Radiant Matter è la prima collettiva del duo Marjolijn Dijkman e Maarten Vanden Eynde. La mostra riunisce oggetti, sculture, video e foto che esplorano la complessa relazione tra l’impatto dell’uomo sull’ambiente e quello dell’ambiente sull’essere umano. Gli isotopi radioattivi, in quanto resti dell’era nucleare, molto probabilmente segneranno il passaggio dall’Olocene all’Antropocene (l’epoca in cui la specie umana è diventata la forza più importante dietro le trasformazioni della terra stessa).
L’Antropocene ci costringe a pensare su scale di tempo e spazio enormi, che vanno oltre l’esperienza umana. In quest’epoca dobbiamo fare i conti con il fatto che processi e fenomeni naturali impensabili come le emissioni di CO2 e i vulcani hanno influenzato a più livelli la nostra vita quotidiana.
In Radiant Matter sono in mostra opere in cui l’enormità e la distanza – emissioni radioattive, CO2, asteroidi, meteoriti – sono messe in relazione con la dimensione intima e individuale sotto forma di resti e di scarti. Le opere trasmettono una realtà condivisa da una prospettiva molto personale.
La pubblicazione “Radiant Matter” di Marjolijn Dijkman raggruppa una serie di opere recenti accomunate dal loro intento di analizzare e riflettere sulla natura dell’indagine scientifica e sul ruolo della speculazione, della finzione e dello spiritualismo. Il tema centrale di ognuna si sviluppa attorno alla perenne attrazione del genere umano per l’esplorazione dello spazio cosmico, per la posizione del nostro pianeta e per la soggettività umana in relazione ai corpi celesti.
Oltre all’opera Radiant Matter, una composizione di immagini della stessa Dijkman, e ad una conversazione tra l’artista e l’editore Kriss Ditter, il testo, ampiamente illustrato, include interventi di Ken Hollings, Maarten Venden Eynden e Rags Media Collective che contestualizzano e rendono ulteriormente chiaro il suo lavoro e le tematiche da lei affrontate. Il progetto grafico è di Salome Schmuki e il libro è edito da Onomatopee.
Marjolijn Dijkman realizza opere che analizzano le basi del nostro modo di percepire ed esperire l’ambiente circostante – le norme che sottostanno alla comprensione del mondo intorno a noi e la determinazione dell’essere umano nell’interagire ed interferire con esso. Nutrito da ricerche e collaborazioni, il suo metodo di lavoro si intreccia con le credenze popolari studiandole in relazione al pubblico dominio e al bene comune.
Negli ultimi dieci anni i suoi progetti si sono concentrati su temi come l’urbanistica, la distribuzione e l’organizzazione della conoscenza, i musei di storia sociale, la scienza o l’immaginario collettivo. La sua attività si muove tra scienza e cultura e può essere vista come una sorta di narrazione scientifica, in parte basata su fatti e ricerche ma spesso trasferita nel regno dell’invenzione, dell’astrazione e dell’ipotesi.
Parte integrante dello sviluppo e della presentazione dei suoi lavori spesso sono discussioni relative alle tematiche e ai campi coinvolti. Spaziando tra archivi fotografici, film, interventi sul paesaggio, opere scultoree e progetti partecipativi, la sua attività si occupa tra le altre cose di futurologia, storia, museologia, antropologia, geografia umana ed ecologia.
Mentre alcune opere sono sviluppate in relazione ad un determinato contesto, altri progetti recenti sono ancora in corso con diversi risultati. Data l’entità e l’approccio interdisciplinare di molte delle opere, spesso è necessaria una forma di assistenza o cooperazione per la loro realizzazione.
Da oltre dieci anni Maarten Vanden Eynde studia l’attuale strato geologico che lasceremo alle generazioni future. La sua principale area di interesse è L’Antropocene, un nuovo termine che sta ad indicare il periodo geologico che ha avuto inizio quando le attività umane hanno cominciato ad avere un significativo impatto globale sull’ecosistema terrestre.
L’esecuzione o la forma finale, così come il luogo di produzione e presentazione dipendono fortemente dal concetto e dal contesto. Le sue opere si relazionano con diversi campi di studio, contesti sociali e prospettive antropologiche, spaziando dalla biologia marina alla cosmologia, dalla foresta congolese allo stand di una fiera d’arte.
La sua attività si inserisce in progetti di ricerca a lungo termine che gli permettono di focalizzarsi su un argomento specifico per molti anni e dare vita a molte opere e opportunità di esposizione. Dal 2003 al 2014 ha studiato il concetto di Genetologia (La Scienza delle Prime Cose) cercando di definire questo termine inventato in opposizione a quello esistente di Escatologia (La Scienza delle Ultime Cose). La principale area di ricerca della Genetologia è la nostra passione per il tempo e per le sue conseguenze: “come vedremo il passato nel futuro?”.
Dal 2008 al 2015 Vanden Eynde ha lavorato al progetto di una scultura intitolata Plastic Reef, un’istallazione in espansione di detriti di plastica fusi provenienti dagli oceani, che ha per oggetto da un lato uno dei più urgenti problemi di inquinamento per l’umanità, dall’altro l’estinzione delle barriere coralline di tutto il mondo.
Attualmente Vanden Eynde sta indagando su come il commercio transatlantico di materiali di importanza cruciale come gomma, olio, avorio, rame, cotone e uranio stia influenzando l’evoluzione della specie umana, la nascita di nazioni e di altre strutture di potere globali. Il progetto Triangular Trade ricostruisce l’origine dei vari materiali e segue il loro cammino evolutivo e rivoluzionario, man mano che vengono lavorati e trasformati in “miracoli che possono cambiare il mondo”.
Marjolijn Dijkman e Maarten Vanden Eynde vivono e lavorano a Bruxelles in Belgio e sono gli organizzatori dell’iniziativa artistica Enough Room for Space dal 2005.