Kensuke Koike è un artista visivo giapponese che vive e lavora a Venezia. Le sue opere sono state esposte, tra le altre istituzioni, alla Lisbon Architecture Triennale, all’Asama International Photo Festival di Miyota, al Format Festival di Derby, al Design Museum di Londra, al Ginza Sony Park di Tokyo e alla Guangzhou Image Triennial.

Nel definire il lavoro di Koike è impossibile prescindere dalla descrizione del suo punto di partenza creativo: immagini trovate, fotografie in particolare, provenienti da diversi contesti e organizzate in un archivio personale di decine di migliaia di immagini, spesso appartenenti ad un tempo passato.

Quale può essere il ruolo delle fotografie abbandonate, che dopo un certo tempo cessano di rispettare il loro intento originario, sia esso il ricordare l’aspetto di qualcuno, il pubblicizzare qualcosa o semplicemente una sperimentazione amatoriale di qualche sconosciuto?

È in questo momento che Koike, con la serie Single Image Processing (2013-presente), entra in gioco nel recuperare tali immagini trascurate, di persone senza nome e di luoghi e oggetti senza tempo e, tramite una manipolazione calibrata e misurata trasforma – come lui ama definire – in senso alchemico, la materia di cui dispone per creare qualcosa di nuovo.

L’artista in questo caso non si occupa della creazione di nuove memorie per il futuro, come può fare un fotografo contemporaneo che produce immagini originali, ma recupera nel passato degli elementi che hanno cessato il loro ruolo e tramite il suo intervento ne iniziano un altro.

Le tipologie di trasformazione delle sue fotografie sono diverse. Troviamo talvolta un’operazione di scomposizione tramite taglio e ricomposizione successiva degli stessi elementi, come in Sorry About Your Face (2009) e Absence Makes The Heart Grow Fonder (2010) in cui Koike recupera da un fotografo stampe mai ritirate dai proprietari a patto, per ragioni di privacy, di rendere i volti irriconoscibili.

Altre volte, invece, abbiamo un’estrazione di tipo geometrico di alcune parti della fotografia, come nel caso della rimozione di punti circolari nel lavoro Mr Dot and his Master (2017) o Out of Sight Out of Mind (2016) che vengono poi riuniti in una nuova composizione per formare un nuovo volto, oppure una gestualità più impulsiva e meno basata sulla precisione quasi chirurgica tipica del suo lavoro in Chamber of Awakening (2016) o Patrol (2013) in cui troviamo un vero e proprio strappo.

In ogni caso, le fotografie di Koike “pungono” in senso barthesiano perché producono nello spettatore due sensazione simultanee, stranianti e allo stesso tempo armoniche generate la prima dallo shock iniziale della vista di un’immagine distorta e caratterizzata da un aspetto a cui non siamo abituati, la seconda dall’equilibrio, dalla proporzione, dalla calibratura misurata e dal ritmo che i suoi interventi conferiscono alla nuova immagine.

Teresa Ruffino: Come ti sei avvicinato al mondo della fotografia e dell’arte e come mai hai deciso di compiere il tuo percorso di studi in Italia?

Kensuke Koike: Ho cominciato a usare la fotografia un po’ per caso e ho scelto di venire in Italia per conoscere a fondo la Storia dell’Arte potendola facilmente toccare con mano.

Teresa Ruffino: Ci puoi descrivere il processo creativo alla base delle tue opere? Sulla base di che cosa selezioni le immagini su cui intervieni?

Kensuke Koike: Ho un archivio ma non organizzato, composto da alcune decine di migliaia di fotografie. Serve per creare la casualità, altrimenti tenderei sempre a utilizzare immagini simili. Invece, in questo modo, prendo un’immagine a caso e comincio a pensare cosa può diventare, provo a fare degli esperimenti, tagliando e piegando i fac-simile di quell’immagine finché non trovo la forma e la storia che mi piace. Caso vuole che la maggior parte delle immagini che ho in archivio siano dei ritratti e mi sono convinto che questo sia dovuto al fatto che sia più facile abbandonare oppure cedere le immagini di persone che non siamo più in grado di riconoscere.


Teresa Ruffino
: I tuoi lavori pur essendo basati sull’alterazione di un oggetto esistente mantengono sempre un certo equilibrio, ci sono dei criteri che applichi per non perdere o stravolgere l’immagine di partenza?

Kensuke Koike: Non cambio molto dall’immagine di partenza perché è importante vedere e riuscire a far immaginare come fosse prima che io la manipolassi. Come un impasto, affinché tutti gli elementi si amalgamino correttamente è fondamentale non lavorarlo oltre il necessario: soltanto così tutto si tiene e la trasformazione da uno stato ad un altro conserva un senso compiuto. All’apparenza è un’operazione semplice, ma occorre molta sensibilità per non rovinare tutto.

Teresa Ruffino: Ci puoi parlare, se ci sono, dei tuoi riferimenti nell’ambito del collage?

Kensuke Koike: Non ho dei veri e propri riferimenti, preferisco osservare e farmi sorprendere dai fenomeni e dai meccanismi che ci sono intorno a me: il vento, l’acqua che scorre, ma anche cose più triviali come le cerniere della porta, il tostapane ecc. Queste sono inesauribili sorgenti di ispirazione.

Teresa Ruffino: Sulla tua pagina Instagram ti definisci un alchimista, ci puoi spiegare meglio che cosa intendi e qual è il tuo obiettivo in senso alchimistico?

Kensuke Koike: Lavoro trasformando le immagini come l’alchimista i metalli, partendo da materia abbandonata e dandole una nuova vita. Il mio obiettivo è di attivare le immagini attraverso semplici manipolazioni, con un intervento mirato ma essenziale.

Tornando a quanto detto prima, mi piace pensare che il mio intervento costituisca, per certi versi, un salvataggio dall’oblio al quale le immagini che mi è capitato di trovare per caso sarebbero altrimenti condannate.

Teresa Ruffino: Quali sono secondo te i vantaggi dell’utilizzo della piattaforma Instagram per la presentazione delle tue opere e che diverse caratteristiche hanno Today’s curiosity e Single Image Processing?

Kensuke Koike: I canali social permettono di condividere velocemente le opere, fissandone gli esiti, mettendomi nelle condizioni di passare ogni volta a un nuovo progetto.

La differenza fra Today’s curiosity e Single Image Processing più che nei contenuti è nella velocità: il primo rappresenta un ideale diario per opere, il secondo è composto di lavori più elaborati, realizzati più lentamente.

Teresa Ruffino: Nel tuo profilo Instagram molte volte sono necessari dei video per poter rendere in modo completo l’effetto di trasformazione dell’immagine di partenza rispetto all’immagine finale. Come immagini la fruizione in un ambiente diverso da quello della rete? Lo spettatore può compiere lui stesso il movimento necessario per il cambiamento dell’immagine, o viene presentato soltanto il risultato finale?

Kensuke Koike: Per come lo adopero sui social, il video può assolvere diverse funzioni: può esporre il processo creativo, per svelare come la trasformazione avviene in concreto – perché non sono gli strumenti adoperati a fare l’opera, ma l’idea e l’uso che se ne fa – oppure può essere esso stesso l’opera. In quest’ultimo caso il problema non si pone, perché anche al di fuori del contesto dei social l’opera sarà comunque il video; diversamente, nel primo caso potrà capitare di mostrare alcuni passaggi, collegando i quali lo spettatore potrà comunque comprendere come si è giunti al risultato finale, senza bisogno dell’impianto didascalico del video, lasciando dunque all’intuizione di colmare le parti mancanti.

Oppure potrà anche succedere che sia soltanto l’opera a comparire, perché in fondo, ripeto, gli strumenti sono accessori alla creazione, ma le opere hanno una vita propria anche quando il processo creativo rimane nell’ombra.


https://www.kensukekoike.com/