Nel mondo di oggi viviamo nella seduzione costante di feed patinati fatti di coltelli che affettano saponette, gelatina, spugne e altri materiali malleabili, dita laccate che affondano in slime appiccicosi e piacevoli monologhi fatti picchiettando, grattando, e sussurrando da vicino sulla superficie di un microfono – tecnicamente il loro nome è ASMR, e fanno miracoli per addormentarsi – che forniscono al nostro cervello l’apporto quotidiano di sensazioni appaganti. Tutti questi fenomeni sono veicoli di un’estetica dei sensi che ci stimola mettendo costantemente alla prova le nostre capacità percettive e frustrando il nostro senso del tatto; ma alla fine dei conti, siamo sicuri di essere ancora in grado di distinguere ciò che è “reale” da ciò che è puramente digitale? A giudicare dal lavoro di Lucy Hardcastle, la risposta non è così scontata.
Lucy è una designer e artista interdisciplinare – anche se lei preferisce considerarsi più come un’artigiana digitale – di 26 anni che a Londra gestisce uno studio specializzato nella creazione di straordinarie e uniche esperienze visive utilizzando CGI, rendering digitale e soffiatura del vetro. L’assunto alla base delle sue opere sperimentali è che c’è ancora così tanto margine di sviluppo per la computer grafica che possiamo spingerci ben oltre la semplice riproposizione del mondo così com’è, per creare nuove soddisfacenti realtà multidimensionali. Portando gli osservatori a chiedersi costantemente cosa stanno guardando, bramosi di toccare e sentire ciò che sarà per sempre al di fuori della loro portata, Lucy Hardcastle mira a rendere le persone più consapevoli della tensione tra il mondo virtuale e quello fisico, e del momento in cui uno si converte nell’altro.
Tutto è cominciato nella sua cameretta, ricoperta di poster e giornali di moda, e in particolare con il fascino suscitato da quel particolare tipo di fantasie edonistiche insite nell’immaginario glamour. Più tardi, mentre stava studiando textile design al Chelsea College of Art & Design, ha iniziato a sperimentare con le tecniche di modellazione digitale come autodidadatta, e a produrre immagini renderizzate di texture con spiccate qualità tattili e forme tridimensionali iperrealistiche. In seguito, fedele alla sua indole da artigiana, si è cimentata con la creazione di oggetti reali simili ad immagini digitali, testando la capacità umana di raggiungere la perfezione attraverso il lavoro manuale. Uno degli esiti più sorprendenti di questa ricerca sono i Phygital Objects, alcune sculture in vetro realizzate su commissione che ingannano i sensi con il loro aspetto soffice ed etereo.
Più di recente, continuando a chiedersi come possiamo fare i conti con l’evanescente differenza tra il vero e il falso, Lucy ha collaborato con il fotografo Ryan Hopkinson per realizzare delle immagini che esplorano il movimento del vetro. Non troppo tempo dopo è stata contattata da Chanel per rappresentare il loro profumo in uno spazio di realtà virtuale globalmente accessibile. Il risultato è stato Intangible Matter, un viaggio digitale nelle componenti scientifiche ed emotive descostruite di Chanel N°5. Nel mentre Lucy ha continuato a creare anche oggetti veri e propri: uno dei suoi lavori più recenti è Qualia, una superficie curva interattiva che cerca di spingersi oltre i tradizionali limiti delle interfacce. In quest’opera il vetro abbandona il suo stato di materiale passivo per acquistare una capacità conduttiva. La sua superficie sensuale reagisce alla pressione della mano producendo disegni astratti autogenerativi che amplificano l’esperienza tattile degli utenti.
Federica Fontana: Hai iniziato a cimentarti con realtà virtuale, software di rendering 3D, CGI e Cinema 4D quando eri all’università: cosa ti ha portato dal design dei tessuti a sperimentare con queste tecnologie? Che potenziale hai visto?
Lucy Hardcastle: Ho capito che il mondo dell’artigianato e del design stavano andando incontro a una nuova rivoluzione digitale; l’industria tessile è intrisa di tradizione e mi sembrava che il mercato della stampa digitale in particolare si stesse perdendo tutte le nuove applicazioni. Il tessuto alla fine è diventato uno solo dei miei media, ma in quelle applicazioni ho intravisto il potenziale di cambiare il modo in cui vediamo il mondo digitale e la nostra percezione di quello reale.
Federica Fontana: Fin da quando eri studente hai collaborato con diverse aziende, soprattutto nel settore della moda e del lusso (Chanel, Levi’s,Uniqlo, Alexander Wang). Nella descrizione dell’opera Kairos sul tuo sito tu fai questa affermazione: “Il prodotto di lusso definitivo non è un oggetto ma un’aura.” E’ questo l’approccio che adotti con questi clienti? C’è qualche differenza tra l’approccio che hai con i grandi brand e quello che segui nelle tue creazioni artistiche?
Lucy Hardcastle: Io dico sempre che mi piacerebbe che mi venissero commissionati progetti che vertono sul creare un’emozione, un’atmosfera o una sensazione piuttosto che un’immagine specifica, anche se c’è una precisa estetica che attraversa il mio lavoro. Non considero per forza i clienti o le persone all’interno del mio processo creativo, ma mi concentro di più su ciò che le persone possono trarre da quello che creo, motivo per cui mi sono orientata sul design sperimentale e interattivo. Penso che la più grande differenza tra il mio approccio con i brand e i miei progetti personali sia la diversa considerazione del fine, dello scopo della sua esistenza e del messaggio che c’è dietro il prodotto finito.
Federica Fontana: Intangible Matter – l’opera che hai realizzato per Chaneln5 e il suo progetto Fifth Sense– è un’esperienza digitale interattiva, una specie di videogioco. Ci descriveresti questo progetto nei particolari?
Lucy Hardcastle: Intangible Matter è stata la mia prima esperienza con l’interaction design ed è uno dei miei progetti preferiti. L’obiettivo era mostrare la capacità dello storytelling digitale e della collaborazione tecnologica di rendere visibile l’invisibile. Mi è stato chiesto di dare una risposta personale al profumo all’interno di uno spazio digitale: io ho scelto di creare un’opera in cui le persone potessero costruire i propri ricordi e le proprie relazioni con la fragranza attraverso immagini responsive. Il sito del progetto è pensato per essere accessibile a livello globale, quindi ci siamo chiesti come realizzare un sito immersivo: per renderlo veloce e accessibile abbiamo usato il codice WebGL, che parla direttamente alla scheda grafica del dispositivo dell’utente, in modo da rendere l’esperienza desktop e mobile il più simili possibile.
L’aspetto davvero emozionante di questo lavoro è stato che il profumo è invisibile, non ci sono convenzioni per rappresentarlo, quindi è stata una sfida davvero interessante tentare di renderlo a livello visivo. Ogni area all’interno del sito interattivo ha lo scopo di rappresentare un processo fisico della fragranza e un concetto emotivo di scoperta di sé. La ricerca è stata divisa in modo tale che una parte del concept fosse basata sulla pratica e l’altra più sulla libertà artistica e sulla creazione di qualcosa di poetico. Visto che quello che avevamo in mente aveva una struttura simile, ci siamo anche presi del tempo per studiare le caratteristiche dei videogame di successo, i loro sistemi di premi e l’importanza giocata dal sound design. Amo il sound design che abbiamo sviluppato per ogni spazio, volevo creare una musica di sottofondo che si potesse ascoltare per ore, un sito web che si potesse usare come uno screensaver, non riesco ancora a togliermi quella melodia dalla testa.
Attraverso il design volevo dare all’utente un senso di appartenenza, dandogli la possibilità di scegliere un percorso, cosa che credo sia critica per l’interaction design. Approcciando il tutto da una prospettiva artistica, il mio obiettivo non era cercare di comunicare l’esperienza personale che avevo avuto io del profumo, ma piuttosto di proporre futuri modelli esperienziali. Inoltre, volevo costruire uno spazio digitale che l’utente potesse dotare di senso per arricchire la sua relazione con la realtà, del profumo, in questo caso, utilizzando texture e materiali digitali capaci di creare un viaggio sensoriale che potesse essere messo in relazione con ciò che già conosciamo del mondo reale.
Federica Fontana: Oltre alla sinestesia, il tuo lavoro mi fa sempre pensare ai filmati soddisfacenti che si trovano su Instagram o Youtube (slime, sabbia cinetica eccetera). Questo fenomeno ha qualcosa a che vedere con le tue ricerche, o in qualche modo le influenza?
Lucy Hardcastle: Ho studiato questo tipo di fenomeni nel mio lavoroe senza dubbio hanno un’influenza su di me, è fantastico anche vedere esponenti del mondo scientifico che si interessano e scrivono articoli su questo tema. Vedo davvero il modo in cui comunichiamo online con questi materiali tattili come il prodotto di una mancanza di tattilità nelle nostre vite; la domanda che dobbiamo farci è perché scegliamo di guardarli piuttosto che partecipare in prima persona. Io penso che questo sia certamente legato ad un senso di comfort digitale e al desiderio isolato di rinunciare al controllo sensoriale: c’è un motivo per cui preferiamo guardare che agire, come se temessimo di rompere la simulazione.
Federica Fontana: Diversi tuoi progetti si concentrano sul vetro, sia nella sua resa digitale che nella sua materialità. In che senso ti interessa questo materiale e che ruolo ha l’artigianato nel tuo lavoro?
Lucy Hardcastle: L’aspetto manuale è alla base della mia pratica, sia che io sia al computer o che abbia a che fare con la lavorazione del vetro, io considero la mia attività come quella di un artigiano digitale. C’è una precisa differenza tra l’ambito digitale, dove tutto è calcolato e controllato, e quello fisico della soffiatura del vetro, una sostanza che ha un che di organico, a volte liquido a volte solido; adoro la sua spontaneità, unita alla preparazione tecnica che richiede per essere lavorato. Entrambi i processi sono legati alla curiosità, al gioco e alla soddisfazione, che forse è anche il primo motivo per cui siamo attratti dagli schermi.
Federica Fontana: Considerando i tuoi lavori nel complesso è evidente che le tue opere si stanno evolvendo sempre più in direzione dell’interattività e dell’immersività. Che ruolo riveste il suono in questo processo?
Lucy Hardcastle: Il suono ha un ruolo enorme, se provi a pensare a cosa percepisce il corpo quando è immobile o a riposo, probabilmente sarebbe un misto di consapevolezza spaziale, vista, suono, olfatto e tatto. Quando si realizza un lavoro che deve essere fruito attraverso uno schermo, il suono diventa un elemento fondamentale per fornire uno stato di immersione. Nella vita reale non c’è mai una totale assenza di suono, anche quando il nostro cervello crede di essere in silenzio, quindi avere una base di riverbero costante permette subito di dare un tono all’ambiente che hai intenzione di creare, non deve essere per forza una canzone ballabile continua. Mi piace molto includere il sound design nei miei progetti, dai ronzii di sottofondo ai picchi sonori prodotti dagli oggetti e dalle loro interazioni.
Federica Fontana: A settembre hai tenuto un talk al Victoria & Albert per la London Design Week, in cui hai parlato di design sensoriale. Quale pensi che sarà il futuro delle interfacce? Qualia sta tracciando una nuova direzione in questo senso?
Lucy Hardcastle: Penso che in futuro le interfacce si andranno a sviluppare includendo più sensi e sfruttando la tecnologia per creare narrazioni pluristratificate, non solo in una sfera privata. Il tatto ovviamente è una parte enorme del mio lavoro, e io penso che c’è davvero tanto da imparare sulla nostra pelle, il nostro organo più esteso, che si comporta come un paesaggio recettivo. La pelle è così variegata nelle sue reazioni agli elementi naturali, all’ambiente circostante e agli aspetti psicologici, che è un vero e proprio barometro del benessere psicofisico. Qualia per me incarna il potenziale, se non di decentrarne l’importanza, quando meno di lavorare in parallelo con il senso della vista, non nel senso di limitarlo al tatto, ma in modo da fornire una molteplicità di sensi e stimoli.
Federica Fontana: Finora hai esposto il tuo lavoro solo in mostre collettive: Chelsea 10 Alumni Show nel 2015, la mostra What’s the Matter per la Milan Design Week 2016, una per la Anna Kultys gallery e per l’RCA grad show nel 2017. Hai qualche personale in programma prossimamente? Quale pensi che potrebbe essere l’allestimento migliore per presentare le tue opere?
Lucy Hardcastle: Non ho mostre personali in programma per il momento, ma mi piacerebbe creare delle opere fisiche nei prossimi anni che siano esplorative come intendo io, da realizzare per il puro piacere di farle. Immagino che nei prossimi anni lavorerò di più su progetti creati per spazi specifici, che in qualche modo possano essere immersivi. Mi piacerebbe anche approfondire il fatto che viviamo in un mondo dove la documentazione di un avvenimento sta diventando più importante dell’osservazione di un oggetto fisico, e anche questo è un tema che vorrei affrontare in una mostra. Di certo so che voglio creare delle opere che vadano oltre l’ambiente tradizionale di una galleria, ad esempio negli spazi pubblici o del commercio.