In questa epoca contemporanea, l’impatto della tecnologia e della ricerca scientifica sulle nostre vite è ormai evidente e inequivocabile. Gli effetti di tutto ciò si preannunciano importanti nel prossimo futuro, in senso positivo e negativo: la diffusione di device sempre più sostituibili (protesi), indossabili (wearables) e ingeribili (ingestibles), ricerche quanto mai approfondite nel campo delle intelligenze artificiali (IA) e delle neuroscienze, le prospettive ricombinanti offerte delle biotecnologie e della genetica, porteranno da un lato a migliorare la qualità delle nostre esistenze e dei relativi servizi di cura, dall’altro però alla diffusione di corpi gradualmente sempre controllati e monitorati secondo le più innovative pratiche di monitoraggio biometrico (biosensing), riconoscimento biologico (photofitting) e computazione avanzata (body detection).

Questi processi culturali, sociali e politici, di cui stiamo vedendo la nascita in questi anni, lasciano immaginare uno scenario futuro in cui gli esseri umani saranno a contatto sempre più ravvicinato con tecnologie che condizioneranno le nostre vite in forme ancora non del tutto ipotizzabili e che attiveranno nuove modalità di relazione con il contesto circostante, inteso come “ambiente” naturale ma anche tecnologico e relazionale. Questi “nuovi corpi” saranno sempre più codificati e mappati, “aumentati” nelle loro capacità fisiche e relazionali, in grado di “sviluppare” nuovi codici espressivi e identitari che il mondo dell’arte e del design, sondano con crescente interesse.

La presenza delle tecnologie nelle nostre vite e sull’essere umano in generale è uno dei grandi temi di riflessione dell’arte e del design per lo meno sin dalla Prima Rivoluzione Industriale. Tra la fine del Novecento e i primi vent’anni del nuovo Millennio, una crescente consapevolezza ha caratterizzato il lavoro e la pratica di moltissimi artisti e designer a livello internazionale, i più recenti dei quali ho avuto la fortuna di vedere nascere e monitorare grazie all’esperienza del progetto Digicult da me fondato e diretto (da cui è nato il mio libro più recente “Intervista con la New Media Art. L’osservatorio Digicult tra arte, design e cultura digitale”) e analizzare criticamente per mezzo di saggi, interviste, mostre, ricerche, workshop, seminari e corsi. Da un lato, che la ricerca scientifica corre parallela allo sviluppo tecnologico, dipingendo uno scenario ibrido impossibile ormai da ignorare (racconto l’estrema complessità e stratificazione delle esperienze dei media lab, dei community lab e il loro impatto nell’ambito creativo e produttivo della New Media Art nel mio primo libro “Arte, tecnologia e scienza. Le Art Industries e i nuovi paradigmi di produzione nella New Media Art contemporanea”).

Dall’altro, che le grandi tematiche sul rapporto tra essere umano e contesto, sul ruolo dei nostri corpi nel rapporto con ciò che ci circonda, sta diventando sempre più importante e sentito da una comunità ampia di artisti, progettisti, teorici e filosofi. Soprattutto negli ultimi dieci anni, il concetto stesso di futuro è radicalmente cambiato, vissuto non più come immaginario fantascientifico sostanzialmente irreale se non in un’epoca “altra”, quanto come un elemento temporale semplicemente “al di là” del presente contemporaneo. Il futuro è fatto di tecnologie che sono già qui, che già utilizziamo, che diventeranno sì più efficaci da un punto di vista strettamente funzionale, ma che avvicineranno e penetreranno in modo sempre più profondo i nostri corpi, influenzando, in modo forse definitivo il nostro essere e la nostra stessa natura.

Prendendo quindi le distanze dalle teorie transumane, superando al contempo alcune limitazioni del pensiero postumano e osservando le esperienze artistiche delle avanguardie del secolo scorso (Dada e Futurismo su tutti, ma anche certa body art e performance, nonché le visioni dell’arte postumana e della prima bioarte), così come le indagini formali nel campo del Embodied, dell’HCI ma anche del Medical Design, il pensiero critico più illuminato e aperto alle contaminazioni a livello disciplinare (basato sulle esperienze del Bauhaus e sulle trasposizioni più recenti delle visioni dell’entanglement quantistico al rapporto natura-cultura) ipotizza come proprio l’arte e il design contemporaneo siano i contesti al punto di intersezione dei quali si osserva come tecnologia e scienza stiano avendo un impatto crescente sul soma, modellando un tipo di essere umano tecnologicamente “espanso”, in grado di aprire nuove modalità di dialogo con il contesto che lo circonda. Heather Dewey-Hagborg, Sputniko!, Marco Donnarumma, Margherita Pevere, Anouk Wipprecht, Neil Harbisson, Lucy McRae, ma anche Pleun Van Dijk, Esmay Wageman, Lee Blalock, Natsai Audrey Chieza, Ana Rajcevic, Jun Kamei, Jake Elwes, Zach Blas, Jalila Essaïdi tra gli altri, operano per colmare la distanza ancora troppo ampia (per lo meno nel mondo occidentale) tra questi due ambiti disciplinari, lavorando alla produzione di oggetti ed esperienze che indagano linguaggi, processi, estetiche e modalità di dialogo tra i nuovi corpi e la biosfera, gli oggetti e le specie con le quali attiviamo nuove strategie di relazione. In un’epoca a suo modo storica e drammatica come quella che stiamo vivendo, testimone di un’umanità incapace di disegnare nuovi paradigmi di dialogo con la natura e gli altri organismi (anche artificiali) viventi, tesa altresì a una crescente comprensione dell’espansione della propria corporeità nel rapporto con una dimensione ontologica di ambiente, è forse tempo di rallentare e iniziare a esplorare nuovi confini fatti di eccitanti e ignote prossimità. Ciò che nei prossimi anni costituirà uno dei territori di indagine più fertili nel campo della New Media Art, sarà sicuramente legato all’espressione di poetiche, estetiche, narrazioni e pratiche che porranno questo grande tema al centro della loro ricerca.

Ci si aspetta che i contesti espressivi, culturali e produttivi di questa grande disciplina che sembra a tratti stanca e ormai assorbita dai mercati, spesso orfana di quell’entusiasmo e varietà di esperienze che ne ha caratterizzato i primi decenni di vita, a tratti ancora incerta e stranamente assente nei confronti dei grandi temi del contemporaneo tecno-scientifico, possano avviare un percorso in cui si attivino processi sempre più partecipativi tra laboratori, istituzioni, media e citizen lab, ma anche tra creativi e filosofi, ingegneri e scienziati, negli studi sul rapporto corpo-contesto. Che si verifichi in altre parole quell’auspicato trasferimento dalle esperienze open, hacker, maker, DIY e free che si sono viste negli ultimi vent’anni in ambito culturale e creativo, agli ambiti scientifici e biotecnologici, in un quadro però cambiato e maggiormente consapevole delle grandi istanze dell’essere umano del nuovo millennio: dall’autodererminazione dei corpi alla libera espressione identitaria, dall’estetica dei corpi fluidi alle visioni della collettività transgender, dalle istanze dell’etica queer a quelle della filosofia cyborg. Se state pensando che il quadro sia troppo complesso, non vi preoccupate, lo penso anche io, o per lo meno lo pensavo: e infatti ci ho fatto un una ricerca di dottorato, che completerò a inizio 2022. Lo spazio di questo breve articolo non consente ulteriori approfondimenti, ma sapete dove trovarmi se voleste parlarne ancora. In fondo, è una questione di responsabilità, personale e collettiva…