Mike Tyka è un artista e ricercatore con un dottorato di ricerca in Biofisica. Dopo i suoi studi scientifici, nel 2009 partecipa al progetto Groovik’s Cube, un cubo di Rubik funzionante a partecipazione multipla collocato a Reno, Seattle e New York. Da quel momento la sua produzione artistica si è focalizzata sulla scultura tradizionale e sulla tecnologia moderna, come la stampa 3D e i neural network artificiali.
Le sue sculture di proteine molecolari sono realizzate con vetro colato e bronzo e sono basate sulle precise coordinate di ogni rispettiva molecola. Esplorano la bellezza nascosta di queste incredibili nano macchine e sono state esposte in tutto il mondo da Seattle al Giappone. Tyka lavora inoltre con i neural networks artificiali come medium e strumento artistico. Nel 2015 ha creato delle opere in larga scala usando le ripetizioni del sistema DeepDream e ha co-fondato il programma Artists and Machine Intelligence presso Google.
Nel 2016 è stato invitato come relatore al UC Berkley Center for New Media, al Google Cultural Institute Summit a Parigi, alla Alt-Ai Conference, New York, al Digi.Logue, Istanbul, al Google SPAN Tokyo, alla Magenta Conference e alla conferenza Research at Google. Le sue ultime serie generative Portraits of Imaginary People sono state esposte ad ARS Electronica a Linz, da Christie’s a New York e al New Museum di Kuruizawa in Giappone.
La sua scultura cinetica guidata dall’intelligenza artificiale Us and Them ha partecipato alla Biennale Mediacity del 2018 presso il Museum of Art di Seoul ed è attualmente esposta al Mori Art Museum di Tokyo nella mostra Future and the Arts: AI, Robotics, Cities, Life – How Humanity Will Live Tomorrow.
Teresa Ruffino: Durante i tuoi studi accademici, c’è stato un momento in cui hai compreso la potenzialità di espressione creativa della biochimica, delle biotecnologie e della biofisica? O è stato un pensiero che hai sviluppato più avanti nella tua carriera?
Mike Tyka: Senza dubbio ho iniziato ad apprezzare e a pensare alla bellezza intrinseca delle molecole biologiche quando ho iniziato a lavorare con esse dal punto di vista scientifico, ma l’idea concreta di creare arte non è emersa fino a quando (in modo casuale) sono stato coinvolto in un progetto di istallazione artistica (Groovik’s Cube) e ho scoperto di essere interessato a creare fisicamente arte.
Dal momento che ero già immerso nella raffigurazione visiva delle bio molecole credo che sia stato questo a suscitare il mio interesse e ad essere per me fonte di ispirazione e quindi, per i primi anni della mia carriera artistica, ho iniziato a creare sculture di tali molecole con diverse tecniche, principalmente usando bronzo e vetro. Trovavo interessante pensare al fatto che la scelta di rappresentazione è veramente arbitraria – queste molecole sono più piccole dell’onda di luce visibile e di conseguenza la domanda “Ma come sono realmente?” non ha rilevanza.
Ogni raffigurazione è semplicemente una rappresentazione di un particolare aspetto o proprietà che si intende scegliere. In questo modo le mie spirali di rame sono raffigurazioni della curvatura e della piega della catena proteica, mentre quelle di vetro sono rappresentazioni del volume che la molecola occupa.
Teresa Ruffino: Cambia qualcosa nel tuo atteggiamento o nel processo mentale che porta alla creazione di un’opera quando lavori ad una delle tue Molecular Sculptures o in lavori come Harvesting the Sap o Dopamine, che utilizzano un medium tradizionale, la scultura, rispetto a opere che funzionano grazie a neural networks e algoritmi? Hai diverse domande e problemi in mente o ritieni che queste diverse suggestioni siano complementari?
Mike Tyka: Sì, nel mio lavoro trovo che il processo sia molto diverso, anche se penso che questo non debba essere vero per ognuno. Quando lavoro ad una scultura fisica generalmente ho un’immagine relativamente completa in testa di come l’oggetto finale debba essere. Il processo è poi incentrato sul cercare di capire come farlo, su quali tecniche debba imparare ecc.
Quando lavoro su opere neurali o generative raramente inizio con un’immagine finale in mente. Al contrario, si tratta di un’esplorazione di una tecnologia per vedere come si comporta, come può essere direzionata o guidata. Alla fine, qualche idea si cristallizza e mi fermo per creare un lavoro. Poi continuo finché non trovo qualcos’altro che sia interessante, sorprendente o soddisfacente.
Teresa Ruffino: Hai contribuito alla ricerca innovativa sulle investigazioni relative al modo in cui gli algoritmi “vedono” quando classificano le immagini nel noto progetto di Google DeepDream. Quali sono state le sfide, a tuo parere, nell’aiutare a comprendere la corretta interpretazione di tali immagini, così ricche di contenuti e molto facili da fraintendere dal pubblico?
Mike Tyka: Direi che in pratica DeepDream stesso non è tipicamente usato per interrogare la funzione dei neural networks. Tuttavia, le idee e le tecniche ad esso collegate sono state sviluppate in modo approfondito da Alex Mordvintsev e da altri in modo da permettere di interrogare a che cosa reagisce un singolo neurone in una rete neurale. In generale, qualsiasi visualizzazione che prova ad interpretare a che cosa reagiscono particolari neuroni o serie di neuroni in una rete neurale è di per sé limitata.
Questo accade perché i neuroni in ogni rete neurale particolare lavorano in modi complessi che non è possibile comprendere completamente, poiché essi collaborano in uno spazio altamente dimensionale nel quale i segnali sono radicati. Sicuramente la sfida di capire la parte più intrinseca di una rete neurale artificiale e di spiegare le sue decisioni o classificazioni rimane irrisolta ed è attualmente un’area di ricerca.
Teresa Ruffino: Puoi parlarci del procedimento dietro la creazione della serie AI: DeepDream che mostra questo tipo di immagini presentate come opere d’arte?
Mike Tyka: Quando per la prima volta ho sperimentato il metodo DeepDream, ho immediatamente iniziato ad esplorare il suo potenziale di creare immagini interessanti. Originariamente il metodo era semplicemente applicato ad un’immagine, essenzialmente sovrapponendo uno strato di pareidolia computazionale. L’algoritmo sceglieva ed esaltava elementi già presenti nell’immagine, ma l’immagine di partenza era ancora l’impalcatura su cui tutto il resto veniva sorretto.
Personalmente, ero interessato a creare qualcosa che provenisse interamente dal neural network stesso, senza la necessità di una foto di partenza. Ho scoperto che ciò che funzionava molto bene era semplicemente il continuare ad applicare l’algoritmo mentre si ingrandiva l’immagine ad ogni passaggio. Fare questo ripetutamente crea una specie di immagine frattale e simile a sé stessa di risoluzione arbitraria (più si ingrandisce più il dettaglio è “allucinato” dall’algoritmo).
Questo genera immagini piuttosto psichedeliche che sono curiosamente affascinanti da osservare. Cambiando quale strato della rete neurale o quali neuroni amplificare, i risultati possono essere orientati in diverse direzioni. Ovviamente, tutti i pattern generati originano dall’ambito in cui il network è stato addestrato. Queste esplorazioni hanno portato alla serie AI: DeepDream.
Teresa Ruffino: Us and Them è un’installazione che comprende diversi medium ed è attualmente esposta come parte della mostra “Future and the Arts” al Mori Art Museum di Tokyo. Questo lavoro riflette sull’impatto dei bot e dell’IA nella comunicazione di idee sui social media, concentrandosi in particolare sui risvolti politici dei pensieri generati artificialmente basati, in questo caso, su quelli espressi su Twitter durante le elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti.
Us and Them riesce a ricreare in modo fisico qualcosa che l’utente sperimenta tutti i giorni in rete, la difficoltà nell’ignorare tutte le possibili influenze che questi messaggi targettizzati hanno e nel distinguere che cosa sia vero e che cosa non lo sia in politica e nell’informazione in generale. Puoi spiegarci l’idea dietro all’unione dell’opera Portraits of Imaginary People con i testi generati dalla rete neurale? C’è stato qualcosa di rilevante che hai notato nella reazione dei visitatori all’installazione che è stato interessante per il significato dell’opera?
Mike Tyka: Sì, Us and Them si è sviluppando partendo da Portraits of Imaginary People e hai riassunto correttamente l’idea di fondo di questo lavoro. Penso semplicemente che sia stato troppo impegnativo pensare allo stesso tempo al significato del termine “persone immaginarie” sullo sfondo di questa tecnologia e al contesto probabile in cui questa sarebbe stata usata, una volta sviluppata e matura. Quando ho realizzato Portraits nel 2017 era ancora piuttosto difficile creare immagini ad alta risoluzione che sembrassero completamente realistiche e questa sensazione straniante è facile da vedere nelle opere finite.
Mi è piaciuta molto quella estetica e non ho cercato di renderla fotorealistica, ma ho osservato l’evoluzione e il miglioramento di questa tecnologia fino ad un quasi-fotorealismo dopo soli 6 mesi dalla prima esposizione del mio lavoro. Questo mi ha fatto riflettere sulle implicazioni dei GAN fotorealistici e di altri algoritmi generativi che possono ingannare le persone, specialmente visto quello successo nelle elezioni del 2016 negli Stati Uniti.
La capacità di raggiungere miliardi di persone in tutto il mondo unita alle reti neurali che creano contenuti credibili in modo automatizzato è stata per me fonte di preoccupazione e mi ha dunque ispirato a compiere un’analisi più profonda. Questi pensieri e indagini sono diventati Us and Them.
Anche durante la creazione del contenuto testuale stesso (i tweet), ho assistito ad un progresso incredibili nella tecnologia durante la vita di questo progetto. Nella prima versione (installata a Seoul nel 2018) ho usato una tecnologia chiamata LSTM per generare i tweet. I risultati sono stati abbastanza realistici, ma, per molti versi, più simili ad un remix surrealistico dei dati di addestramento iniziali forniti al sistema.
L’anno successivo (l’installazione di Tokyo) ho deciso di migliorare l’algoritmo per usare l’architettura neurale più recente chiamata “Transformer” applicata agli stessi dati di partenza e usando lo stesso hardware. In questo caso i tweet generati apparivano veramente molto realistici, molti dei quali, se me l’avessero chiesto, non avrei potuto distinguere da quelli veri. Tutto questo è un ritmo di progresso incredibile, forse mai visto prima e i nostri regolamenti, leggi, culture e costumi stanno facendo fatica ad adattarsi in tempo a queste possibilità tecnologiche.
Teresa Ruffino: Con la collaborazione con Refik Anadol, media artist e professore, durante la sua residenza artistica presso il programma Google’s Artist and Machine Intelligence avete immaginato un nuovo tipo di ambiente dove l’archivio è percepito in modo completamente originale. Puoi parlarci degli obiettivi della creazione di Archive Dreaming?
Mike Tyka: Archive Dreaming è stato uno dei primi progetti ad usare i GAN ovunque. Allora la risoluzione massima era ancora limitata. Refik aveva accesso a questo grande dataset di immagini e documenti dell’istituto SALT in Turchia e aveva in mente qualcosa che riguardasse il sognare. Non avevamo una chiara idea di quello che volevamo realizzare, ma ho iniziato facendo sperimentazioni, addestrando semplicemente un GAN apposito con l’archivio di immagini.
Ho poi provato a generare immagini usando la rete addestrata e ad esplorare il suo cosiddetto spazio latente. Ci piacque davvero molto l’estetica delle immagini che vedevamo. Emanavano una sensazione di fugacità, di memorie incomplete che transitavano in un sogno. Dal momento che le immagini generate non sono memorie esatte dei dati di partenza ma piuttosto una sorta di impressione generale, abbiamo pensato che rappresentasse una storia alternativa immaginaria dove i precisi artefatti del tempo erano diversi, ma simili nella loro forma e sensazione globale.
In questo senso la proiezione finale comprende sia i dati di partenza, organizzati come una mappa 3D gigantesca, sia la versione allucinata che rappresenta le storie alternative.
Teresa Ruffino: Vista la tua esperienza come artista che lavora con gli algoritmi sia dal punto di vista di ricerca sia creativo, quale pensi che sia il prossimo passo o sfida per questa pratica ed è qualcosa che esplorerai personalmente?
Mike Tyka: Sì, penso fortemente che gli algoritmi generativi basati sulle reti neurali utilizzati come medium artistico siano ancora nella loro fase embrionale e che debbano ancora raggiungere il loro potenziale massimo come mezzo per esprimere pensieri e idee artistiche. Mi auguro che sempre più persone possano usare questo strumento ed esplorarlo e penso che vedremo dei risultati molto interessanti e inusuali in questi lavori.
Quello che ho visto fin ora sono opere piuttosto astratte, mentre non ho ancora assistito a molti esempi di lavori che raccontano una storia specifica. Recentemente sono stato interessato nell’esplorare questo confine in particolare e alcune delle mie sperimentazioni in questo campo hanno portato alla creazione di un breve video chiamato EONS che utilizza le tecniche delle reti neurali, ma riguarda in realtà il nostro rapporto con la natura e con il pianeta su grandi archi temporali.
Ho usato un network pre-addestrato chiamato BigGAN, ma l’ho manipolato in un certo modo per creare un particolare insieme di immagini in movimento che raccontano una storia specifica. Questo lavoro è sicuramente in via di sviluppo e spero di pubblicare altri esperimenti di questo tipo quest’anno.