La diciottesima edizione di Club to Club è stata davvero fiammante, con un numero sorprendente di visitatori – quasi 60.000 – provenienti da 42 paesi diversi: il 75% dall’Italia e il 25% dal resto dell’Europa. Questi dati sono solo il risultato finale di un lungo lavoro di ricerca, comunicazione, organizzazione, produzione ecc, svolto da una talentuosa equipe, guidata da uno straordinario direttore artistico del festival e presidente di Xplosiva, Sergio Ricciardone. Sì questa volta, devo dirlo, per onestà intellettuale e per rispetto verso chi il proprio lavoro lo fa con la mente e con il cuore!
Infatti, il festival torinese – grazie alla guida del suo padre fondatore – ha raggiunto la maturità a livello internazionale, non a caso dedicando questa ultima edizione alla poesia, quella stessa poesia e spiritualità che nel vecchio secolo pittori astratti come Wassilj Kandinskij ricercavano nel linguaggio musicale di compositori quali Arnold Schönberg, e nell’arte, lì dove non ci fosse più appiglio descrittivo, ma solo astrazione. Come ha dichiarato lo stesso art director, quest’anno il tema – che si inspira chiaramente al set del musicista Nicolas Jaar della scorsa edizione – “è un tema molto poetico, in fondo è quello che facciamo da anni: portare la luce al buio vuol dire anche realizzare uno show, accendere di vita uno spazio che fino a qualche ora prima era vuoto”. In effetti l’impressione è stata quella di vedere Torino “illuminata” dalle performance di 50 artisti provenienti da 5 continenti differenti, che hanno trasformato gli spazi della città – dalle OGR al Lingotto, da Porta Palazzo alla Reggia di Venaria – in luoghi unici e suggestivi per una quattro giorni di concerti, live media, dj set, workshop, talk con artisti e addetti ai lavori.
Quest’anno c’è stato tutto, ma proprio tutto, a partire dagli incontri dell’Absolut Symposium presso l’ormai consolidato quartier generale del festival, l’Ac Hotel, dove è stata coinvolta una scuola, IED Milano Sound Design, i cui studenti hanno partecipato con la light and sound installation, Pattern generations, realizzata in collaborazione con Roland Italia, visitabile durante l’intero periodo del festival. L’inaugurazione di Club to Club si è tenuta il 1° novembre presso le OGR – Officine Grandi Riparazioni, ospitando artisti emergenti tra cui Gang of Ducks, il collettivo torinese che esplora l’estetica dell’imperfezione attraverso sonorità sperimentali avanzate, piuttosto che Simone Bertuzzi aka Palm Wine (metà del duo Invernomuto che si muove nel campo delle arti visive dal 2003) con un mix di generi che ha creato sullo stage una tipica atmosfera Tropical Bass.
Molto interessante è stata la commistione tra il pubblico del festival e i visitatori della nuova sezione “Sound” di Artissima – che si è svolta sempre negli spazi delle OGR – intenta ad indagare le sonorità contemporanee. La mostra – parte integrante della fiera, a cura di Chateigné Tylman, Ginevra e Nicola Ricciardi – ha presentato il lavoro di 15 figure storiche ed emergenti della Sound Art tra cui Crhistina Kubish, Charlemagne Palestine, Daniel Gustav Cramer, Michele Spanghero, Roberto Pugliese, il noto artista Tomas Saraceno, che negli ultimi tempi si è fortemente avvicinato alla sperimentazione del suono, vincendo addirittura l’OGR Sound Award 2018 (con un progetto forse già visto, ma di fascinazione per il grande audience).
Il 2 novembre, l’attenzione a Club to Club è salita con il talk pomeridiano a cura di Carlo Pastore, in particolare shesaid.so, incentrato sul lavoro e sul network femminile nell’industria musicale e oltre, coinvolgendo nella conversazione Valerie Linch di Spin-go e la grandissima Georgia Taglietti del Sónarfestival – che poi ho visto ballare sotto al palco di Serpentwithfeet con forte emozione ed entusiasmo. Grande rivelazione è stata la bella intervista di Max Dax con la dj Elena Colombi: una bergamasca che si è trasferita a Londra nel 2008, dove ha organizzato alcune tra le serate più travolgenti della scena underground. La Colombi, colta e raffinata, ha inaugurato il Crack Stage del Lingotto con un set dinamico e stiloso, in cui ogni traccia del passato e del futuro è stata perfettamente in equilibrio tra atmosfere ambient, suoni sintetizzati, ritmi industriali e pulsazioni techno.
Il Lingotto alle 22.30 era già pieno di gente, che si muoveva in modo ordinato e curioso tra le sale, per ascoltare la ricca e intensa line up, in attesa dei Beach House. La celebre band, salita sul palco del Main Stage, ha trascinato il pubblico presente al Lingotto con un concerto profondo e immersivo senza deludere nessuna aspettativa, come dal primo debutto nel 2006. Tra gli altri musicisti, l’attesissimo Jamie XX ha fatto un dj set divertente e a tratti spiazzante, in particolare alla fine quando ha omaggiato l’Italia, mettendo Ti voglio di Ornella Vanoni (1977), con un tocco morbido oltre ogni aspettativa, che è piaciuto molto!
Il terzo giorno il festival è ripartito con workshop come Music management in the streaming services era di Chris Mcilvenny con il supporto del Gamma Music Institute, o la completa listening session di Aphex Twin sempre a cura di Max Dax. La conversazione con l’artista Robin Fox è stata trasversale, così quanto il suo lavoro che lo vede una delle figure più attive a livello internazionale, per la notevole duttilità quale ricercatore, media artist, musicista e curatore. Il suo live media Single Origin ha riportato il pubblico alle OGR – con un lieve ritardo, unica nota critica del festival – presentando l’ultimo capitolo di una trilogia di live che esplorano la relazione tra suono, laser e spazio, indagando dunque le possibilità legate alla sinestesia, cioè lo slittamento della nostra percezione in un’altra sensibilità.
Quasi contemporaneamente iniziavano al Lingotto, Yves Tumor sul Main Stage e Bienoise sul Crack Stage, ma soprattutto il fantastico e intrigante Leon Vynehall – che amo e avrei perso se non fossi capitata per un caso fortuito sul taxi con Paolo e la moglie, sconosciuti, ma esperti di arte contemporanea e musica (il bello della socializzazione dei festival – indoor e outdoor!). Il pubblico a mezzanotte era caldo e pronto per DJ Nigga Fox, che ha fatto ballare il Main stage con il suo ritmo tribale, ibrido e a tratti oscuro, caratterizzato da elementi eterogenei come afro-house, funaná, kizomba, Angolan deep, tarraxinha ecc, con una performance esplosiva e seducente.
Terminato il suo show, eravamo tutti pronti per incontrare Dio, senza poter immaginare che la live media performance di Aphex Twin sarebbe stata inarrivabile, trascendentale e illuminante. Erede di Stockhausen – con cui litigò quando era ancora agli esordi – di John Cage e Brian Eno, può essere considerato una delle figure più influenti a livello mondiale, per aver suggestionato la scena internazionale e gli sviluppi della musica contemporanea. Padre dello sciamanesimo moderno ha indotto attraverso la tecnologia e suoni peculiari, stati di coscienza alterati, segnati da due componenti imprescindibili del suo lavoro: ironia e lungimiranza. Con Aphex Twin, il Lingotto ha brillato di luce propria, e gli spettatori, giovani e adulti, non hanno fatto resistenza a uno show avant-gard, che forse non riusciremo a rivedere prima dei prossimi venti anni. Ha chiuso la terza serata del festival lo splendido live media di Sebastian Gainsborough aka Vessel, affiancato dal musicista Pedro Maia.
Club to Club ha vinto, con un programma palinsesto che ha raggiunto il suo intento precipuo: portare in Italia il meglio della ricerca contemporanea, con massimo rispetto per gli artisti che hanno cambiato la storia della musica elettronica e della performance, senza mai trascurare gli emergenti e le differenze generazionali. Un’edizione a dire il vero speciale, che si è conclusa il 4 novembre a Porta Palazzo e Borgo Dora – luogo di botteghe di antiquariato, vintage, vinyl market, arts – “simbolo dei mille volti della città, porto senza mare da sempre aperto a persone che vengono da tutto il mondo”.
Qui si è tenuto il block party dalle 11 alle 21 con numerosi eventi collaterali, tra cui si segnala l’intervento degli street artist Richard Sorge e Mach505, che per sei ore hanno lavorato live sugli spazi del Cortile del Maglio. Dalle 17:30 alle 19.30 invece presso il Club Palazzo si sono susseguiti gli attesissimi ed eccezionali Kode 9, Yuko Koshiro + Motohiro Kawashima per “DIGGIN’ IN THE CARTS”, la realtà musicale giapponese più famosa al mondo per la composizione di colonne sonore di videogiochi. Club to Club si è concluso con il format 4:3 di Boiler Room alla Reggia di Venaria,che ha visto sullo stage la presenza di artisti portatori di sonorità particolari e diverse, tra cui si annoverano in assoluto Primitive Art e Mana.
Il mio trip torinese questa volta è finito in Egitto – come avrebbe detto l’antico filosofo greco Platone – con la visita di uno tra i musei più ricchi di reperti al mondo, e con una cultura, quella egizia, che vedeva proprio nella luce l’archetipo simbolico universale tra immanenza e trascendenza. L’irradiarsi della luce che accompagna l’alba cosmica, generando il sole.