Dopo un lavoro di commissariato molto intenso e una profonda collaborazione tra gli artisti invitati e l’organizzazione, la settima edizione del festival OFFF di Barcellona (CCCB, 10-12 maggio 2007) ha voluto presentare la cultura creativa post-digitale. L’idea era riavviare il sistema, formattare le idee, tentare di uscire dalla probabile noia generata dalle tendenze ormai più o meno consolidate in tema di design e codice generativo, per vedere cosa ci aspettiamo adesso, cosa si può proporre di nuovo, come si possa andare ancora oltre.

Nel denso programma, come sempre molto interessante e spettacolare, a prendere in considerazione più in profondità la questione sembra essere stato l’ispiratore stesso di questa riflessione, l’ideologo e il maestro delle vecchie e nuove generazioni che usano il computer per esprimere la loro creatività: John Maeda, ospite d’eccellenza, che ha presentato il suo nuovo libro “Le leggi della semplicità”.

Diviso in dieci regole ordinate secondo i livelli di difficoltà del sushi, il libro propone sostanzialmente di eliminare tutto ciò che è ovvio e di lasciare solo ciò che è significativo. Il professore del MIT, dopo aver rapidamente raccontato la sua carriera citando tutti i suoi mentori (come Muriel Cooper, Paul Rand e Ikko Tanaka), ha portato alcuni esempi comparativi di semplicità e di complessità nella vita quotidiana (dai cartelli stradali, ai pesaggi, al tofu, cibo estremamente semplice ma ottenuto da un procedimento di preparazione complesso). Da questo studio ovvio solo in apparenza è emersa la domanda chiave: come conciliare il nostro bisogno di semplicità (per riuscire a usare le cose senza dover studiare manuali enormi) con il fatto che ci piace di più la complessità (preferiamo, per esempio, un tramonto pieno di nuvole e sfumature a uno monocromatico e piatto)? Durante la sua presentazione, incredibilmente gradevole e leggera e allo stesso tempo densa di tematiche importanti, ha mostrato foto e video di alcuni suoi lavori, come un pesce fatto di iPod Nano o farfalle create con le scansioni delle patatine Cheetos. Per chi voglia sapere di più delle inestimabili riflessioni di questo maestro, si consiglia la lettura del suo libro.

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Ad allontanarsi un attimo dal computer per riflettere e ritrovare materiale e ispirazioni dalla vita reale è anche la strategia post-digitale di Hillman Curtis, altro esimio ospite del festival. Per lui, che dopo essere arrivato a lavorare per Yahoo e Adobe cominciava a sentirsi misteriosamente depresso, è salubremente piacevole lavorare con le persone reali, con cui crea minifilm per il web suddivisi in diverse serie: ritratti, corti, documentari su artisti, studi sul movimento e così via.

Un inno alla semplicità apparente è anche il lavoro dei GRL- Graffiti Research Lab, con le loro deliziose throwies (LED colorati dotati di calamita con le quali “imbrattano” ponti e tram e scrivono messaggi di protesta) e la loro bicicletta con la quale si spostano nottetempo per New York (e, durante i giorni del festival e del laboratorio che hanno tenuto presso l’Hangar, per le via di Barcellona, affrontando le perplessità e le multe della polizia) per decorare con innocui graffiti laser le pareti dei palazzi.

O quello di Mario Klingermann, mago di Flash e inventore del sistema Anavision, che, studiando come riprodurre l’effetto della carta che brucia, ha creato il progetto The Stake. Il sito permette di scegliere personaggi famosi, cantanti, idee, film e così via, per bruciarli, come ha dimostrato al pubblico dando fuoco a Britney Spears. Gli sviluppi successivi prevedono, sulla falsariga di Amazon, di vedere cosa altro hanno dato alle fiamme coloro che hanno bruciato la stessa vittima che scegliamo noi.

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Anche i No-Domain, giovane gruppo da qualche anno prediletto dal Sonar, nelle loro sperimentazioni nel campo del VJing utilizzano espedienti semplici e talvolta addirittura analogici, che permettano di dare più organicità agli accompagnamenti visuali e di andare oltre i banali loop di immagini e videoclip a ritmo di musica. I loro teatrini di cartone, le illuminazioni manuali delle scene da riprendere dal vivo e i disegni in progress con la mano che li esegue in vista fanno sì che lo spettacolo non sia solo quello proiettato sullo schermo, ma che la gente si raccolga incuriosita intorno a loro per godere di queste interessanti performance.

Tra gli ospiti del festival, un altro designer capace di proporre una grafica semplice e incisiva è James Victore, con le sue immagini provocatorie e aggressive, sporche di pastello e di ditate, che sono state portate su supporti inaspettati come piatti e tovaglioli.

Essenziali ed elegantissimi anche il packaging, la musica e gli effetti visuali di Alva Noto e dell’etichetta Raster-Noton, che hanno tenuto il palco per due ore alternando proiezioni, spiegazioni e momenti performativi, ottenendo il sold out di quanto era messo in vendita allo stand dell’entrata.

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Lo spot stesso (e in generale l’immagine) dell’edizione di quest’anno del festival erano basati su un’idea semplice e analogica, partorita da un giovane alunno del direttore del festival durante una domenica d’ozio a casa con un amico: persone che indossano facce disegnate su sacchetti di carta e che recitano breve scenette comiche.

Se quindi la soluzione post-digitale è un ritorno alla semplicità, una semplicità non ottenibile senza processi complessi ma che riesca comunque a nasconderli, probabilmente è finalmente arrivato il momento di confessare quello che volevamo gridare da tempo: basta con gli abusi di tecnologia, con gli eccessi di manifestazione tecnica a discapito dell’idea.

La banda larga, inoltre, permette il ritorno di elementi organici in tutto ciò che risiede sul web (foto, video) e il conseguente superamento della freddezza del vettoriale cui ha costretto, per un periodo, il bisogno di sfondare i limiti imposti dal web facendo sempre i conti con la lentezza delle connessioni. Una nuova estetica, quindi, ma anche un nuovo atteggiamento, che cerchi di risolvere il sovraccarico di informazioni di cui siamo vittima da qualche anno a questa parte.

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Il festival infine, come sempre, ha visto tra i suoi ospiti un lungo elenco di grandi nomi, tra i quali Santiago Ortíz con Bestiario, i Futurefarmers, Zach Liebermann, Josh Nimoy, Joshua Davis, Craig Swann e molti altri. Come sempre, nel cortile del CCCB, si è svolto stato un frizzante mercatino di delizie per gli occhi e per le orecchie, luogo di incontro e di scambi di idee e progetti, mentre al primo piano nell’Open Space si potevano incontrare gli artisti e godere di installazioni interattive, oltre che portarsi a casa un Joshua Davis unico, originale e autografato. Sfortunati coloro che non hanno avuto la prontezza di comprare i biglietti con generoso anticipo: la meritata fama del festival quest’anno li ha fatti esaurire molto presto e, nonostante il CCCB sia una location ideologicamente e storicamente adatta, per le prossime edizioni probabilmente si dovrà pensare a uno spazio più capiente.

Gran finale con il giapponese Takagi Masakatsu, delicato e fragile come le note del suo pianoforte e le melodiche pitture dinamiche che proiettava sui tre schermi giganti, toccando il cuore di un pubblico già commosso dalla fine di una settima meravigliosa edizione.


www.offf.ws

www.hangar.org