NeMe Arts Centre - Limassol
10 / 03 / 2018 - 07 / 04 / 2018

Il Deep Web evoca le immagini di un mondo criminale parallelo, luogo delle economie sommerse e del commercio illecito che non può avvenire alla luce del sole. Questa immagine è comprensibile se si considera la cattiva pubblicità che i canali criptati hanno ottenuto nel corso degli anni.

Le notizie spesso riportano storie sensazionali di criminali informatici che in un vuoto virtuale legale all’interno del Darknet, traffico d’armi e tratta illecita di esseri umani, omicidi su commissione e spargimenti di sangue su siti web di contrabbando come Silk Road.

Fughe di dati, come i Panama Papers, hanno ulteriormente politicizzato questo web “invisibile”. Inoltre, il famoso documentario Deep Web (2015) ha aiutato a delineare un’immagine drammatica di queste zone impenetrabili di internet come se fossero un’insenatura illecita frequentata principalmente da fuorilegge, sfruttatori e pirati.

Spesso ci si riferisce ad internet attraverso metafore navali. Il web infatti, può essere considerato un mare navigabile attraverso i motori di ricerca. Ovviamente, le metafore spesso servono per comprendere qualcosa di poco familiare mettendolo a confronto con qualcosa di comune. Una delle metafore più diffuse nel Deep Web è l’iceberg.

La punta dell’iceberg, che emerge dalla superficie dell’acqua, rappresenta la superficie del web che contiene tutti i dati che possono essere “esplorati” da motori di ricerca come Google, Yahoo, Opera o Bing. Immergendosi al di sotto della superficie, si raggiungono le zone più profonde del Deep Web, che contengono un’enorme quantità di dati che non possono essere indicizzati da nessuno dei motori di ricerca più popolari.

La parte di questo iceberg metaforico che si trova sott’acqua rappresenta la conoscenza che le persone comuni hanno del Deep Web. Come sappiamo bene, il linguaggio visivo, i simboli e le metafore ci aiutano a descrivere, classificare e comprendere ciò che ci circonda, sono punti di riferimento per la nostra mente. Le immagini spesso sono molto più forti e influenti delle cose che rappresentano, basti pensare all’icona della nuvoletta o della busta e del cestino nella vostra email.

Le immagini sono fondamentali nella formazione e nella produzione di significati. Di conseguenza, l’immagine dell’iceberg dà una forma alla superficie del web e condiziona il modo in cui il Deep Web viene concepito. Per molti, il Deep Web sembra inaccessibile ai comuni utenti di internet – un club riservato ad esperti smanettoni, hacker e individui sospetti.

Vi è mai capitato di mandare una mail con webmail? Avete mai pagato la vostra quota di una cena ad un amico tramite l’online banking? Guardato film su Netflix? Letto un articolo su un sito protetto da una password? Molti di noi usano il Deep Web regolarmente senza saperlo. Come si possono comprendere le strutture che rendono possibile tutte queste azioni quotidiane? Quali interpretazioni visive fanno luce sull’acqua alta per rivelare un’immagine più sfumata di quella dell’iceberg?

Questa mostra ci fa immergere nelle parti meno conosciute del web per far riaffiorare un tesoro di immaginari e metafore. Decodificherà il “profondo”, si farà strada attraverso le sue porte antipanico apparentemente sprangate, esplorerà i corridoi, farà entrare la luce e  uscire l’aria viziata. Questa mostra è il risultato di una call aperta ad artisti, designer e visionari che stanno realizzando nuove immagini del Deep Web.

Patricia de Vries è responsabile di progetto presso l’Institute of Network Cultures, e si occupa del coordinamento dei progetti di ricerca attuali. Patricia ha una formazione accademica in Media Studies (BA), Cultural Analysis (MA) e Liberal Studies (MA). Nel corso degli anni, lavorando a stretto contatto con istituzioni mediatiche, culturali e di ricerca, assumendo ruoli diversi, ha maturato numerose esperienze lavorative nel campo della ricerca, dell’editing e della gestione di progetti ed eventi.

Tra le altre cose, ha lavorato come regista presso lo Studio K, come editor della rivista d’arte Simulacrum e come assistente marketing e PR presso la Boom Publishing House. Dal 2010 al 2012 ha vissuto a New York dove ha lavorato come ricercatrice e addetta alla comunicazione presso l’istituto di ricerca World Policy Institute, e come assistente del professor James Miller alla The New School for Social Research.

Gli artisti in mostra sono: Jonas Althaus, Jeanine van Berkel, Anna Bleakley, Camilo Cezar, Félicien Goguey, Arantxa Gonlag, Juhee Hahm, Abdelrahman Hassan, Kimberley ter Heerdt, Jake Henderson, Julia Janssen, Nikki Loef, Melani de Luca, Gianluca Monaco, Julia la Porte, Roos du Pree, Renée Ridgway, Yinan Song, Carlo ter Woord, Amy Wu.

Riflettendo sull’impatto di queste tecnologie su identità e cittadinanza, lavoro digitale e finanza, al progetto State Machines: Art, Work and Identity in an Age of Planetary-Scale Computation partecipano cinque partner storici: Aksioma (SI), Drugo More (HR), Furtherfield (UK), Institute of Network Cultures (NL) e NeMe (CY), insieme a un gruppo di artisti, curatori, teorici e uditori.

State Machines si concentra sulla necessità di nuove forme d’espressione e nuove pratiche artistiche per affrontare i problemi più urgenti del nostro tempo e cerca di educare e dare la possibilità ai soggetti digitali di oggi di diventare i cittadini digitali attivi, impegnati ed efficienti di domani.


http://www.neme.org/nac/

http://www.statemachines.eu/