Tabita Rezaire è un’artista, guaritrice e insegnante di Kemetic yoga e Kundalini yoga che vive a Cayenne, nella Guyana francese. Di recente, ho avuto l’opportunità di parlare con Tabita delle sue pratiche trasversali, di togetherness, healing, del senso profondo di connessione e della sua visione della vita, dell’arte e delle tecnologie digitali in relazione al momento storico che stiamo vivendo.
Anna Gorchakovskaya: L’incredibile varietà di idee, teorie e pratiche che danno forma alla tua ricerca artistica è quello che risalta quando uno vede i tuoi lavori per la prima volta. Ti interessano le cosmologie africane, l’ecologia, le tecnologie digitali, le pratiche spirituali; esplori la storia e ridetermini il significato dei fenomeni; combini stili, media, elementi di high e low culture. Con le tue opere crei spazi, interi nuovi mondi e immaginari sia online che in luoghi fisici. Potresti parlarci un po’ delle idee, pensieri, approcci e persone che sono stati fondamentali per lo sviluppo della tua pratica artistica?
Tabita Rezaire: Sono una cercatrice, in costante ricerca.
Alla ricerca di giustizia
Il mio lavoro è nato come un modo per esaminare il peso delle ingiustizie sociali nella macro e microsfera. Perché è così doloroso essere vivi?
Trauma. Trauma storico. Trauma generazionale. Trauma ambientale. I miei genitori sono terapisti, quindi sono cresciuta sentendo questo termine, ma è stato importantissimo capire che è un aspetto centrale della socializzazione collettiva. Siamo fedeli al nostro dolore ancestrale, lo riproduciamo per riviverlo. Poiché siamo intrecciati con il passato, abbiamo bisogno di riconoscere la dimensione ancestrale per fare un lavoro di giustizia sociale. Giustizia sociale è una pratica spirituale.
Alla ricerca di guarigione (healing)
Il senso di separazione dall’altro, dalle nostre discendenze, storie, ambienti e da noi stessi è una ragione fondamentale per la quale generiamo ingiustizia. Come possiamo raggiungere la connessione? Attraverso la guarigione. Ci sono modi infiniti di percepirla, ma la comprensione delle vibrazioni (scientificamente e spiritualmente) è stata centrale nel mio percorso di guarigione. La vibrazione è laddove ci uniamo. Dove siamo tutti uguali. Energia pura. Un insieme di onde (o particelle) che si propaga in ogni direzione, esprimendosi in ondulazioni e forme infinite. Ecco chi e che cosa siamo noi. Tutte e tutti noi. Modificando la forma e la frequenza di queste vibrazioni che costituiscono il nostro mondo, possiamo influenzarlo direttamente. Parte da noi, la guarigione per la trasformazione sociale.
Ricerca della comunità
Come superare la forza di attrazione tra le polarità: io contro il mondo.
Nella comunità c’è il potenziale per una forma di comunione. Anche in una comunità di due persone; per questo motivo si è alla ricerca di amicizie o relazioni romantiche, perché tutt* noi desideriamo fortemente l’appartenenza a qualcosa più grande di noi. Eppure, le comunità spesso sono un luogo di molti drammi.
Perché non c’è comunione all’interno delle comunità? Me lo chiedo tuttora.
E della comunione con la terra? Con i nostri antenati? Con tutte le forme di vita, dai minerali alle piante, e le forze elementali quali acqua, fuoco, e aria… Desidero espandere i miei confini e la mia capacità di comprendere tutto all’interno della comunità.
From me, to we, to Thee.
Ricerca dell’esperienza di unione
Fondamentalmente questo è tutto ciò a cui dedico il mio lavoro, la mia vita, me stessa.
Anna Gorchakovskaya: L’autorappresentazione è uno strumento molto potente quando si tratta dell’esplorazione dell’identità, la libertà e l’energia. Sarebbe corretto affermare che la rappresentazione di sé, la creazione di molteplici forme del sé, è una parte importante del tuo processo?
Tabita Rezaire: Non proprio, anche se capisco che qualcuno possa supporlo osservando il mio lavoro. Non mi interessa molto la rappresentazione, benché io comprenda quanto possa essere significativa e importante. Attraverso il mio lavoro sono andata alla ricerca della persona che sono. Dove inizia e finisce l’”io”? Questa ricerca mi ha portata a compiere un viaggio attraverso le politiche dell’identità dove fosse davvero importante recuperare queste parti di me stessa al di là della vergogna e del condizionamento. Eppure, in qualche modo più mi connettevo e condividevo queste identità più mi allontanavo da chi non le condivideva. Per una persona che cerca connessione questo genera tensioni. Contemporaneamente ero impegnata in processi spirituali in cui compresi (e conobbi) me stessa al di là del mio corpo fisico. Se non sono il mio corpo, allora perché mi identifico così tanto con esso? Politicamente e socialmente parlando è importante, ma spiritualmente ed esistenzialmente la mia realtà è molto più vasta di tutte le realtà finite. Alla fine, ho capito di essere un’espressione dell’informe attraverso la forma, dove quest’ultima è solo uno strumento per sperimentare l’informe.
Quindi, per risponderti, non ho mai costruito per me dei sé multipli, ma ho accolto tutte le parti di me stessa per poi dissolverle e lasciare che il mio Io risplendesse. È un processo ancora in corso.
Anna Gorchakovskaya: La (dis)connessione è una questione ricorrente in molti dei tuoi lavori. Al momento ci troviamo in una situazione di iperconnessione, almeno da un certo punto di vista. Le vite di molte persone sono legate in modo inestricabile alla dimensione online, una situazione che ci dà un senso di connessione, ma che rischia di causare una sorta di bulimia digitale. Una volta, in una delle tue interviste, hai detto: “Internet ci fa sentire una merda”. Come ti fa sentire la situazione attuale? Influenza la tua pratica? Quali sono per te i modi possibili per ridefinire i nostri modi di vivere (dis)connessi?
Tabita Rezaire: Ahahah. Mi sento ancora così, anche se probabilmente questo periodo sarebbe stato ancora più difficile senza internet. Sono molto grata per questa tecnologia, per il potenziale che possiede nel costruire e sostenere comunità, ma al tempo stesso vedo il pericolo e le ineguaglianze che crea. In tempi di distanziamento sociale, l’alta velocità, internet illimitato, l’alfabetizzazione digitale e l’accesso ai dispositivi diventano crescenti fattori di esclusione. In questo senso sono molto privilegiata, lavoravo già da casa e online, quindi non è stato difficile adattarsi. Eppure, tutti oggi ne vediamo i limiti; non possiamo crescere tramite le videochiamate su Zoom. Per sentire una connessione profonda, abbiamo bisogno di intimità. Per costruire intimità, abbiamo bisogno di vulnerabilità. Il coraggio di essere vulnerabili richiede sicurezza. L’unico modo per essere autentici è sentirsi al sicuro. Ti senti al sicuro online? Io no.
Anna Gorchakovskaya: Mi sembra che la decolonizzazione di ogni possibile area dell’attività umana sia al centro delle tue opere. È una sorta di lente che potrebbe aiutarci a “disimparare” (unlearn) il mondo. Parli spesso di decolonizzazione della comunicazione e della tecnologia? Cosa significa per lei? Come la realizzi nella sua pratica artistica?
Tabita Rezaire: Non penso di realizzare niente; la mia pratica artistica è semplicemente un riflesso dei miei processi interiori e della mia crescita. È anche un “pretesto” per la ricerca. Il percorso per disimparare è infinito; possiamo sempre perfezionare la nostra consapevolezza e rimuovere diversi strati di condizionamento. Più diventiamo consapevoli, più abbiamo accesso agli schemi che ci limitano.
Lo strumento
In che modo ci colleghiamo? Decolonizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), ha significato per me, prima di tutto, capire gli strumenti e le reti che usiamo e il modo in cui sono impigliati in violenti sistemi ecologici, politici e sociali di estrazione di dati e sfruttamento. In secondo luogo, prendere coscienza dell’allarmante impatto sul benessere fisico, psicologico ed emotivo collettivo. Infine, riconoscere la nostra complicità e cercare delle alternative. Ci sono altri strumenti! E così sono arrivata alle tecnologie spirituali, attingendo a reti ancestrali o di impianto. Magari non abbiamo neanche bisogno di uno strumento, come accade nella telepatia. Lo strumento da solo non determina la qualità della nostra connessione; dobbiamo sviluppare la sensibilità per approfondire la nostra capacità di arrivare.
Lo scopo
Perché ci colleghiamo? Per trollarci e odiarci a vicenda sui social media? Questo ne vale tutte le estrazioni di dati e lo sfruttamento? La qualità delle nostre relazioni è fondamentale per le nostre vite. Le relazioni umane sono importanti, ma il nostro rapporto con la terra, il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, gli uteri con cui partoriamo, gli antenati da cui proveniamo, sono altrettanto importanti per il nostro benessere. Il modello coloniale e le gerarchie che abbiamo ereditato e ancora oggi governano i nostri sistemi di valori, pongono la vita umana (non tutti gli esseri umani) al centro dell’esistenza. Però in questo universo ognuno di noi è insignificante, una forma di vita tra miliardi, tutte co-dipendenti l’una dall’altra. Come Audre Lorde ha espresso meravigliosamente: “Nessuno può essere libero finché non sono liberi tutti”. Non so se questa frase si riferisse anche a fiori, rocce, insetti, parassiti, ruscelli, pianeti e meteoriti, ma tutte le forme di vita meritano la stessa riverenza. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, e cresciamo insieme.
L’approccio
Uno dei cambiamenti più influenti nel mio viaggio verso la decolonizzazione delle TIC è stato quello di passare dal connettersi con al connettersi poiché: accogliere la terra poiché io stessa sono un pezzo di terra, ringraziare l’acqua poiché il mio corpo è fatto di acqua, onorare i miei antenati poiché anche io sarò un antenato in futuro, praticare la compassione per gli altri poiché è come se fossero una parte di me stessa. Vedere me stessa in tutto e vedere tutto dentro di me. Collegarmi con l’esterno per raggiungere la profondità e la larghezza del mio essere.
Connettersi senza l’illusione della separazione. È qualcosa di così profondo e difficile.
Anna Gorchakovskaya: Molti dei tuoi progetti, come SENEB, sono dedicati alla pratica della guarigione. Secondo te, la guarigione può aiutarci a andare verso togetherness e il vero senso di connessione?
Tabita Rezaire: Assolutamente sì. È l’unico modo. È anche un processo graduale. Non è che all’improvviso uno è guarito e può avere le relazioni significative! In ogni fase della nostra crescita, dalla più densa alla più delicata, viviamo momenti di connessione profonda! Peccato che in genere non dura! Questo schema ricorre nelle dinamiche sia intime, sia globali della nostra vita. Ciò che è cominciato come comunità, solidarietà o amore diventa amaro e lascia spazio a tradimento, sofferenza, guerra e rancore nocivo. Il gioco infinito della vita ci è familiare. Questo succede perché molti di noi sono trascinati ossessivamente verso la paura, la sfiducia e l’avidità, che alimentano il nostro stato di vulnerabilità personale e collettiva (attualmente responsabile di una società che appoggia la sottomissione, l’oppressione e lo sfruttamento). Le nostre ferite creano dei muri intorno a noi per cercare di proteggerci dall’essere colpiti di nuovo, ma questo disabilita la capacità di connetterci veramente e profondamente perché abbiamo paura di essere visti, di mostrarci completamente. Allora ci nascondiamo, alcuni neanche lo sanno che si stanno nascondendo. Scappiamo continuamente dal nostro vero io. A partire da quei luoghi possiamo vivere solo legami superficiali, di conseguenza ci sentiamo ancora più soli e indegni. Dato che si tratta di un sentimento troppo doloroso, diventiamo arrabbiati col mondo e creiamo più muri. Da questi luoghi, come facciamo a costruire un senso di vera unione (togetherness)?
Il percorso di guarigione si basa sul separare il nostro io e il nostro io ferito, senza confonderli. Quando creiamo una connessione a partire dal nostro io ferito, siamo destinati a fare del male l’uno all’altro perché la nostra capacità di provare compassione è confinata lì. L’intero percorso spirituale mira a rimuovere i muri che ci separano l’uno dall’altro, la terra e l’universo e a fonderci con tutto ciò che è. Questa è la guarigione definitiva, cioè l’unione.
Anna Gorchakovskaya: Spesso, ma non necessariamente, i lavori che esplorano le tecnologie come realtà si focalizzano sugli aspetti critici del “qui e ora”. Usando il titolo di un libro di Halberstam, credi di essere più interessata a esaminare “l’allora e il là di queer futurity”?
Tabita Rezaire: Non conosco questa citazione, quindi non lo so.
Dico solo che l’allora e il là sono sempre accessibili nel qui e nell’ora. Esiste solo questo momento. All’interno di ogni singolo istante giace una porta per l’intero tempo-spazio.