In un articolo pubblicato nel Settembre 1960 sulla rivista “Astronautics” dal titolo Cyborgs and Space, i ricercatori dell’allora Rockland State Hospital di Orangeburg (New York) Manfred Clynes e Nathan Kline, speculavano su una serie di strategie da adottare per potenziare il corpo umano e regalare all’umanità la possibilità di viaggiare oltre l’atmosfera terrestre. Nel testo, basato sul saggio Drugs, Space and Cybernetics esposto pochi mesi prima al simposio “Psychophysiological Aspects of Space Flight” organizzato dalla Air Force School of Aerospace Medicine di San Antonio, si faceva cenno a un nuovo essere umano, espanso da strumenti tecnologici integrati con processi biologici, atti a favorire l’adattamento dell’organismo ad atmosfere ostili.
Questo strano e avveniristico costrutto venne chiamato “Cyborg” (da cybernetic organism) è definito inizialmente come “un soggetto capace di incorporare componenti esogene, estendendo la funzione di autoregolazione del proprio organismo per adattarlo a nuovi ambienti”[1]. Il fatto che uno studio di questo tipo fosse condotto da una equipe medica di un ospedale psichiatrico, impegnata da oltre un decennio nel design di strumentazioni fisiologiche per la simulazione dinamica del cervello umano e la progettazione di sistemi elettronici di data-processing, potrebbe forse sorprendere. O forse no. Ciò che sicuramente stupisce è che Manfred Clynes, che aveva inaugurato il Dynamic Simulation Lab del centro di salute mentale su invito proprio di Nathan Kline, non solo era un autodidatta negli studi di fisiologia, ma era uscito dall’Università di Melbourne nel 1946 con una doppia laurea in tasca: una in Engineering Science e una in composizione musicale. Tutta la sua ricerca, fino alla sua morte avvenuta nel gennaio 2020, è stata improntata su un approccio interdisciplinare tra neurofisiologia, neuroscienza e musica, con una forte propensione al design di strumenti di analisi e al rapporto con i mondi dell’arte e della creatività umana. Riconosciuto anche dalla stampa come valevole pianista (ha registrato diverse versioni delle Variazioni Goldberg di Bach e delle Variazioni Diabelli di Van Beethoven) oltre che brillante scienziato[2], Manfred Clynes è stato pioniere nello studio delle forme temporali nell’espressione musicale, in relazione alle manifestazioni elettriche delle funzioni cerebrali e del sistema nervoso. Studi che lo portarono nel 1976, alla pubblicazione di uno dei testi fondamentali per la comprensione della percezione delle emozioni nell’essere umano al punto di contatto tra musica, arte, design, scienza e matematica[3].
La figura di Clynes è emblematica di quel fertile discorso interdisciplinare tra ricerca scientifica e innovazione tecnologica, pratiche di progettazione e forme di espressione artistica che, non certo unico nel corso della storia, soddisfa uno dei principali presupposti della tesi qui esposta: questi quattro elementi del sapere umano, dovrebbero essere considerati, nel dialogo interdisciplinare, come fatto culturale in senso ampio. Un’ontologia del pensiero fondamentale per definire le società, gli individui, gli organismi, gli artefatti e i contesti che si definiscono in rapporto ad essi. Nel caleidoscopico percorso personale, da una formazione universitaria scientifica alla prassi critica e curatoriale nel campo della New Media Art e dal complesso degli autori e delle pratiche analizzate nella tesi qui presentata, il dialogo tra ambiti scientifici e umanistici emerge come un’attitudine trasversale che obbliga a riconfigurare le relazioni disciplinari, per individuare un percorso comune di indagine e un luogo condiviso di incontro. Il fatto che Manfred Clynes sia colui che, con la figura del “cyborg”, ha consentito a una serie di ricerche sul corpo condotte tra XIX e XX secolo di confluire e ha allargato il terreno di indagine verso importanti teorie critiche e filosofiche del secondo dopoguerra, è forse un segnale. Che sia mancato mentre questa tesi prendeva forma, nel periodo più sconvolgente di questa era post-antropocentrica, è semplicemente destino.
Come sia evoluta la percezione collettiva del termine “cyborg”, alla luce dei linguaggi del cinema, della letteratura e dell’arte, come sia orientata soprattutto a un’integrazione tecno-organica dei corpi, è significativo di come i dogmi della tecnologia e della scienza non abbiano fatto lo stesso numero di proseliti nel passaggio dall’età moderna all’epoca contemporanea. Eppure, che lo spettro dei suoi immaginari, degli elementi di progettazione, delle possibili estetiche, narrative e conseguenti ricadute in termini sociali ed etici sia molto più ampio di un semplice intermedio tra un robot umanoide e un uomo bionico, è piuttosto chiaro sin dalla sua definizione originale. Che abbia una qualche liaison con la ricerca scientifica, con le protesi corporee e cerebrali, le espansioni biologiche e genetiche, è evidente non solo nei saggi e nei testi qui analizzati, ma è costrutto centrale dell’impianto teorico del pensiero postumano che sottende questa ricerca. Filosofi della fenomenologia e pensatori post-moderni, decostruzionisti e post-strutturalisti (Husserl, Heidegger e Merleau-Ponty, ma anche Derrida, Lyotard, Foucault, Irigaray, Deleuze e Guattari su tutti), filosofi e sociologi della scienza (Serres, Latour), rappresentanti del post-femminismo, delle teorie queer, del cyberfemminismo e del neo-materialismo provenienti da vari ambiti della teoria critica, dei cultural studies e della filosofia (Hayles, Butler, Haraway, Braidotti, Barad, Van Der Tuin, Zylinska, Plant, Hester, Preciado), nonché rappresentanti dell’antropologia sociale (Ingold), del realismo speculativo (Badiou, Brassier, Meillasoux) e della Object Oriented Ontology (Harman, Bryant, Morton), hanno contribuito tra la fine del secolo scorso e i primi vent’anni del nuovo millennio a definire i contorni di un nuovo essere umano in relazione non gerarchica con tutti i possibili elementi (organici e inorganici) che lo circondano e lo penetrano.
Cyborg tecnoscientifico, nomade semantico, chimera narrativa, elemento in grado di superare i dualismi di materia e significato, natura e cultura, sesso e genere, scienza e tecnologia. Nuovo organismo ibrido aperto a costanti, quanto spesso maldestri, tentativi di dialogo con i mondi del design e dell’arte. Questo articolo prende abbrivio dall’osservazione critica dello scenario creativo e produttivo a cavallo tra arte e design, tecnologia, scienza e cultura digitale dalla seconda metà degli anni Novanta ai primi anni Venti del nuovo millennio. Definito con il termine New Media Art, Media Art, Digital Art a seconda dei casi (Paul, Grau, Shanken, Hope, Daniels, Frieling, Mancuso), si è andato configurando come un ambito interdisciplinare articolato attraverso diversi canoni espressivi e restituzioni differenti, che proprio nelle ricerche sul corpo sembra aver recentemente trovato un terreno di sperimentazione comune. Negli ultimi dieci-quindici anni, in particolare, si è osservato un crescente interesse ad attualizzare le ricerche avviate dalle avanguardie del Novecento nei campi del design e dell’arte, per studiare nuove modalità di dialogo dei nostri corpi (soma, apparato sensoriale, cervello) espansi dalla ricerca tecnologica e scientifica, con il contesto nel quale si trovano immersi: natura (altre specie e fenomeni), oggetti (organici e inorganici) e altri esseri umani. Centri di ricerca, media lab, citizen lab, istituzioni culturali, centri di formazione e aziende hanno cominciato a definire i contorni di uno scenario di studio e produzione interdisciplinare che coinvolge sempre più il rapporto soma-oikos nelle sue pratiche.
Se da un lato l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica alimentano l’approssimarsi e la graduale penetrazione della nostra biologia, dall’altro una crescente produzione si sta focalizzando su specifici ambiti che evidenziano caratteristiche comuni e parametri condivisi nella progettazione e formalizzazione di un nuovo corpo umano in dialogo con ciò che lo circonda.
[1] M. E. Clynes, N. S. Kline, Cyborgs and Space, in “Astronautics”, Settembre 1960, pp. 26-76.
[2] G. Pondspecial, Young scientist leads two lives, in “The New York Times”, 20 Marzo 1960, The New York Times Company, New York (NY) 1960.
[3] M. E. Clynes, Sentics: The Touch of the Emotions, introduzione di Y. Menuhin, Prism Press, Bridport 1989.
[4] M. Mancuso, Arte, Tecnologia e Scienza. Le Art Industries e i nuovi paradigmi di produzione nella New Media Art contemporanea, Mimesis Edizioni, Milano 2018.