Ogni anno, ad aprile, si rinnova l¹attesissimo appuntamento del Salone Internazionale del Mobile di Milano. Affaticati operatori del settore, pubblico internazionale e arzilli meneghini fuori salone sciamano come api sul miele tra le innumerevoli locations, spesso inedite ma pur sempre ludiche. I giorni del Salone danno a Milano un`aria di fermento, di confronto creativo, di moderna rivoluzione, di internazionalità che non ha assolutamente pari con alcun altro avvenimento presente durante l`anno in città. La portata dell¹evento è tale da influenzare la programmazione delle istituzioni pubbliche e anche il calendario degli altri avvenimenti culturali e dello spettacolo.
Sempre di più il grosso baraccone del design si lascia affiancare e dialoga con ambiti artistici una volta considerati “un mondo a parte”, sempre più comincia a far scoprire l¹interaction design e la cultura digitale, proprio perché questi campi sono visti come le novità maggiori nella realtà odierna. In sintonia con il primo sole primaverile la settimana del mobile offre un senso di grande risveglio dal tepore; gli spazi per gli allestimenti vengono scelti con cura per accogliere exhibit perfette, a metà tra presentazione, prodotto e performance, e più di tutti fanno del FuoriSalone un energetico magnete, dove pecunia non olet e in cui le eclettiche vene progettuali di designer, artisti e guru di digital effects non fanno difetto.
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A volte è un oggetto, ma molto spesso è proprio un¹istallazione multimediale o semplicemente un luogo (per esempio il Tashi Delek o la Stecca degli Artigiani), altre volte è una storia (quella di Sumampa) a regalarci un¹emozione. Il risultato però è ancora un pasticcio o peggio, qualcosa di posticcio! Non possiamo nascondere lo stato di confusione di fronte all¹evidenza di un certo disordine tra gli happening dati in pasto frettolosamente ad un pubblico affamato di qualsiasi tipo di novità, o peggio ancora un abisso tra le aspettative mediatiche ed il risultato che andiamo a vedere.
Il Salone assomiglia sempre più a una grossa bolla mediatica che si consuma nel tempo dello scoppio, un grande cantiere montato e smontato nel giro di pochi giorni, con tanto di ressa per i biglietti al botteghino. Parole come pazienza, convinzione, attenzione dello sguardo sono al bando. Estemporanei, affollatissimi, agli eventi della fiera, oltre ai progettisti e ai marchi di produzione, sono presenti proprio tutti: imprenditori, studenti, artisti, curiosi, talent scout, gente dello spettacolo. Ma cosa si aspetta di ricevere dal design tutta questa gente? Oltre a una sana curiosità e desiderio di mondanità, sarebbe interessante capire quanto le ragioni, gli obiettivi, la lungimiranza degli strumenti di design siano arrivati al vasto pubblico.
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Quali sono le riflessioni proposte dal Salone a proposito del Design? Dove si assapora la qualità della ricerca progettuale? Come spesso accade dove ci sono pochi investimenti, le esperienze migliori sono rintracciabili nelle zone di margine al salone patinato, come ad esempio i progetti di Esterni, avventure urbane in cui i cittadini e i passanti sono chiamati in prima persona a sviluppare idee e senso critico, riflettendo sul nostro mondo, sulle contraddizioni e le rotture dei fenomeni sociali contemporanei, e su quali strumenti, ambienti e tecnologie sono in grado di rispondervi con intelligenza. Quest¹anno ad esempio Esterni ha dato gran risalto alla musica broken beatz, electro, experimental e trip-hop attraverso le acrobazie di Triggerz.
Probabilmente evento come la fiera genera naturalmente una proliferazione di comunicazione e contatti, circolazione e attenzione mediatica che la proietta ben oltre il suo ruolo di far conoscere le scoperte e le idee intorno al design. Quegli stessi giornali, che quando si parla di arte lottano per accaparrarsi il miglior critico, affidano la loro opinione a “generalisti”, così che quotidiani, fogli fugaci, settimanali femminili durante la settimana milanese del mobile si impossessano del design, comunicandolo al pubblico in maniera frettolosa e altrettanto disattenta.
Eventi di scarso valore progettuale, ma forti di pubbliche relazioni compaiono ovunque: è il caso a nostro avviso di Interaction Ivrea durante l’edizione 2004, alla Triennale di Milano, con una rumorosa exhibition. La scuola, famosa ormai a livello internazionale, ha avuto la prontezza di presentare l¹Interaction Design – disciplina ancora abbastanza ignota (o mal compresa) – al grande pubblico, ma alla sua prima esperienza ha perso l¹occasione di comunicare progetti significativi, nati dentro un¹innovativa e forte vision. Perdendosi in un percorso di gadget effimeri dall¹effetto giocoso, l¹esperienza finale assomigliava a quella di galleria, centro commerciale, moda, party e divertimento tutti confezionati in un unico caotico allestimento.
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Probabilmente quando si diceva che il progetto deve arrivare alla gente, quando si sosteneva che sicuramente il design si sarebbe trasformato nell¹arte popolare del XXI secolo, non si intendeva certo questo. Tuttavia a noi piace pensare che questi siano dei forti segnali, o più ancora, delle prove tecniche di interdisciplinarietà.
Esempio senza precedenti in tal senso a Milano è quello di Domus Circular: un evento organizzato in occasione del Salone del Mobile 2005 dalla rivista Domus, che ha trasformato lo stadio di San Siro in una piazza pubblica. Domus Circular è stata una notte intera di performance digitali, interventi, spettacoli, concerti, incontri, installazioni. Per l’evento hanno partecipato personaggi e gruppi del mondo dell’architettura, dell’arte, della musica e cultura digitale, tra i quali: Matthew Barney, Elisabetta Benassi e Carlos Casas (video-artists), Cao Fei, Giuseppe Ielasi, Natalie Djurberg, Jimmie Durham, l¹architetto utopico Yona Friedman, Alejandro Jodorowsky, Kinkaleri, il ben noto gruppo degli Ogi:noknauss, Thomas Köner, figura di spicco della musica elettronica internazionale, il musicista Arto Lindsay, Armin Linke, Marcello Maloberti, Pedro Reyes, Luca Vitone.
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Sono stati coinvolti anche la stessa Interaction Design Institute di Ivrea e il Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, Domus Academy, Naba-Nuova Accademia di Belle Arti Milano e l¹Università IUAV di Venezia. Lo Stadio Meazza, dicono quelli di Domus è diventato una “babele di eventi culturali vissuta in modo del tutto personale dalla moltitudine più improbabile che abbia mai messo piede in un¹arena sportiva. Al punto che il pubblico stesso, la folla che circolava senza sosta ai diversi livelli, lamentandosi a volte di non trovare le opere, è diventata parte dell¹installazione, da osservare e della quale fare parte”.
Ma allora, alla luce di tutto questo, cosa vorremmo vedere al prossimo appuntamento? Ben venga sicuramente il matrimonio sempre più stretto tra industrial design, multimedialità, architettura, affiancate e ispirate dall¹arte, la cultura digitale e la musica, purché sotto la bacchetta di sapienti direttori d¹orchestra. Il rischio, altrimenti, è che sarà sempre più difficile selezionare e far emergere pezzi d¹eccellenza, i quali sempre, per fortuna, ci sono.