L’Institute of Fine Arts ha il piacere di presentare la mostra di primavera Avital Meshi: Subverting the Algorithmic Gaze. L’esposizione è il proseguimento della serie della Great Hall Exhibition, la quale si impegna a onorare il contributo di artiste donne esemplari. È la seconda della serie ad essere tenuta online e sarà disponibile sul sito web dell’Institute dal 28 marzo al 21 giugno.
La new media artist Avital Meshi fonde, nella sua opera, spettacolo e attivismo digitale; si chiede che cosa significhi essere osservati da un software dotato di capacità identificativa. Attraverso il suo corpo e quello delle persone attorno, l’artista interagisce con sistemi considerati promotori di una “frenologia moderna”[1] – e prova a superarli. Nella sua performance interattiva Techno-Schizo, realizzata con l’uso dell’intelligenza artificiale, Meshi cambia acconciatura ed espressioni facciali per sottolineare come può essere alterato livello di attendibilità del programma. Nel momento in cui muove le mani, cambia espressione e acconciatura, il sistema prova in continuazione a classificarla correttamente, ma senza successo, mettendo così in risalto i limiti dei sistemi di riconoscimento facciale, i quali spesso presentano indici di errore più alti quando si tratta di identificare persone di colore o appartenenti a minoranze. Allo stesso modo, in The New Vitruvian, Meshi interagisce con l’algoritmo usando una sedia come oggetto di scena. Oltrepassando il confine sottile che definisce come un essere umano o non umano appare agli occhi del sistema, l’artista, muovendosi insieme alla sedia, viene identificata come una persona, un cavallo, un gatto, un frigorifero e una sedia, tra altri oggetti animati e inanimati. Per consentire ai visitatori di vivere quest’esperienza in prima persona, Meshi terrà diverse sessioni della sua opera d’arte ad intelligenza artificiale interattiva, dal titolo The AI Human Training Center, nel corso dell’intera esposizione.
Nella performance di resistenza ZEN A.I (realizzata in collaborazione col performer transdisciplinare Treyden Chiaravalloti), Meshi medita con l’aiuto di due programmi. Il primo di questi monitora lei e la stanza in cui è seduta, classificando costantemente lei e gli oggetti che la circondano. Il secondo, fornisce un flusso di istruzioni talvolta sinistre, talvolta comiche, per guidare la sua pratica. Anche se questo pezzo sembra inizialmente umoristico, l’ambiente studiato da Meshi – pieno di schermi che raffigurano candele accese e notifiche di messaggi – diventa uno spazio distopico di costante sorveglianza e continue indicazioni. Tuttavia, Meshi acconsente a quest’evidente monitoraggio per incoraggiare lo spettatore a diventare più consapevole, come dice lei stessa, del “nostro attuale ambiente iperconnesso in cui uno sguardo asimmetrico, non consensuale e digitale espone la nostra società a pratiche discriminatorie”. È solo maturando una maggiore consapevolezza dei sistemi di monitoraggio integrati nei dispositivi ad uso quotidiano e nella sfera pubblica, del loro uso e abuso da parte del governo e delle agenzie di sicurezza che si può sperare di portare equità di fronte a una crescente e problematica forma di sorveglianza.
Il lavoro di Meshi invita le persone a capire che riprendere il controllo sulla tecnologia è possibile, favorendo conversazioni intorno all’identità e alla sua trasformazione, alla sorveglianza, al riconoscimento e alla classificazione. Proprio come afferma l’artista, è cruciale riconoscere “la tecnosfera come un fenomeno naturale non così diverso dai pensieri o dalla gravità… Riconoscere gli algoritmi come tali conferisce all’osservatore consapevole l’autonomia sul controllo del loro impatto”.