attività di determinati recettori nervosi (propriocettori) situati nei muscoli, nei tendini, nelle articolazioni.
[4] Vedi la definizione su wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/ARM_architecture
http://www.kinetica-museum.org/