Puntuale come ogni settembre si è tenuta a Linz l’edizione 2007 di Ars Electronica, il festival austriaco dedicato all’arte digitale e dei nuovi media, che dal 1979 anno dopo anno cerca di tracciare le linee di contatto fra arte, tecnologia e società. L’evento continua sicuramente ad essere un appuntamento imperdibile, e un punto di riferimento saldo nel panorama della cultura digitale internazionale.

Il tema di quest’anno ha messo in risalto un aspetto della nostra contemporaneità che ci coinvolge in prima persona: la perdita della privacy. Nella nostra quotidianità rinunciamo alla privacy senza accorgercene, involontariamente, vivendo fra sistemi di sorveglianza e dispositivi di tecnologia mobile in grado di registrare molte delle nostre azioni, fisiche o virtuali; ma allo stesso tempo rinunciamo alla medesima privacy volontariamente, lasciandoci sedurre dai servizi del Web 2.0, che grazie allo sviluppo di speciali piattaforme, ci permettono di portare la nostra vita privata in pubblico.

Ars Electronica ha proposto quest’anno una riflessione riguardo al genere di cultura che deriva da questo fenomeno, e su quali conseguenze esso possa avere sul sociale; e con il titolo Goodbye privacy, ha invitato a ridefinire i significati di sfera privata e sfera pubblica, e a ritracciare il confine sempre più labile tra i due termini.

Il calendario del festival come ogni anno ha offerto un’ampia proposta di simposi, mostre, performance e interventi; anche se c’è stato qualche momento di disorientamento per il cambio di alcune location, dovuto a causa dell’inatteso maltempo nel caso di sedi all’aperto, e a causa di ristrutturazioni per quanto riguarda altri edifici che normalmente facevano da scenario ad Ars Electronica, Linz si sta infatti preparando in vista dell’anno 2009, nel quale sarà capitale europea della cultura.

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La Brucknerhaus, che nelle altre edizioni rappresentava il perno attorno al quale ruotava la massa del festival, non è stata quest’anno ne’ il luogo di ritrovo principale, ne’ la sede dei simposi, a causa dei lavori in corso; ma ha aperto le sue porte esclusivamente per il Gala e la serata dei concerti.

I curatori delle conferenze per quest’edizione, Armin Medosh e da Ina Zwerger, si sono dovuti accontentare di una sala della Kunstuniversität, che oltre ad avere una capienza limitata, per conformazione strutturale rendeva impossibile la visione dei grandi schermi a chiunque fosse oltre le prime file. Pur nella scomodità tuttavia, i simposi sono stati interessanti, una gamma molto ampia di oratori sono stati chiamati a confrontarsi sul tema della privacy: dai giuristi che parlavano riguardo ai diritti fondamentali nel mondo della comunicazione, agli attivisti che teorizzavano su come Internet possa essere utilizzata dalle multinazionali come uno strumento di controllo per favorire i propri interessi commerciali.

Ars Electronica si è inoltre avvicinata al suo tema attraverso un approccio ‘fisico’, suggerendo anche nelle strutture architettoniche la mescolanza di pubblico e privato; e per fare ciò ha amalgamato assieme spazi urbani e spazi dedicati al festival lungo tutta una strada del centro di Linz: Marienstraße.

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Marienstraße è una via stretta, pedonale, sulla quale si affacciano negozi per la maggior parte sfitti; la strada è normalmente poco frequentata, e per questo evoca un’atmosfera da ‘città virtuale’. Per tutta la durata di Ars Electronica questa via dimenticata è diventata il punto di riferimento per il pubblico del festival; e si è chiamata Second City , assumendo le sembianze di una delle tante strade che compongono la mappa virtuale di Second Life, con il progetto di allestimento del tedesco Aram Bartholl . L’intervento ‘scenografico’ di Bartholl prevedeva la replica di alcuni oggetti tratti dal metaverso di Second Life e il loro inserimento nella realtà della strada. Il tipo di oggetti andava dai classici cubi di legno che rappresentano uno dei solidi di base per la costruzione di oggetti 3D, all’installazione di pseudo-alberi composti da poligoni bidimensionali su cui era applicata una texture fotografica, al rivestimento delle vetrine con pannelli simili a quelli appesi negli esercizi commerciali virtuali per descrivere i prodotti in vendita. L’intera operazione è stata interessante, giocando pericolosamente sul confine fra critica e celebrazione del famoso mondo virtuale della Linden Lab.

Per quanto riguarda invece gli interni di Marienstraße, cioè i locali sfitti, essi erano adibiti a luoghi espositivi per installazioni e video, oppure a spazi per tavole rotonde e performance, o ancora a postazioni dedicate a workshop curati ancora da Bartholl, attinenti alla creazione nel mondo fisico di oggetti provenienti dal metaverso di Second Life.

Fra le performance in programma presso Second City, è stata molto seguita quella di Eva e Franco Mattes (a.k.a 0100101110101101.ORG), dal titolo Synthetic Performances. I due artisti hanno reinterpretato tramite i loro avatar, all’interno di uno spazio espositivo in Second Life, tre performance storiche: Shoot di Chris Burden, Seedbed di Vito Acconci, e Tapp und Tastkino di Valie Export. L’esibizione è stata ironica e paradossale, replicando nel mondo virtuale tre performance fortemente fisiche; per quanto sembri semplice è stata un’operazione coraggiosa. L’evento poteva essere seguito online in Second Life, o ad Ars Electronica su un grande schermo, con gli artisti in carne e ossa che manovravano gli avatar dai loro computer.

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Sempre in Marienstraße Silver e Hanne Rivrud hanno presentato il loro progetto Intrigue_E , che è una sorta di performance/gioco che si concentra sull’interazione sociale. Il lavoro consiste nell’inserire in un contesto pubblico ‘avatar umani’, cioè individui le cui azioni vengono controllate da altre persone. Attraverso i tasti di un cellulare customizzato l’utente impartisce ordini all’avatar, che confuso fra la gente riceve i comandi tramite degli auricolari e agisce di conseguenza. L’utente potrà quindi divertirsi a far interagire l’avatar con le altre persone ignare, talvolta facendogli compiere azioni improbabili in quel contesto, e osservare quindi le reazioni divertite o infastidite, di chi si trova ad aver a che fare con l’avatar umano. Intrigue_E è un progetto interessante, nel suo potere di innescare processi comportamentali imprevedibili.

Appena a pochi passi di distanza dall’atmosfera surreale di Second City, l’OK Kulturhaus, usuale location del festival, ha ospitato come di consueto la mostra con i lavori in concorso al Prix Ars Electronica, premio suddiviso in sei diverse categorie per le quali vengono assegnati altrettanti Golden Nica, due Award of Distinction e varie Honorary Mentions.

Fra i lavori esposti, Park View Hotel dell’indiano Ashok Sukumaran, ha vinto il Golden Nica nella sezione Interactive Art. Si tratta di un’installazione che utilizzando tecnologie programmabili per oggetti, unitamente a dispositivi provenienti dall’ambito militare, innesca una sorta di dialogo fra due architetture, e fa riflettere sul rapporto fra spazio pubblico e privato. Originariamente il progetto generava un’interazione tra i passanti della César Chavez Plaza a San Jose (California) e l’architettura dell’albergo adiacente; a Linz, in occasione di Ars Electronica, l’installazione è stata replicata adattandola alla location. All’interno dell’OK Centrum, un telescopio punta verso l’edificio di fronte che ospita gli uffici di un’agenzia, l’utente guardando attraverso il mirino ha la possibilità di puntare una finestra a scelta dell’agenzia, e premendo un pulsante mandare un impulso ottico (un raggio laser). Il segnale viene captato dall’ufficio selezionato, che ‘risponde’ accendendo o spegnendo le lampade all’interno dei locali.

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SymbioticA è invece il progetto vincitore nella categoria Hybrid Art, e consiste in un laboratorio artistico dedicato alla ricerca biologica, presso il dipartimento di scienze biologiche della Western Australia University. All’OK Centrum sono stati esposti alcuni lavori degli artisti residenti, che utilizzano tutti nell’ambito della loro ricerca gli strumenti del laboratorio.

Uno dei progetti esposti era The Slow Death of a Semi-Living Worry Doll G, di Oron Catts e Ionat Zurr . L’installazione, o forse sarebbe meglio dire la performance, consta di una piccola bambola ‘semi-vivente’, composta da tessuti sintetici e polimeri, inserita all’interno di un bioreattore. Man mano che il tempo passa, le cellule viventi che la costituiscono crescono e si degradano, e la Doll G si avvia verso una lenta e inesorabile morte. L’opera è una rielaborazione di un lavoro precedente, esposto ad Ars Electronica nel 2000, nel quale erano state create 7 sculture costituite da tessuti sintetici basandosi sulla leggenda delle bamboline del Guatemala, alle si dice vadano confidate le proprie ansie prima di addormentarsi augurandosi che i nostri crucci siano fugati. Sette anni più tardi i due artisti hanno ‘resuscitato’ la Doll G e l’hanno sacrificata, per esprimere la loro ansia riguardo il momento più problematico dell’esporre un pezzo d’arte semi-vivente, cioè quello della sua morte.

E ancora fra i vari progetti esposti, Personal cloaca di Wim Delvoye , è l’ultima di una serie di installazioni realizzate in dieci anni dall’artista. Questi lavori, che vanno tutti sotto il titolo di ‘Cloaca’, sono pezzi di arte ibrida, e consistono in dispositivi progettati in modo tale da duplicare il sistema digestivo umano, con il solo proposito di generare rifiuti fecali. La versione del 2007, esposta a Linz, consiste in una lavatrice contenente una specifica composizione biochimica e la flora batterica necessarie a replicare i vari stadi della digestione.

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Delvoye nel corso degli anni ha continuato a sviluppare il suo progetto, perfezionandolo nel tentativo di rafforzare la similitudine del suo output, con le feci vere. Fino ad oggi sono state prodotte sette diverse versioni di questo ‘generative artwork’ che pare riecheggiare Piero Manzoni.

Presso l’OK Centrum era inoltre possibile ascoltare alcune esecuzioni musicali prodotte all’interno del progetto Reverse-Simulation Music di Masahiro Miwa , che si è aggiudicato il Golden Nica nella categoria Digital Music. Il lavoro consiste in un sistema in grado di creare composizioni attraverso algoritmi autogenerati dal computer, che vengono poi fatte suonare a musicisti umani. Il consueto rapporto fra performer e macchina viene così rovesciato: con la sua opera, Miwa fa in modo che vengano prodotti nel mondo naturale, fenomeni basati su sistemi di condizioni e processi generati all’interno dello spazio virtuale del computer.

Usando questa metodologia Miwa ha fatto eseguire le composizioni create dal suo sistema a orchestre, performers singoli, cori, e suonatori di strumenti tradizionali giapponesi. Miwa si è esibito presso la Brucknerhaus con l’orchestra, durante la serata diArs Electronica dedicata ai concerti, dal titolo Perfect Strangers.

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Nella serata Perfect Strangers inoltre, mi ha molto colpita l’evento di chiusura Void , del gruppo austriaco Fuckhead . I quattro performer hanno messo in scena un’esibizione polimorfa, capace di evocare atmosfere a tratti orgiastiche e a tratti mistiche, fatte di luci stroboscopiche e di immagini digitali abbaglianti, in un crossover musicale che andava dalle sonorità hardcore alla musica sacra. È stato uno spettacolo totale, inquietante, ma a tratti anche ironico; un rituale in bilico fra il dionisiaco e l’apollineo. I Fuckhead dicono di operare sul subconscio con le loro esibizioni, e forse, nella con la loro ‘tribalità-tecnologica’, ci riescono veramente.

Fra gli eventi collaterali si è tenuta la consueta mostra Campus presso la Kunstuniversität , che espone durante ogni edizione i progetti artistici di una specifica scuola o università del mondo, e che quest’anno ha ospitato invece molte diverse entità di ricerca dagli Stati Uniti e dall’Europa, in qualche modo legate fra loro. Nelle varie proposte, è stata particolarmente interessante una sezione della mostra chiamata Sacral Design, con artisti provenienti dalla University of the Arts di Berlino, tutta dedicata al restyling in chiave contemporanea di alcuni oggetti sacrali. Per citarne uno , Ticker Cross di Markus Kison , consiste in un crocifisso dove il cartiglio contenente l’acronimo I.N.R.I. è stato sostituito da uno schermo a led, sul quale scorrono le quotazioni relative alle azioni in borsa del vaticano.

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Aggiungo solo che quest’anno con grande gioia ho visto un nome italiano fra le Honorary Mention di Ars Electronica, nella categoria Digital Communities: il progetto si chiama AHA (Activism-Hacking-Artivism), di Tatiana Bazzichelli . AHA dal 2001 connette tra loro realtà italiane ed estere, che si occupano principalmente di arte e attivismo tramite i nuovi media in forma indipendente; e si propone inoltre come piattaforma per la creazione e la promozione di eventi, mediante lo scambio di progetti e idee.

La Honorary Mention di Tatiana, è stata sicuramente la ciliegina sulla torta di un’edizione di Ars Electronica interessante, soprattutto dal punto di vista del networking.


www.aec.at/de/index.asp